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Il Gabon in fiamme e la nostra indifferenza

Non sappiamo quali saranno le sorti del Gabon, l’ennesimo paese africano sconvolto da un colpo di Stato, in seguito alla destituzione del presidente Ali Bongo Ondimba da parte di un gruppo di militari capeggiati dal generale Nguema. Non sappiamo cosa accadrà adesso, quali altri paesi subiranno la medesima sorte e cosa comporterà questo insieme di drammi nel contesto di un continente dalla storia travagliata e dal futuro incerto. Sappiamo, però, che stiamo assistendo ad azioni che hanno poco a che spartire con le ambizioni degli autori di questa barbarie e molto con la tragica evoluzione del quadro internazionale. Lo scenario ricorda, in parte, la stagione golpista del periodo che fece seguito al processo di decolonizzazione compiutosi, in larga misura, nel 1960, quando l’Africa, libera dal giogo europeo, almeno sulla carta, cadde presto vittima delle mire delle due nazioni protagoniste della Guerra fredda. Temiamo, dunque, che sia una nuova Guerra fredda quella che abbiamo sotto gli occhi, con un’Europa assente e impossibilitata ad agire e il serio rischio che ne subisca le conseguenze senza poter in alcun modo intervenire.
Del resto, di quel popolo non ce n’è mai importato nulla, come non ci è mai importato nulla di ciò che accade in Niger, in Mali, in Burkina Faso e negli altri stati travolti dalla furia golpista, almeno fino a quando non abbiamo visto i barconi carichi di disperati comparire all’orizzonte, fino a quando non siamo stati chiamati a fare i conti con l’hotspot di Lampedusa ridotto al collasso e fino a quando non ci diamo dovuti confrontare con la rabbia dei sindaci che non riescono più a far fronte con un’emergenza che, a furia di essere ignorata e negata, è divenuta effettivamente tale. La fortezza Europa si è dimenticata per anni dell’Africa, pensando di poter risolvere tutto con i respingimenti in mare, i fili spinati, i rimpatri forzati, il pagamento dei tagliagole locali per rinchiudere i poveri cristi in fuga dalla miseria e dalla guerra in autentici lager e altri provvedimenti che costituiscono la misura autentica della nostra vergogna. E così, incuranti del nostro passato coloniale e per nulla disposti a scusarci per gli innumerevoli danni che abbiamo arrecato a quei popoli e a quei paesi, con tutto il portato di razzismo, xenofobia e disumanità che ne consegue, abbiamo continuato a voltarci dall’altra parte, salvo ora renderci conto che esistono i mercenari della Wagner, che esiste la colonizzazione soft della Cina e che una parte significativa del mondo non si riconosce nei canoni occidentali; anzi, è fortemente intenzionata a contestarli e metterli in discussione.
Il fatto che nazioni che fino a ieri ritenevamo insignificanti mettano in allarme le cancellerie del Vecchio Continente e comincino ad affiorare anche nelle cronache quotidiane ci dice chiaramente che in un mondo multipolare non esiste una notizia che non ci riguardi, un paese che si possa ignorare, una realtà che si possa lasciar perdere con nonchalance. Se l’Africa brucia, è colpa della nostra indifferenza, del nostro disinteresse, del nostro non essercene mai presi cura, ritenendola utile solo come terra da sfruttare e depredare, senza minimamente preoccuparci della sua crescita, del suo sviluppo e dei valori democratici di cui, con somma ipocrisia, sosteniamo di essere i depositari.
Ribadisco: non sappiamo cosa accadrà adesso, ma non c’è dubbio che nella culla della civiltà si stia consumando la disfatta di un predatore ormai in disarmo che, probabilmente, a breve sarà sostituito da soggetti e realtà non meno inquietanti ma senz’altro più furbi, almeno nel presentarsi.
Servirebbe, dunque, una grande conferenza europea dedicata all’Africa, una decolonizzazione totale e un rilancio della cooperazione internazionale, favorendone l’emancipazione e aiutandola a valorizzare al meglio le proprie infinite risorse. Sappiamo che non accadrà mai, ma sappiamo anche che questa devastazione della convivenza civile globale potrebbe segnare la scomparsa del concetto stesso di democrazia, cioè la messa a nudo di ciò che siamo diventati.
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