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Etiopia: “Non c’è nessun posto dove andare”. I rifugiati eritrei nel Tigray

In una guerra, tra le vittime, è difficile distinguere chi se la sia passata peggio. Non vi sono vittime di serie A e di serie B, lungi da noi dall’individuarne, ma sicuramente alcune situazioni rifuggono ogni umana comprensione, tanto risultano incredibili. E’ la storia dei rifugiati eritrei nel Tigray.
Il Tigray ha accolto nell’arco del tempo migliaia di rifugiati sfuggiti alle persecuzioni del regime eritreo di Isaias Afwerki, al servizio militare a vita, al carcere duro a cui sono destinati gli oppositori politici, alla fame del paese.

All’inizio del conflitto in Etiopia, le organizzazioni umanitarie avevano calcolato che nel Tigray, il numero di rifugiati eritrei aveva raggiunto le 90000 unità. I rifugiati registrati prima dell’inizio della guerra dall’UNHCR nel campo di Shimelba erano 8.686, ad Hintsats 25.152, nel campo di Mai Ayni 21.725 e in quello di Adi Harush ben 31.997, un dato riportato nel “Tigray Region Humanitarian Update Situation Report”, del 19 Luglio 2021, pubblicato dall’OCHA.

Con lo scoppio del conflitto, l’UNHCR è stata costretta a lasciare i campi, una situazione che ha portato a perdere ogni contatto con loro; a causa delle violenze, degli attacchi, dei casi di rapimento e violenze sessuali e dalla mancanza di cibo, i rifugiati eritrei hanno cominciato a fuggire, andando ad ingrossare le fila degli sfollati interni.
Ben Curtis/Reuters

Ben tre rapporti editi da Human Rights Watch e da Reuters hanno evidenziato come i rifugiati fossero stati presi di mira da tutte le parti in conflitto, in particolare modo dall’esercito eritreo (EDF). Il 17 Novembre 2020, le truppe della 35ma brigata dell’esercito eritreo hanno occupato i campi di Shimelba e Hintsats.

Dopo aver raccolto tutti i rifugiati hanno proceduto a rimpatriare forzatamente la popolazione verso la città di Barentù; le testimonianze riportano l’esistenza di un elenco stilato dalle autorità eritree, secondo il quale si è proceduto agli arresti. Alcuni membri del comitato interno del campo, essendosi opposti all’operazione sarebbero stati presi di mira, insieme a membri di spicco della comunità (musicisti, leader di associazioni giovanili, artisti e uomini della cultura…), trattenuti e riportati in Eritrea.

Le agenzie umanitarie inoltre hanno evidenziato nel Dicembre del 2020 che l’ultima distribuzione di cibo, effettuata nel mese di Settembre, era a mala pena sufficiente per arrivare a fine Novembre.

All’orizzonte, già prima dello scoppio delle ostilità, si profilava una grave carenza di cibo e medicinali, che si sarebbe aggravata con li saccheggi, il black out nelle comunicazioni, l’interruzione dei servizi bancari e di quelli sanitari, la vendetta di alcune unità tigrine, che accusando i rifugiati di collaborazione con l’esercito eritreo, hanno proceduto ad arresti arbitrari alcuni di loro, aggredito sessualmente le donne, ucciso indiscriminatamente decine di persone. A conferma dei racconti le testimonianze raccolte da Reuters degli eventi accaduti a a Zelazle e Ziban Gedena, a nord di Hitsats.

All’arrivo dell’ENDF presso i campi, i rifugiati sopravvissuti al calvario, sfuggiti al rimpatrio forzato dell’EDF e segnalati all’ARRA sono stati trasferiti nei restanti campi di Mai Tsebri ad Adi Harush e Mai Ayni. Ma le violenze contro di loro non si sono arrestate.

Il Segretario dell’UNHCR Filippo Grandi ha affermato di aver continuato “a ricevere molti rapporti affidabili e resoconti di prima mano sull’insicurezza continua e sulle accuse di gravi e dolorose violazioni dei diritti umani, inclusi omicidi, rapimenti mirati e rimpatri forzati di rifugiati in Eritrea”. Foto aree scattate successivamente ai fatti, confermano, utilizzando le parole di Grandi, “indicazioni concrete di gravi violazioni del diritto internazionale”.

Nel gennaio 2021 le Nazioni Unite hanno annunciato la scomparsa di oltre 20.000 rifugiati eritrei, a seguito di ondate di fuga, deportazioni, uccisioni e incarcerazioni.

 

Un esodo che nell’arco del tempo non si è fermato, così come abbiamo riportato proprio su queste pagine non più di una settimana fa. L’apertura del fronte nella regione Afar ha infatti portato il 18 Febbraio scorso, decine di migliaia di rifugiati a fuggire dal campo di Behrale per rifugiarsi nelle città di Semera ed Afdera.

I bombardamenti con droni sul nord del Tigray hanno interessato anche un campo profughi: il 6 Gennaio, il campo di Mai Ayni è stato preso di mira dalle bombe, mentendo vittime anche tra i bambini.

E’ ormai palese che tutte le parti in conflitto hanno preso di mira i rifugiati eritrei nel Tigray, violato il carattere civile dei campi profughi, violato la sicurezza e i diritti civili dei rifugiati, con conseguenze devastanti, come lo sfollamento e la scomparsa di migliaia di persone.

Se nessuna delle parti coinvolte nel conflitto ha mai risposto alle richieste di EHRC-OHCHR in merito alle violazioni confutate neL report, il governo etiope ha ammesso che è stato possibile ricostruire la posizione di migliaia di persone, rifugiatesi a Mekelle e dintorni, Adigrat, Axum oppure partite per il Sudan.

I minori non accompagnati, insieme alle donne, sono le principali vittime dello sfollamento dai campi. Il 40% dei rifugiati eritrei nei campi erano minori, di questi il 30% risultavano non accompagnati. Uno stato di vulnerabilità sfruttato per la tratta di esseri umani, per il contrabbando e per lo sfruttamento di esseri umani in termini di migrazione.
Le donne sono state utilizzate come vera e propria arma di guerra. Oltre l’82% degli intervistati tra i rifugiati eritrei ha riferito di essere stato testimone di stupri o aggressioni sessuali a danno di donne più o meno giovani. Inoltre ha riferito anche di aver assistito a donne che si sottoponevano al sesso a pagamento perché impossibilitate a sfamare la propria famiglia.

Né il governo etiope né quello del Tigray sono stati in grado di proteggere i rifugiati eritrei. Le agenzie ONU non sono riuscite a garantire la sicurezza dei rifugiati ed oggi, proprio come i tigrini, soffrono la mancanza di cibo e medicinali causata dal blocco degli aiuti umanitari che ormai va avanti dal Luglio dello scorso anno.

Anche se il ritiro delle truppe eritree è stato annunciato in pompa magna dal governo, i soldati dell’esercito eritreo si trovano ancora su suolo etiope. Questo potrebbe portare ancora una volta ad abusi nei loro confronti e ad ulteriori atti di violenza ed intimidazione. Addis Abeba dovrebbe adempiere al dovere di protezione nei confronti dei rifugiati nel suo paese, concentrando gli sforzi nel trovare soluzioni il più possibile stabili e sicure.

Negli ultimi decenni sono quasi 150000 i rifugiati eritrei arrivati nel paese, fuggiti da una delle condizioni di rispetto dei diritti umani peggiori al mondo, basti pensare che l’Eritrea si colloca persino al di sotto della Corea del Nord nel World Press Freedom Index del 2021.

Talmente al di sotto che non ha sprecato tempo nello sfruttare la guerra nel Tigray per regolare vecchi conti rimasti in sospeso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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