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Dall’Etiopia alla Libia, resta l’Africa il punto caldo della terra dove infuriano conflitti

Oltre l’Ucrania c’è di più
Ogni anno l’osservatorio “Armed Conflict Location & Event Data Project” identifica 10 conflitti o crisi in tutto il mondo che potrebbero peggiorare o evolvere nei mesi successivi. Per il 2022 sono stati segnalati in tal senso Etiopia, Yemen, Sahel, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia, Myanmar. La metà di questi paesi è  in Africa.

Non parliamo solo di contesti instabili, ma di aree dove si sono verificati importanti cambiamenti nelle dinamiche del conflitto in corso.

Dall’Etiopia al Mali, dalla Nigeria al Sudan, sono inequivocabilmente queste realtà del continente africano il punto più caldo della terra.

Non c’è dunque solo la guerra in Ucraina nel mondo, ma innumerevoli altre crisi in Paesi “dimenticati” dove  si combatte, “ad alta o bassa intensità, con periodi più cruenti e altri apparentemente calmi”, evidenzia il rapporto.

Guerre o guerriglie che in alcuni casi vanno avanti da anni, in altri sono scoppiate nel gli ultimi 24 mesi.

Tra le più recenti, quella in corso in Etiopia.

Nel novembre del 2021 l’esercito federale, su ordine del premier e premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed, è entrato nel capoluogo del Tigray, Stato federale,  spodestando il Governo del Fronte Popolare di Liberazione tigrino.
Il numero esatto di morti e feriti, sia militari che civili, al momento non si conosce.

Fino al febbraio 2021, l’Etiopia ha negato la presenza sul suo territorio di truppe eritree, schierate con le milizie regionali amhara e afar, tradizionali nemici dei tigrini, come ha rigettato al mittente le accuse di aver lanciato  attacchi a quattro campi Unhcr abitati da profughi tra dicembre 2020 e gennaio 2021, strutture di accoglienza che sono stati distrutti e dai quali sono state deportate in Eritrea almeno 10mila persone. E poi ci sono stati i massacri di civili e gli stupri di gruppo, tutti imputati alle truppe asmarine da numerose organizzazioni per i diritti umani.

Altra realtà ad alto rischio è il Mali, dove si sono susseguiti due colpi di Stato in meno di nove mesi.

Dopo aver deposto, a seguito di una lunga serie di proteste popolari, l’allora presidente Ibrahim Boubacar Keita, il 24 maggio 2021 la Giunta guidata dal colonnello Assimi Goita è tornata a esercitare la propria influenza sulla politica nazionale del Paese.

Un rimpasto di governo tentato per riequilibrare i poteri civili dal Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt), organo preposto a traghettare il Paese verso libere elezioni (inizialmente previste a febbraio 2022), e stata la miccia che ha innescato la reazione gli uomini di Goita.

I blindati sono così tornati nelle strade di Bamako. Diversi politici, attivisti e cittadini contrari alla svolta autoritaria della Giunta, sono stati incarcerati. A completare il quadro già fosco, il proliferare di gruppi armati, fra indipendentisti tuareg e milizie etniche di autodifesa, espone la popolazione del Centro-nord del Mali a quotidiane violenze e vessazioni.

Quanto alla Repubblica democratica del Congo, se formalmente non è più in guerra, l’Est rimane preda di centinaia di gruppi armati, molti dei quali bande locali legate, in particolare, al controllo del territorio nella regione del Kivu e delle sue risorse.

Esistono anche milizie più strutturate che destabilizzano alcune aree. Superata la crisi sicuritaria nella Regione centrale del Kasai causata dai Kamwina Nsapu, l’insicurezza è ormai concentrata nelle tre province orientali del Sud Kivu, Nord Kivu e Ituri.

La situazione di gran lunga peggiore è nell’area di Butembo-Beni, dove dal 2014 le Allied Democratic Forces compiono stragi di civili con un’efferatezza che non ha eguali. L’Adf assalta villaggi, attacca civili uccidendoli barbaramente con armi ‘bianche’, seminando il terrore e provocando fughe di popolazione.

Infine merita una citazione il Sudan, dove dal golpe del 25 ottobre 2021 si susseguono scontri tra fazioni contrapposte: da un lato i militari guidati dal generale Abdel Fattah al Burhan, dall’altro le forze che rappresentano la società civile che continuano a manifestare contro il colpo di stato che ha interrotto il processo di transizione verso le elezioni del 2023.

Anche lontano dalla capitale Khartoum e dalle altri grandi città  sudanesi, nella regione occidentale del Darfur, la tensione è sempre più alta e si susseguono scontri armati con centinaia di vittime e migliaia di sfollati.

Tutto questo nell’indifferenza del mondo.

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