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Etiopia. “Violenze contro la popolazione e privazioni della libertà”

La Commissione etiope per i diritti umani (EHRC) ieri ha pubblicato un rapporto su un’indagine su base nazionale di 130 pagine, nel quale ha riportato le conclusioni del lavoro sui casi presi in esame tra il 2018 ed il 2023: “le violenze sistemiche, mostrano modelli che colpiscono una parte significativa della popolazione”.

Il rapporto, unico nel suo genere nel paese, rivela violenze sistemiche e privazioni della libertà, tra le quali le incarcerazioni arbitrarie o prive di ordini dei tribunali, casi di violenza sessuale, violazioni dei diritti dei detenuti, rapimenti e distruzioni di proprietà private.

Diritti umani

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Gli autori del rapporto hanno identificato come responsabili di tali crimini una larga pletora di appartenenti alle pubbliche istituzioni, come alcuni amministratori di kebeles appartenenti alle forze di polizia, alcuni funzionari governativi, appartenenti alle forze speciali governative o al personale carcerario. A costoro si aggiungono gli appartenenti alle milizie di cui si compone la grande galassia dei gruppi regionali, che contribuiscono all’instabilità ed alle tensioni incentrate maggiormente sulla definizione dei confini regionali o legate a questioni etnico-religiose.

Coprendo le regioni Amhara, d’Oromia, Somali Region e la regione precedentemente nota come Southern Nations, Nationalities, and Peoples’ Region (SNNPR), l’inchiesta sottolinea vari fattori che hanno contribuito e contribuiscono tutt’oggi alle violazioni dei diritti umani.

Secondo l’EHRC, i gruppi armati non statali, spesso organizzati lungo linee etniche, hanno ripetutamente preso di mira i civili, causando vittime, feriti, rapimenti, saccheggiamenti, distruzione di proprietà e sfollati. Gli scontri armati tra questi gruppi e le forze di sicurezza statali, insieme agli scontri tra diverse fazioni armate non statali, esacerbano ancora oggi il quadro nazionale nei termini della sicurezza interna e del rispetto dei diritti umani.

Se nella regione Amhara, nel Tigray e nella regione Afar, i fattori che hanno contribuito alle violazioni dei diritti umani sono legati principalmente al conflitto nel Tigray, all’occupazione dei territori – precedentemente sotto amministrazione tigrina – ed alla loro ridefinizione, cosa diversa è ricostruita per la regione oromo.

Tra i momenti citati dal rapporto, risultanti come un vero giro di boa nel rapporto tra istituzioni e libertà personali, è citato l’omicidio del cantante oromo Hachalu Hundessa, che secondo la Commissione ha portato a diffuse violazioni dei diritti umani in gran parte della regione.

Nella regione somala invece, le diffuse violazioni dei diritti umani e delle violenze sarebbero legate e guidate da lotte intestine per il potere, derivanti maggiormente dalla corsa all’accaparramento delle risorse naturali, corsa che spesso coinvolge le comunità vicine delle regioni di Afar e Oromia, contribuendo ad alimentare il caos nel paese.

In particolare, il rapporto della commissione sottolinea i conflitti passati tra le comunità delle regioni di Afar e somale, con particolare attenzione a tre kebele chiave: Adaytu, Undufo e Gedamaytu. Questi conflitti hanno portato a morti, feriti, spostamenti e distruzione di proprietà private.

Daniel Bekele, capo della Commissione etiope per i diritti umani (EHRC), ha sottolineato l’urgente necessità di riforme sistemiche per salvaguardare i diritti e la dignità di tutti gli individui in tutta l’Etiopia: “I governi federali e regionali devono indagare seriamente sui casi di violazioni dei diritti umani, affrontare le loro cause, garantire la pena per gli autori e soprattutto stabilire meccanismi per un risarcimento adeguato per le vittime”.

“L’inchiesta nazionale ha indagato sui modelli di violazioni dei diritti umani associati alla privazione della libertà in quattro regioni, compreso l’uso di audizioni pubbliche in quattro città, vale a dire Adama, Bahir Dar, Jigjiga e Hawassa”, ha dichiarato Rakeb Messele, vice capo della Commissione. “L’indagine nazionale è una delle strategie più efficaci a disposizione delle istituzioni per i diritti umani per indagare e attirare l’attenzione su pressanti questioni di diritti umani.

Un totale di 365 persone hanno partecipato alle udienze private e pubbliche, di cui quasi un terzo erano vittime e testimoni. Le audizioni pubbliche hanno coinvolto anche organizzazioni della società civile, accademici e il pubblico in generale”.

Tra i passaggi più gravi del rapporto il riferimento alla sospensione dei diritti fondamentali dell’uomo, avutasi in più occasioni. Un’accusa nemmeno troppo velata nei confronti anche del governo, sotto la lente di ingrandimento per due punti ritenuti principali: la sospensione di diritti inderogabili e la detenzione nelle carceri regionali di uomini e donne accusati di crimini federali (cosa che comporterebbe un impasse totale, a causa del fatto che i tribunali regionali non hanno giurisdizione su crimini federali).

“Il divieto di tortura e altri maltrattamenti non può essere sospeso (non è derogabile) anche durante lo stato di emergenza, questo secondo la Costituzione e i trattati internazionali sui diritti umani ratificati dall’Etiopia. Tuttavia, le vittime hanno testimoniato di essere state sottoposte a torture e altri maltrattamenti”, si legge nel rapporto. “La Costituzione federale non consente espressamente la sospensione dei diritti civili come il diritto alla libertà e i diritti delle persone private della libertà. La Costituzione può autorizzare il Consiglio dei ministri a sospendere i diritti politici e democratici, non i diritti civili”.

“I tribunali federali hanno giurisdizione su crimini federali come i crimini contro lo stato e i crimini contro gli interessi finanziari del governo federale. Gli agenti delle forze dell’ordine federali hanno arrestato individui sospettati di aver commesso reati federali come il crimine di terrorismo, confinandoli nelle prigioni regionali o in centri di detenzione in tutto il paese”.

Gli agenti delle forze dell’ordine regionali, secondo il rapporto, avrebbero tenuto quei detenuti in custodia per conto o in fiducia degli agenti delle forze dell’ordine federali che non avrebbero ottemperato all’obbligo di portare quei detenuti davanti ai tribunali statali entro le 48 ore previste della legge, lasciando centinaia di persone in balia della detenzione arbitraria.

Il rapporto, duro nel suo genere, esorta i legislatori a incorporare la definizione di tortura nel codice penale e invita le commissioni di polizia federali e regionali a indagare sulle accuse di tortura.

“I pubblici ministeri federali e regionali dovrebbero perseguire gli autori di torture e maltrattamenti”, si legge.

Porre fine alla pratica delle detenzioni arbitrarie e illegali sia presso i governi federali che regionali, garantire che i sospetti siano portati dinanzi ai rispettivi tribunali di giurisdizione, sradicare la corruzione e i comportamenti non etici nelle forze dell’ordine, garantire la responsabilità degli agenti delle forze dell’ordine e fornire rimedi e riparazioni efficaci sono tra le raccomandazioni del rapporto alle istituzioni federali e regionali.

 

 

 

 

 

 

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