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25 maggio, Africa day: viva l’Africa perché possa vivere il mondo

Oggi il mondo è gli africani ricordano questa giornata che coincide con la fondazione ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, dell’Organizzazione dell’Unita’ africana (OUA), oggi Unione Africana.

Sotto la guida solenne dell’Imperatore Haile Selassie che pronunciò quel giorno un discorso memorabile che merita di essere ancora letto, 30 dei 32 Stati indipendenti del continente decisero di camminare lungo il percorso di costruzione dell’edificio panafricano dando concretezza al sogno panafricanista rilanciato da Krumah ad Accra nel 1957 “Africa Must Unite”.
Era un evento storico di rifondazione del continente. La risposta africana all’Europeo Congresso di Berlino, convocato da Bismarck nel 1884-85 che sanciva la spartizione del continente tra le potenze emergenti della rivoluzione industriale (Prussia, Inghilterrra, Francia e Belgio in promis). “Africa Must Unite” non solo per riallacciare i fili interrotti di una storia e civiltà africane ma anche per gettare le basi di un sogno comune, quello di ridare agli africani la propria soggettività storica e specificità identitarie troppo a lungo negate e calpestate dalla “missione civilizzatrice” e dalla brutale e violenta “occidentalizzazione” sul continente.
Con le indipendenze le Afriche iniziano a fare i conti con il peso drammatico di una storia di sofferenza e di umiliazione subite per rimettere insieme i “frammenti dispersi della propria memoria storica”. Archiviata l’era di un’Africa degli altri e per gli altri, la fine della lunga notte coloniale apre all’era della vita da se e per se attraverso una sofferta anamnesi delle scorie del passato. Gli africani si guardano finalmente allo specchio e si scoprono pronti alla libertà tanto sognata e agognata e per la quale molti hanno combattuto ( gli schiavi nei campi di lavoro; la resistenza attraverso il Gospel e le dolce melodie degli schiavi che cantano il loro anelito alla libertà; la nascita del panafricanesimo e dei movimenti esaltanti della Black renaissance; l’eclosione della negritudine; le lotte per i diritti civili; i movimenti di resistenza anticolonialista; i movimenti messianici politico-spirituale…). Un corpus teorico, poetico, di praxis di liberazione, senza il quale non si può pienamente comprendere l’avvento delle indipendenze. E’ importante conoscere questo humus letterario e filosofico per cogliere tutta la densità e pregnanza delle indipendenze che non sono solo un atto legale formale con il sigillo della comunità Internazionale.
Le indipendenze sono il frutto di una catarsis collettiva emancipatrice; esse proiettano i popoli africani dentro la dimensione mobilisatrice dell’utopia. Per costruire il luogo che non c’è: l’Africa liberata e libera, consapevole di se stessa e pronto a prendere il suo posto nel concerto delle nazioni.
E’ vero come dice Mandela che non siamo liberi ma abbiamo conquistato solo la facoltà di essere liberi, il diritto a non essere oppressi.
Tra l’utopia e la realtà sta lo spazio della nostra azione per rendere l’indipendenza una realtà tangibile per i popoli.
60 anni possono essere tanti o pochi per fare bilanci dopo secoli di dominio ed oppressione. Lasciamo agli africani il tempo di fare la loro strada, senza fretta, ma con consapevolezza. I primi decenni sono stati condizionati da scelte sbagliate da parte dei dirigenti ma anche da pesanti condizionamenti esterni. Lasciamo che gli africani apprendano dai loro errori ed/o orrori (guerre civii, corruzione, separazione tra élite e popolo, fallimento nella costruzione nazionale). Lasciamo che siano loro a trovare la strada giusta per entrare nella globalizzazione portando in dote al mondo i frutti infiniti del loro patrimonio culturale ed antropologico, quella qualità relazionale unica del vivere comune dei suoi popoli; quel legame simbiotico con la natura considerata parte armonico del cosmos unico; quell’allegra vitalità unica al di là delle asprezze della vita economica e politica. Viva l’Africa perché possa vivere il mondo.

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