Inizia il mese sacro dei musulmani e a celebrarlo saranno circa 2 miliardi di fedeli in tutto il mondo, praticando uno dei cinque pilastri fondamentali del credo islamico, il digiuno sacro dall’alba al tramonto. I valori di pace, resilienza e generosità che questo mese porta con sé, purtroppo in questo momento vengono vissuti anche in contesti di paura, sfollamento e conflitto, come ha ricordato il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.
Proprio ieri ho scritto ad un amico che vive a Karachi, per chiedergli se fosse pronto per celebrare il Ramadan e lui mi ha gioiosamente risposto “Can’t wait!” “Non vedo l’ora”. Mi ha raccontato entusiasta, lui che è un buon credente, delle tradizioni in Pakistan, facendomi partecipe della sua attesa. Sebbene con enormi difficoltà, il Ramadan, mese della generosità e della carità,è atteso lì con relativa tranquillità.
Ho rivolto lo stesso augurio ad amici in Afghanistan. La risposta è stata ben diversa, quasi infastidita. Per chi non è praticante, non è possibile attualmente rifiutarsi di celebrare il Ramadan, il regime talebano controlla ogni momento della vita e il digiuno forzato suona come uno scherzo sinistro per chi è condannato ormai da tempo a combattere la fame quotidianamente.
“Non si digiuna in nome di un dio o per un credo, in Afghanistan si digiuna per la gente, per proteggersi dal giudizio cieco di chi ti circonda, per proteggersi dalla reazione fanatica di chi si professa religioso, specialmente di chi crede ciecamente in un libro che non ha mai letto” è lo sfogo che mi sono sentita rispondere. “La paura di essere accusati da queste persone, ma anche dai membri della propria stessa famiglia, ci costringe al digiuno, perché ci sentiamo in continuo pericolo, sappiamo bene che non si scherza, ormai ci siamo abituati. La stessa gente che si mostra caritatevole durante il digiuno, è pronta a condannarti appena finito. E sono gli stessi che raddoppiano i prezzi durante il mese del digiuno, soprattutto al cibo e ai generi di prima necessità”.
Tra i pilastri del Ramadan c’è l’astensione dal mangiare e dal bere, per comprendere la propria fortuna ed essere grati. Ma se non si possiede neanche il minimo indispensabile alla sopravvivenza? Migliaia di famiglie vivono sotto la soglia di povertà, digiunare non ha più quel senso sacro di sacrificio, ma è una condanna quotidiana.
In occasione del mese di Ramadan, il World Food Programme ci invita proprio oggi a non dimenticare che milioni di persone in Afghanistan stanno lottando per riuscire ad aver un pasto al giorno. Nella pagina del 28 febbraio scorso, WFP ha indicato che servono almeno 760 milioni di dollari per aiutare le famiglie più in difficoltà per i prossimi 6 mesi.
E come dimenticare, poi, la terribile crisi in atto in Palestina? Quale Ramadan aspetta gli abitanti di Gaza, sempre più affamati, assetati, senza cure, indeboliti da mesi di guerra e di stenti? La carenza estrema di accesso all’acqua pulita,
la fame patita oltre misura, il deperimento, sta esponendo la popolazione civile a sacrifici incommensurabili. Il sacrificio del digiuno suona paradossale anche in questa sciagurata parte del mondo, che non vede tregua all’orizzonte.
Nessun digiuno sacro e spontaneo neanche per i musulmani sudanesi, costretti da una crisi spaventosa a patire la fame e la malnutrizione a causa di un conflitto che da quasi un anno coinvolge Sudan, Sud Sudan e Ciad, e che ha provocato lo spostamento di circa mezzo milione di persone in fuga dalla guerra verso il Sud Sudan e il Ciad, paesi già provati da una situazione alimentare estremamente difficile, in cui WFP e le altre agenzie umanitarie stentano a mantenere la situazione sotto controllo. L’ombra dei fondamentalisti si allarga sulla tanto auspicata transizione democratica.
Solo una tregua immediata e la conseguente soluzione di questi conflitti possono alleviare le condizioni disastrose che stiamo già registrando, e mettere un freno alla catastrofe umanitaria sotto gli occhi di tutti. Con l’augurio che lo spirito del Ramadan possa riconciliare la nostra umanità divisa.
Nella foto di copertina una donna con il suo bambino malnutrito in un ospedale nella provincia di Parwan a nord di Kabul, Afghanistan