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Nowruz Mobarak: la festa della rinascita (ma non per tutti)

Il 20 marzo circa 300 milioni di persone, dall’Iran al Kurdistan fino ad alcune zone del Pakistan, che un tempo facevano parte dell’antico impero persiano, hanno celebrato la festa di Nowruz, ovvero il “Nuovo giorno; è una ricorrenza ricca di tradizioni questo “capodanno di primavera”, che si festeggia con l’equinozio il primo giorno del mese di Farvardin, con l’augurio di pace e prosperità per tutti.


Le origini di questa celebrazione ancestrale, legata al culto zoroastriano, sono da ricercare in un passato antico più di 3000 anni, quando il mitico re
Yima volle istituire un giorno in cui si celebrasse la primavera, che successivamente Zoroastro dedicò al dio Ahura Mazda.

A pochi giorni dalle ultime elezioni, la festa assume un significato ancora più forte. Le immagini che giungono dall’Iran mostrano un paese in fermento, in cui sono visibili i segni delle passate proteste, non ancora sopite. Nei bazar, nei parchi, nelle strade affollate le donne a capo scoperto sono sempre più numerose; sempre in gruppo, per evitare di incorrere in situazioni spiacevoli, sfidano apertamente il regime, mostrando con orgoglio la libertà di cui si stanno riappropriando a caro prezzo. Alla libertà viene dato letteralmente un prezzo, con le multe che arrivano a casa, per chi viene identificata, multe che, per la maggior parte,non vengono pagate. La nuova legge promulgata nel settembre del 2023 ha, infatti inasprito i provvedimenti per chi non indossi correttamente il velo, con punizioni che possono arrivare fino a 10 anni di reclusione, multe fino a 6.000 dollari, sequestro del passaporto e licenziamento. Ma questa vittoria simbolica del “giorno nuovo”, della primavera sull’inverno, così radicata nella mentalità persiana, non può essere oscurata neanche dai reiterati tentativi di soffocare la legittima richiesta di “azadì”, di libertà.

I festeggiamenti del Nowruz durano ben 12 giorni, durante i quali l’atmosfera dovrebbe essere quella di un’allegra convivialità in cui ci si scambiano doni, si sta in compagnia, con canti e balli che nessun regime può impedire, tanto è radicata la tradizione. Le tavole si apparecchiano con le Haft sin, i sette elementi simbolici e propiziatori che iniziano con la lettera S: mele, erbe, aceto, samanu (un dolce a base di grano), somagh (una spezia rossa), bacche di senjed , poi ancora monete, libri, uova, candele. Si concludono con il Sizdah bedar, ovvero con il “13 all’aperto”, per cui, per allontanare gli spiriti maligni, bisogna trascorrere la giornata all’aria aperta. Quanto di più lontano, insomma, dalla religione tradizionale. Festeggiano i musulmani, festeggiano i seguaci del culto Bahai, festeggiano i Curdi, soprattutto in Turchia, in cui fino all’anno 2000 era vietato festeggiare, e che venivano puniti con violenze e arresti. Nowruz rappresenta per tutti un momento simbolico di universalità, inclusività, coesione e unità culturale, in cui lo spirito collettivo viene rafforzato, in nome del rinnovamento e della pacifica prosperità.

Attualmente in Afghanistan è vietato festeggiare. I Talebani hanno imposto per il secondo anno il divieto assoluto, nel tentativo di eradicare anche questa eredità culturale. Nonostante le fatwa proclamate dagli estremisti, si cerca di celebrare comunque questa festa simbolica del rinnovamento, che permea il sostrato culturale afghano, e che ha radici fortissime. Nella provincia di Herat, di antica tradizione persiana, sono stati impedite in ogni modo le celebrazioni: Jalil (nome di fantasia) racconta che i Talebani hanno intimato ai cittadini di non lasciare le proprie abitazioni per partecipare ai festeggiamenti, anche a semplici picnic all’aperto, e Somaya conferma, riferendo che i Talebani li hanno costretti a rimanere in casa il primo giorno di primavera: “I Talebani non hanno lasciato nulla che possa essere chiamato felicità. Tutto ciò che può recare gioia a noi cittadini ce lo portano via, come Nowruz, ci hanno tolto anche questo per il secondo anno. Hanno bloccato le uscite dalla città, ci hanno impedito di raggiungere la campagna circostante, ci hanno sequestrato anche il cibo preparato. Siamo tornati indietro, in città, anche i parchi pubblici erano chiusi. Il governo islamico non ha consentito di seguire un culto “pagano”, e chi è riuscito ad andare fuori in qualche modo ne ha pagato le conseguenze”.

La celebrazione della vitalità è considerato un crimine da reprimere, le persone vengono private del diritto di gioire. Per gli afghani continua il freddo silenzio dell’inverno.

Credits photo Atta Kenare/AFP/Getty Images

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