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Josef Koudelka, 30 anni di scatti nei viaggi nel Mediterraneo

Non ho mai avuto alcun eroe nella mia vita o in fotografia. Semplicemente viaggio, guardo e ogni cosa mi influenza. Tutto mi influenza. Sono abbastanza diverso rispetto a quaranta anni fa. Per quaranta anni ho viaggiato. Non ho mai soggiornato in un paese più di tre mesi. Perché? Perché ero interessato a vedere e se rimango più a lungo divento cieco Josef Koudelka.


Narrare l
etica fotogiornalistica di Josef Koudelkainfluente e storico fotoreporter internazionale della prestigiosa agenzia Magnum Photos, non è compito facile. Koudelka appartiene a una specie di reporter in via di estinzione, con una vera e propria missione:conoscere la mitica figura del nomade sempre alla ricerca della prossima immagine unica.

Per quasi 60 anni ha dedicato la sua vita alla fotografia, svegliandosi al mattino con i suoi fotogrammi e addormentandosi con essi la sera. Sono queste immagini indimenticabili a comporre il mosaico unico del suo personaggio. Koudelka Shooting Holy Land” è nato dal raro incontro tra un giovane fotografo appassionato e un maestro della fotografia di fama mondiale. Nel corso di cinque anni – racconta il regista Gilad Baram, suo assistente ho capito che per ritrarre questo artista unico e il suo singolare processo creativo avrei dovuto imparare attentamente il suo modo di vedere. Di visita in visita ho studiato i movimenti di Koudelka, i luoghi e le situazioni che catturavano la sua attenzione, la pazienza e la dedizione necessarie per cristallizzare il singolo momento. Gradualmente ho imparato a disegnare la cornice intorno a Koudelka. Ovvero, ho imparato a guardare.

“Sono cresciuto dietro il muro. Per me era la prigione, ero in gabbia. Quindi, ovviamente, non mi piaceva il Muro, ma allo stesso tempo è piuttosto spettacolare questo Muro: questo il pensiero tratto dallesperienza di Josef Koudelka.

Il fotografo ceco è cresciuto dietro la cortina di ferro e ha sempre voluto sapere “cosa c’era dall’altra parte. Questo il motivo di analisi che lha portato a sviluppare il progetto da cui è stato tratto il documentario. Nel 2008, 40 anni dopo aver catturato le iconiche immagini dellinvasione sovietica di Praga, il leggendario fotografo della Magnum Photos arriva in Israele e Palestina. Quando vede per la prima volta il muro alto nove metri costruito dagli israeliani in Cisgiordania, Koudelka rimane profondamente scosso e intraprende un progetto di quattro anni nella regione, un progettoche lo metterà ancora una volta di fronte alla dura realtà della violenza e del conflitto.

Il regista Gilad Baram, all’epoca giovane studente di fotografia, viene assegnato a Koudelka come assistente personale. Subito dopo aver intrapreso il viaggio in Terra Santa, Baram iniziò a documentare il maestro della fotografia. In ogni luogo enigmatico e visivamente spettacolare – che presto diventerà una nuova “foto di Koudelka” – la macchina fotografica di Baram rivela il metodo di lavoro di Koudelka, la sua percezione dei luoghi che sta documentando e le persone che incontra.

Emerge un dialogo affascinante tra la cinematografia documentaria giovane e empatica di Baram e la fotografia di Koudelka, inserendo Josef nelle sue composizioni mozzafiato. Le loro immagini austere di un paesaggio scavato da muri di cemento e filo spinato rivelano la tragica assurdità dell’infame conflitto.

Il linguaggio della fotografia è un linguaggio formale. Ogni fotografo sta facendo qualcosa di formale. Se è formale, allora deve essere un modo estetico per comunicare dice il maestro Sebastião Salgado.

Josef Koudelka, nato in Moravia, ha realizzato le sue prime fotografie mentre era studente negli anni Cinquanta. Circa nello stesso periodo in cui inizia la carriera di ingegnere aeronautico, nel 1961, inizia anche a fotografare gli zingari in Cecoslovacchia e il teatro a Praga. Nel 1967 si dedica a tempo pieno alla fotografia.

L’anno successivo, Koudelka fotografa l’invasione sovietica di Praga, pubblicando le sue fotografie con le iniziali P. P. (Prague Photographer) per paura di rappresaglie nei confronti suoi e della sua famiglia. Nel 1969, per quelle fotografie, riceve anonimamente la prestigiosa Medaglia d’oro Robert Capa dell’Overseas Press Club.

Nella storia fotogiornalistica di Josef Koudelka (come viene evidenziato nel documentario Koudelka Shooting Holy Land) si riconosce il pensiero di Henri Cartier-Bresson. Fotografare – scriveva il grande artista francese – è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace: a questo punto limmagine catturata diviene una grande gioia fisica e intellettuale. Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere.

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