Skip to content

Piano Mattei, occasione per ridefinire le relazioni tra l’Italia e l’Africa? Analisi punto per punto

Il 28 e 29 gennaio scorsi, Roma ha ospitato il Summit Italia-Africa, segnando il primo appuntamento internazionale sotto la presidenza italiana del G7. La decisione di inaugurare l’anno con tale incontro testimonia l’importanza che il governo italiano attribuisce al partenariato con i paesi africani. La conferenza ha visto la partecipazione del Presidente Mattarella, la Presidente del Consiglio Meloni, i leader di 46 paesi africani, i vertici dell’Unione Europea, dell’Unione Africana e delle principali Organizzazioni internazionali.
Al centro del vertice, è stato presentato il Piano Mattei per l’Africa, proposto dalla presidente del Consiglio Meloni all’inizio del suo mandato. Si tratta di un programma strategico quadriennale di partenariato tra l’Italia e gli stati africani, che si propone di stabilire un modello di cooperazione equa e non predatoria, lontana dall’approccio paternalista e neocoloniale che ha caratterizzato storicamente i rapporti tra i paesi europei e quelli africani. Le stesse organizzazioni africane, dal canto loro, enfatizzano l’importanza di coinvolgere tutte le fasce della società africana, non limitandosi agli interessi delle grandi imprese e delle élite. Solo così la partnership potrebbe essere vantaggiosa per entrambe le parti.

Il piano prende il nome da Enrico Mattei, dirigente pubblico italiano e fondatore dell’Eni, che negli anni ‘50 tentò di riformare il sistema di redistribuzione degli utili tra i paesi africani e le aziende petrolifere.
Con un finanziamento di 5,5 miliardi di euro, il progetto andrà oltre, concentrandosi su sei aree di intervento: istruzione e formazione, agricoltura, acqua e igiene, sanità, infrastrutture ed energia. Premesse considerate indispensabili anche per il contrasto all’immigrazione irregolare, tema particolarmente controverso e divisivo del consenso politico interno in Italia. Si mira a contenere l’arrivo dei migranti irregolari, tramite l’elaborazione di soluzioni volte a migliorare le condizioni nei paesi di origine, garantendo il “diritto di non lasciare il proprio paese di origine”.

Un altro punto saliente è rappresentato dal partenariato energetico. In particolare, l’Italia mira a diversificare le sue fonti di approvvigionamento di petrolio e gas naturale, proponendosi come hub energetico nel Mediterraneo e riducendo gradualmente la dipendenza dalla Russia che, prima dello scoppio della guerra in Ucraina, forniva il 43,3% del gas utilizzato dall’Italia . A seguito dell’isolamento internazionale di Mosca, l’Algeria è diventata il principale partner energetico dell’Italia, con il 37,9% di gas importato. Attraverso la costruzione di nuovi gasdotti tra l’Algeria, la Libia e l’Italia, l’obiettivo è quello di diventare un ponte tra l’Europa centrale e settentrionale e il Nord Africa.

Con la dichiarata intenzione di promuovere il Piano Mattei, dopo il Memorandum of Understanding con la Tunisia e l’accordo bilaterale con l’egiziano al-Sisi, il 18 aprile il Primo Ministro Meloni è volata a Tunisi per la quarta volta in dieci mesi per incontrare il presidente Kais Saied. Durante la riunione, le priorità emerse sono state il contrasto dei flussi migratori e la cooperazione nel settore delle energie rinnovabili, oltre a diversi accordi relativi a collaborazioni tra università e linee di credito per le piccole e medie imprese tunisine.

Il Piano si inserisce in una più ampia strategia di politica estera, volta a valorizzare il ruolo dell’Africa e del cosiddetto “Mediterraneo Allargato” nelle relazioni con l’Europa, e in particolare con l’Italia, data la loro vicinanza geografica e la presenza di interessi condivisi. Nel 2022, l’interscambio commerciale tra l’Italia e l’Africa ha quasi raggiunto i 70 miliardi di euro, rendendo l’Italia il secondo paese al mondo per le importazioni di prodotti africani.
In ragione di ciò, l’Italia dovrebbe farsi anche promotrice di una più incisiva politica africana dell’Unione Europea che, negli ultimi anni ha avviato molteplici iniziative in Africa. Un esempio è l’EU-Africa Global Gateway, annunciato nel 2021 dal Consiglio dell’UE, che rappresenta un ambizioso progetto europeo di partenariato e di trasformazione inclusiva, digitale ed ecosostenibile. Si tratta di un piano di azione che prevede di mobilitare fino a 300 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027, creando nuovi posti di lavoro e potenziando i servizi sociali, quali l’educazione e la sanità.

Nel frattempo, altri attori internazionali, tra cui Russia, Cina e Turchia, hanno rivolto la loro attenzione sul continente africano. La Russia di Putin, a partire dalla prima visita del presidente nel 2006, sta consolidando lentamente il suo coinvolgimento in Africa, attraverso ingenti investimenti nel settore minerario, energetico e agricolo, nonché attraverso il collocamento di truppe militari nel territorio del Sahel, per avanzare i propri interessi commerciali, di sicurezza e diplomatici, ma soprattutto per influenzare gli equilibri di potere a livello globale e contenere l’Europa. Ad esempio, il 28 marzo due navi russe hanno attraccato al porto di Massaua, in Eritrea, con l’intento di costruirvi una base militare. Il Ministro degli Affari Esteri Sergei Lavrov ha dichiarato che il porto ha un valore strategico per le rotte commerciali tra Asia ed Europa.
D’altro canto, la Cina, con il suo “sharp power”, cerca di consolidare la sua presenza prettamente economica attraverso la Belt and Road Initiative, definita da molti studiosi un’operazione “neo-coloniale” attraverso cui Xi Jinping tenta di affermare il suo posto da protagonista nel sistema internazionale.
Negli ultimi decenni, anche la Turchia è emersa come uno degli attori esterni più attivi e dinamici nel continente africano, soprattutto a seguito della sospensione dell’ipotesi di un suo ingresso nella UE. Oltre a significativi legami economici, in particolar modo con l’Etiopia , Ankara opera in Africa tramite due agenzie di cooperazione, TIKA e AFAD, che gestiscono gli aiuti diretti alle comunità musulmane presenti in 37 paesi africani. Inoltre, la Turchia controlla l’aeroporto internazionale in Senegal e dispone di una base militare a Mogadiscio, in Somalia.

Data la crescente importanza strategica che l’Africa riveste, l’Italia ha effettivamente il potenziale per svolgere un ruolo attivo nell’armonizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e di sicurezza nel continente, proteggendo contemporaneamente gli interessi nazionali e contenendo l’influenza dei concorrenti attori internazionali, soprattutto in un momento in cui l’interesse della NATO nella regione sta diminuendo.
Tuttavia, accanto all’opportunità rappresentata dal piano, il rovescio della medaglia è caratterizzato dallo stato di precarietà, dimostrato da numerosi conflitti interni, elevati tassi di povertà, gli effetti disastrosi del cambiamento climatico e l’instabilità politica, sintomi del persistente sottosviluppo sociale ed economico che affligge l’intero continente africano. Va inoltre tenuta presente la vastità e la pluralità delle sue componenti. Mosaico di influenze esercitate dai vicini Medio Oriente e Europa e più lontani Russia, Cina e Stati Uniti, la complessa sfida dell’Africa è proprio la necessità di differenziare la vasta gamma di etnie, culture, religioni e sistemi normativi che coesistono, per poter plasmare le politiche adeguate a ogni contesto specifico. Senza dubbio, ciò pone degli ostacoli all’attuazione del Piano, oltre alla gestione dell’instabilità diffusa dalle recenti ondate di colpi di stato in Niger, Mali, Burkina Faso, Sudan, Guinea, Gabon e Ciad, che sono culminati con la deposizione di governi che avevano rapporti con l’Europa. E che contestualmente hanno stretto rapporti di cooperazione militare con la Russia e con l’Iran.

In secondo luogo, la sfida italiana riguarda la sua credibilità agli occhi degli stati africani e la conseguente fiducia di questi ultimi rispetto alle promesse e ai buoni propositi annunciati. Infatti, memori della storia travagliata, costellata dal colonialismo e dalle lotte per l’indipendenza, che lega il continente africano all’Unione Europea, i leader africani sono cauti di fronte agli aiuti/soprusi dai loro partner dall’altra parte del Mediterraneo.

In conclusione, il Piano Mattei rappresenta un’occasione per ridefinire le relazioni tra l’Italia e l’Africa e promuovere uno sviluppo sostenibile e una cooperazione equa. Tuttavia, esso si configura al momento come una scatola vuota, da dover riempire con gli opportuni interventi concreti. Trattandosi di un progetto politico a lungo respiro, l’Italia dovrà ricercare il sostegno politico e la cooperazione concreta con gli altri stati europei per contribuire attivamente allo sviluppo dell’Africa, combinando gli interessi nazionali e quelli dell’Unione Europea, in una logica di discontinuità rispetto al passato.

Bibliografia e Sitografia:

Němečková T, Melnikovová L, Piskunova N. Russia’s return to Africa: a comparative study of Egypt, Algeria and Morocco. The Journal of Modern African Studies. 2021; 59(3):367-390;
Isibor, R. (2024), “L’Africa e i progetti di globalizzazione: 3 iniziative che stanno trasformando il futuro del continente africano”, Forbes;
www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-africa/ (Ultima modifica: 11 gennaio 2024)
Carli, A. (2024), “Migranti, Meloni e von der Leyen da al-Sisi. Siglata l’intesa Ue-Egitto da 7,4 miliardi. La premier: «Riunione storica», Il Sole 24 Ore;
Affinito D, Gabanelli M. (2024), “L’Europa perde influenza in Africa dopo gli ultimi colpi di stato. Russia, Cina e Turchia si prendono il continente”, Corriere della Sera;
The World Bank, World Development Indicators
Mamdani, M. (1996). Citizen and Subject: Contemporary Africa and the Legacy of Late Colonialism. Princeton University Press.
“Putin in historic South Africa visit”, Al Jazeera, News Agencies, 2006;
Carbone G, Donelli F, Ragazzi L, Talbot V. (2023), “La Turchia in Africa: ambizioni e interessi di una potenza regionale”, ISPI, Osservatorio di Politica Internazionale.

Torna su