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Etiopia. L’esercito eritreo perseguita le popolazione Irob

Gli Irob abitano le montagne del Tigray, a cavallo tra Eritrea ed Etiopia da secoli. La popolazione, una minoranza che conta poco meno di 40mila persone è stata però più volte oggetto di persecuzioni.

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Gli Irob abitano principalmente l’Irob Woreda, sono principalmente agricoltori, prevalentemente di religione cattolica, con una piccola percentuale di mussulmani e cristiano ortodossi.

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Alitena – Photo Credit. Afp

Dopo i due anni di guerra nel Tigray, la popolazione imbottigliata nei combattimenti e isolata geograficamente dai grandi centri della regione, ha visto l’occupazione (su suolo etiope) delle proprie terre da parte dell’esercito eritreo; un’occupazione, quella eritrea, legittimata dal governo di Addis Abeba che a Novembre del 2020 chiamò in causa l’esercito dello stato vicino per combattere a fianco delle truppe federali nello scontro con le Tigray Defence Forces.

Agli accordi di Pretoria, che hanno messo un punto ai combattimenti che hanno causato la morte di oltre 600mila persone ed oltre 2 milioni di sfollati interni (nonché quasi 5 milioni bisognose di assistenza umanitaria), non è seguito il ritiro totale delle truppe eritree, che durante i due anni di combattimenti hanno occupato interamente alcune zone del Tigray, salvo poi ritirarsene (dopo essersi rese protagoniste di gravi violazioni dei diritti umani e di crimini di guerra come migliaia di stupri, centinaia di uccisioni extragiudiziali, deportazioni, saccheggi e distruzione indiscriminata) pur mantenendo alcune zone cuscinetto di loro presenza che difficilmente verranno smantellate.

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Gli Irob oggi sono sotto il controllo dell’esercito eritreo, nella loro terra a confine con l’Eritrea; durante il conflitto il woreda ha subito una chiusura perfetta verso l’esterno, con effetti devastanti sulla popolazione alle prese con la fame e l’impossibilità di arrivo degli aiuti umanitari e con lo smembramento di intere famiglie.

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Kafna Village nella regione di Irob, Tigray, Etiopia, 1 marzo 2007; immagine di pubblico dominio.

Gli eritrei hanno preteso dagli Irob di non utilizzare la lingua saho (utilizzata usualmente nelle comunicazioni non ufficiali per le quali l’Etiopia ha preteso l’utilizzo dell’amarico) e di utilizzare la lingua tigrina, hanno emesso nuovi documenti di identità per la popolazione ed hanno arruolato centinaia di civili nelle fila dell’esercito.

Sono stati segnalate numerosissime violazioni dei diritti umani: saccheggi di abitazioni, arresti senza processo, uccisioni extragiudiziali, sparizione di civili, arruolamento forzato. Come riportato anche da Avvenire il 4 Maggio, gli Irob rischiano di scomparire.

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La strategia di Isaias Afwerki ormai appare chiara: l’annessione di intere zone del Tigray, a mo’ di cuscinetto sui confini e per indebolire ulteriormente l’amministrazione provvisoria tigrina (ricordiamoci con il vero caso irrisolto da oltre 30 anni è il rapporto tra il Tplf e Isaias Afwerki). Con gli Irob il rapporto è sempre stato conflittuale, sono stati presi di mira per trent’anni a causa anche della loro posizione durante la guerra d’indipendenza, durante la quale si dichiararono apertamente contrari all’indipendenza dall’Etiopia.

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Immagine: Prof. Kindeya Gebrehiwot/2019 Archivio

L’Eritrea sostiene che le è stata assegnata l’area di Irob ai sensi del trattato di Algeri nel 2000, che ha posto fine alla guerra di confine Etiopia-Eritrea del 1998-2000. Ma storicamente l’area di Irob non ha mai fatto parte dell’ex colonia italiana dell’Eritrea, dicono i suoi difensori, e i suoi abitanti sono sempre stati etiopi.

In una lettera di Pasqua scritta ai donatori, il vescovo cattolico di Adigrat, Tesfaselassie Medhin, ha parlato di “sofferenze indicibili, disuguaglianza, difficoltà e morte a causa di due anni di conflitto, siccità e mancanza di attenzione ai bisogni essenziali” in tutto il Tigray, evidenziando al contempo le “comunità emarginate degli Irob con la loro inimmaginabile sofferenza”.

Siamo vittime della pulizia etnica“, afferma Rita Kahsay, direttrice della Irob Anina Civil Society Association. “Le nostre case sono state saccheggiate, coloro che si oppongono a Isaia scompaiono e non si sente altro di loro. I funzionari eritrei riuniscono gli abitanti nelle città e nei villaggi e dicono loro che o accettano di cambiare nazionalità… o devono andarsene. Ma questa è la nostra terra”.

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