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Oggi il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In foto: La scuola elementare Tsehaye nella città di Shire, nel Tigray, trasformata in campo profughi. Credit: Vatican News

Etiopia: è escalation. Si riunisce il Consiglio di sicurezza ONU

Per la seconda volta da quando è iniziata la guerra, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite discuterà di Etiopia nella sessione di oggi. Onu, Usa, Ue ed Ua esprimono preoccupazione per l’escalation sul campo. I colloqui di pace previsti per il 24 in Sud Africa.

Le truppe dell’ENDF insieme a quelle eritree sembrano aver innestato un’altra marcia, rispetto alla prima fase del conflitto. Dall’inizio della nuova offensiva contro le truppe tigrine, lanciata il 24 Agosto, le forze governative hanno conquistato tre grandi città del nord del Tigray (Shire, Alamata, Korem) e si appresterebbero a conquistare in queste ore a prendere possesso di Axum dopo aver guadagnato proprio ieri Slehleka ed Amba Madre.

Etiopia, nuovo scontro tra le forze governative ed eritree contro le forze di difesa del Tigray

Il fronte nel Tigray nord occidentale. Credit: Majakovsk on Twitter
Il fronte nel Tigray nord occidentale. Credit: Majakovsk on Twitter

Questo potrebbe portare ad un’ulteriore accelerazione delle operazioni militari. Se fino ad oggi è stato piuttosto chiaro il tentativo di assicurarsi le vie di comunicazione maggiori (B30 ed A2), la messa in sicurezza della B30 garantirebbe alle forze governative l’occasione di poter determinare in Mekelle (che da Aksum dista a malapena 220 km) il prossimo, vero grande obiettivo.

Un’escalation sul campo che ha indotto la reazione delle cancellerie internazionali.

Ieri l’allerta di Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite che il 18 Ottobre, a margine di un incontro sugli obiettivi globali, ha commentato: ” Violenza e distruzione hanno raggiunto livelli allarmanti in Etiopia. Abbiamo bisogno dell’urgente ripresa dei colloqui per una soluzione politica efficace e duratura. L’ONU è pronta a sostenere l’Unione Africana in ogni modo possibile per porre fine a questo incubo per il popolo etiope“.

La nota dell'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri
La nota dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri

Parole alle quali è seguito il richiamo di Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera: ” L’UE chiede il ritiro delle forze armate eritree dal Tigray. Chiediamo la cessazione delle ostilità, l’accesso umanitario immediato e senza ostacoli nel Tigray. Il rispetto del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani non è un’opzione; è un obbligo per tutti”.

Dichiarazioni che hanno causato la reazione di Taye Atske Selassie Amderappresentante permanente etiope presso le Nazioni Unite, che in una nota ha definito le affermazioni come “ingiustificate, eccessivamente esagerate, che minano gli sforzi di pace guidati dall’Unione africana”.

Da ciò che sappiamo, al centro dei lavori del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di oggi, vi è la protezione dei civili.

I bombardamenti del 4 Ottobre su una scuola nella città di Adi Daero, che ospitava sfollati interni, che hanno causato oltre 50 morti; quelli del 14 Ottobre su Shire, a causa del quale un membro dell’International Rescue Committee è rimasto ucciso ed un altro gravemente ferito; quelli incessanti sulla città di Shire, dove a farne le spese sono stati soprattutto i civili, hanno fatto suonare il campanello d’allarme della comunità internazionale.

Troppo tardi, troppo poco, si potrebbe commentare. Forse vi è una verità in questo fatalismo che ormai regna in coloro che da due anni seguono il conflitto e rimangono basiti di fronte l’effetto yo-yo che lo caratterizza.

La comunità internazionale non ha brillato per la forza delle proprie posizioni, né per l’unità di intenti (in alcuni casi la mancanza di coordinazione ha fatto si che si lavorasse su tavoli diversi con scopi divergenti) né per la azioni messe in campo.

A tal proposito in queste ore Crisis Group e Human Rights Watch hanno esortato il Consiglio di Sicurezza Onu, l’Ue e gli Usa, a “utilizzare gli strumenti appropriati, comprese sanzioni mirate e un embargo sulle armi, per proteggere i civili a rischio”.

Oggi i membri potrebbero condannare ancora per una volta ciò che è accaduto sul campo: i bombardamenti su complessi civili, le uccisioni extragiudiziali, i saccheggi e gli stupri, che come macchie indelebili hanno insozzato (qualora non fosse bastata la distruzione della guerra e la morte di decine di migliaia di soldati) questo conflitto.

Per alcuni esperti delle Nazioni Unite la strategia di “assedio” del governo federale, che ha limitato e limita ancora l’accesso agli aiuti umanitari, ha interrotto il commercio, i trasporti, i servizi bancari, l’elettricità e le telecomunicazioni – equivarrebbe all’utilizzo della fame come arma di guerra.

La comunicazione del governo etiope sugli aiuti umanitari diretti in Tigray. FDRE
La comunicazione del governo etiope sugli aiuti umanitari diretti in Tigray. FDRE

Sicuramente, viste le premesse, l’accesso degli aiuti umanitari nella regione e le decine di migliaia di sfollati interni, ad oggi presenti anche nella regione Afar ed Ahmara, compongono l’ordine del giorno in discussione.

Dopo 7 settimane di assoluto stop all’entrata delle colonne di aiuti del World Food Programme, il 18 Ottobre il governo etiope ha comunicato la partenza dei convogli verso la regione.

Notizie che stridono fortemente con ciò che accade sul campo.

Sia l’Ue che gli Stati Uniti hanno regimi di sanzioni globali, ma nel caso della guerra in Etiopia non sono mai stati applicati.

Finora solo gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni contro l’Eritrea (o meglio contro alcuni uomini politici e militari eritrei), nonostante il ruolo svolto dalle forze militari e regionali etiopi e dalle forze militari del Tigray nei crimini di guerra documentati nei vari report, tra i quali quello interno alle Nazioni Unite.

Le istituzioni finanziarie globali, come la Banca mondiale, hanno rilasciato fondi di sviluppo all’Etiopia, anche per sostenere gli sforzi di ricostruzione e recupero nel Tigray, nonostante un blocco totale dei servizi di base nel Tigray e una guerra che a più riprese devasta la regione da ben due anni.

Un opportunismo politico che non sta facendo il bene del popolo etiope e in particolare quello dei tigrini,  e della popolazione Afar ed Ahmara, colpite anch’esse dalle violenze della guerra.

L’unione europea, gli Stati Uniti, il Consiglio di sicurezza, dovrebbero mettere in campo ed utilizzare tutti gli strumenti appropriati, comprese delle sanzioni mirate o l’embargo sulle armi, per proteggere i civili a rischio, ammonendo i contendenti su tutte le conseguenze punitive qualora questa protezione venisse disattesa ulteriormente.

Potrebbe essere un messaggio forte, agli occhi dei più cinici forse impossibile, ma le sofferenze dei civili in Etiopia non dovrebbero più essere tollerate in nome dell’opportunismo politico o dall’interesse strategico.

E’ molto probabile che nel consesso delle Nazioni Unite si discuta anche dei prossimi colloqui di pace.

I colloqui organizzati dall’Unione africana avrebbero dovuto svolgersi l’8 ottobre in Sud Africa e sarebbero stati facilitati da un team allargato di mediatori guidato dall’alto rappresentante dell’Unione africana per il Corno d’Africa, Olusegun Obasanjo, supportato dall’ex presidente del Kenya Uhuru Kenyatta e dall’ex vicepresidente sudafricano Phumzile Mlambo-Ngcuka.

Il primo appuntamento però, con l’avvio dell’offensiva, è stato rinviato. Ad oggi la data è stata rinnovata nel 24 di Ottobre, come dichiarato in un tweet dal consigliere per la sicurezza nazionale etiope Redwan Hussien.

La velocità dell’offensiva è un fattore di rischio per la popolazione.

In molte delle zone contese, i civili in fuga seguono le truppe del TDF, mettendosi a rischio di tiro da parte delle truppe federali. La velocità dell’avanzata eritrea e governativa, potrebbe esporre i civili, ancora una volta, a ritorsioni, vendette o piccoli conflitti locali, così come accaduto nella prima fase della guerra, anche a parti inverse.

Etiopia, le forze tigrine responsabili di saccheggi ed uccisioni nella città di Kobo.

I recenti guadagni sul campo da parte dell’ENDF e dell’EDF potrebbero far pensare sia ad Addis Abeba che ad Asmara di poter finalmente sferrare il colpo fatale alla leadership del Tplf. La fine del fronte tigrino, come più volte sottolineato, sarebbe per il Presidente eritreo, la fine di una minaccia vista come esistenziale.

Una velocità e delle intenzioni che facendo il paio con la polarizzazione della società etiope, potrebbero mettere il turbo all’azione, anche in vista dei prossimi colloqui di pace. Arrivare al tavolo, con una situazione sempre più a proprio favore, potrebbe davvero cambiare le sorti della guerra e del Tigray.

Ma la velocità non è il controllo della regione. Come già espresso nell’introduzione, il Tplf ha già dimostrato di essere capace di sopravvivere nelle zone più remote, difficilmente raggiungibili dai droni o dalle truppe, che pur controllando le città maggiori, gli aeroporti e le infrastrutture, si troverebbero sempre e comunque alla mercé di una guerriglia di attrito che potrebbe durare anni.

Si produrrebbe una yemenizzazione del Tigray che non porterebbe affatto alla pace, bensì ad una situazione di perenne tensione, fatta di piccoli o grandi episodi, che non garantirebbe gli interessi dello stato etiope né quelli di una popolazione, già stremata da due anni di guerra e di fame.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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