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Africa: il silenzio dei senza voce, silenziati dalle voci dei potenti

Ho scritto col silenzio il silenzio della morte. Ho scritto senza parole le ultime parole.

Ho scritto senza scrivere le indicibili pene dell’ultimo alito di vita. Ho scritto col silenzio soffocato l’ultimo rantolo di vita. Ho scritto nel cuore e non so più scrivere.

Non so più scrivere quel che ho visto e quel che vedo. La fame sulla faccia digiuna e la sete negli occhi arsi. I morsi sul cuore solo e la morsa del freddo che gela il sangue. L’ultimo battito di ciglia e l’ultima lacrima dolce. Un rivolo di vita che scivola via e muore sulle labbra. Lacrima amara e dolce. Un’istantanea. Voltapagina fulmineo di una vita. Proprio così. Da inizio a fine. Tutt’un secolo in un secondo. Ed ho negli occhi fotografie rare. Scatti di scarti di vita. Di manine che frugano tra resti di cibo negli angoli di strada e come gatti con gattini a rubar cibo. Di mine che brillano tra mani che giocano, dita nodose che levano zolle per seminare e brandelli che schizzano via. Pezzi di corpi disseminati tra mine, patate e palloni di pezza. Scatti di uomini senza scarpe e poche vesti con tre figli in spalla. Di donne sole, al sole, con la luna e sulla scia di buone stelle, in viaggio verso terre meno amare, verso libertà narrate mai conosciute. Verso altrove. Su legni, barconi e barchini. Verso sogni di vita. In cammino, nel deserto a salire, con due michette in tasca e poca acqua. Quasi senza. Senza acqua. Senza ombra. Tutto più lontano, sbiadito, sfocato. Scatti sgranati di corpi annegati sotto costa. Fuori fuoco. Sono mani nere aggrappate a gommoni in acque agitate di mari grossi e piedi scalzi di bambini riversi su sabbie anonime a dormire sonni senza sogni. Non ho scritto quel che vedo con i tuoi occhi lontani. Sempre lontano da ogni fame, da ogni bocca e da ogni storia. Tre metri sopra le sofferenze di chi vaga di terra in terra a cercar nuova terra per casa. Sette metri sopra ogni cosa non utile a sé. Dieci metri sopra terremoti a rubare casette e prefabbricati. Cento metri sulle guerre per vendere armi. Un dito dal cielo a contar tante ricchezze sulle tante povertà d’Africa. Ho scritto tutto quello che non c’è per vivere e non leggi perché nascosto da te che non sai leggere. Ma non sai neanche vedere quando guardi…negli occhi, la paura più nera della pelle. E neanche il travaglio dell’errare che scombussola cuori e confonde arrivi e partenze, soste, giacigli, capanne di paglia, rifugi di fortuna e ricoveri spesso coatti. Ho scritto col silenzio il digiuno di chi non ha da mangiare. Di chi ha fame e aspetta… di trovare nei rifiuti avanzi di cibo. Ancora così. Come nelle favole che non ricordi più o che forse non t’hanno mai raccontato. Ci sono principi e principesse con re e regine d’Africa che poveri di stracci e cuori strappati girano il mondo per sfuggire a guerre, fame e torture e non trovano un posto dove sedersi, una mano tesa, un cuore, un fratello. Ci sono uomini, donne e vecchi nei capanni, malati, in quel resto d’Africa mai sentito. Lí nel mondo del silenzio bruciano di febbre e non piove per bere. Lì non ci sono farmaci. Non ci sono terapie intensive. Quel respiro affannoso toglie la vista. Toglie la vita. Ma tutto questo non l’ho scritto. Ascolto il silenzio dei senza voce…silenziato dalle voci dei potenti.

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