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Migrazioni, parte da Palermo il Manifesto che traccia un percorso comune

Dopo il piccolo Alan Kurdi ci fu un grande clamore mediatico e tante parole di sdegno. Non era la prima volta, nè fu l’ultima. Ma, clamore a parte, nulla. Le miopi politiche di esternalizzazione delle frontiere, di respingimenti illegali, di violenze e discriminazioni sono continuate e si sono anzi esacerbate.

Salvare vite nel Mediterraneo è fondamentale ma è solo un anello della catena. La società civile, sdegnata sia dal silenzio indifferente di alcuni (molti) sia dalle urla d’odio xenofobo di altri (troppi), prova a mettere in fila una serie di punti, che si trasformano in suggerimenti, che si trasformano in richieste, che si trasformano in un manifesto programmatico, che si trasforma in una campagna.
Società civile. Persone.
Associazioni, enti, collettivi, si stanno unendo, scelgono di mettere a fattor comune competenze, forze, informazioni, capacità e provano a formare una rete, forte e coesa.

Mentre l’Italia e l’Europa continuano a bloccare le navi di soccorso e a stanziare fondi pubblici col solo obiettivo di bloccare gli arrivi, le denunce che arrivano dalle organizzazioni indipendenti e dagli organismi della Nazioni Unite rispetto alla drammatica situazione in Libia continuano a rimanere inascoltate.
E noi siamo stanche e stanchi di parole vuole, di trattative vuote, di una narrazione fortemente incompleta e parziale (quando non palesemente falsa), di ingiustizie, di odio e di morte.

Il 3 giugno 2021, presso i Cantieri Culturali alla Zisa a Palermo, le organizzazioni del soccorso in mare (riunite in una due giorni organizzativa interna) hanno scelto di dedicare un momento di incontro e condivisione, aperto alla città di Palermo e alla società civile, un momento di scambio, di conoscenza, di riflessione, di contatto.

All’interno di questo contesto abbiamo ufficialmente presentato alle realtà associative, alle ONG presenti, alla città, il Manifesto di Palermo sulle migrazioni, che nasce dall’idea, dalla perseveranza, dalla testardaggine della società civile.

Crediamo sia giusto citare associazioni, gruppi, enti e collettivi che -per primi e coraggiosamente- hanno sottoscritto il manifesto e che porteranno avanti la campagna sulle migrazioni.
Forum Antirazzista Palermo, Watch the Med – AlarmPhone, SeaWatch, Mediterranea Saving Humans, Salvamento Maritimo Humanitario, ADIF, CISS, borderline-europe, Basta Violenza alle Frontiere, Green Italia, Legambiente Sicilia, Borderline Sicilia, Forum Lampedusa Solidale, CESIE, Gambian Association – Palermo, Nio Far, Ikenga, Comitato Antirazzista Cobas, Cobas Scuola Palermo, CGIL – Palermo, Centro Diaconale “La Noce” Istituto Valdese, PRISM Impresa sociale, CEIPES, Moltivolti, Legambiente Palermo, booq, Diaria, Bocs Aps, ARCI Palermo, ARCI Porco Rosso, Comitato di base No MUOS – Palermo, Emmaus Palermo odv, Per il Pane e le Rose, Rete Anticoloniale Siciliana, Laboratorio Andrea Ballarò, Arte Migrante Palermo, Missionari Comboniani – Palermo, Laici Comboniani Palermo La Zattera, Ecomuseo Mare Memoria Viva, Refugees Welcome Italia – Palermo, TrinArt, Centro Impastato – No mafia Memorial, Rete Antirazzista Catanese.
Altre realtà si uniranno, consapevoli che solo stando insieme, in rete, si può sperare di canalizzare l’insoddisfazione, la rabbia e la voglia di fare, disarticolando stasi e apatia, indifferenza e -spesso- ostilità e odio. E solo stando insieme, arricchendosi vicendevolmente, contaminando e contaminandosi, si può sperare di avere quella forza, costanza e resistenza per provare a raggiungere l’obiettivo.

Come si parla di migrazioni in questo paese, e in Europa, e quali siano le politiche di non-gestione del movimento delle persone è palese ed è proprio da questo che partiamo.
La narrativa è sempre più densa di stereotipi e falsità, fa leva sulla paura delle persone e amplifica, indirizza e fomenta una di per sè legittima preoccupazione per il proprio futuro, per la drammatica condizione economica e -peggio- sociale, una preoccupazione che viene imbrigliata e cavalcata, alla quale viene fornito un target, lontato, de-responsabilizzante, che è “il migrante” invasore, lontano dal nostro (buono bello e giusto) modo di pensare e di agire, con culture ritenute incompatibili e, alla fine, sostanzialmente inferiori.
E questa narrativa vuole le ONG che operano in mare, e tutta la galassia di associazioni che si occupa di solidarietà, complici, “anti-italiane”, traditrici e sostanzialmente ingranaggi di un progetto destabilizzante e distruttivo. La criminalizzazione della solidarietà è uno dei frutti, uno dei peggiori, della retorica sovranista e suprematista che diventa imperante e polarizza il dibattito.
E’ una questione di linguaggio? Non solo, certamente, ma anche. Il linguaggio modella la società e trascurare questo aspetto è pericoloso.
Accanto a questa narrazione ci sono poi le azioni, le scelte politiche.
Siamo passati dagli angeli del mare ai taxi del mare. Siamo passati da Mare Nostrum ai respingimenti illegali realizzati con la complicità delle istituzioni Europee e dell’agenzia Frontex. Siamo passati dalla nostra guardia costiera che salvava le persone in mare alla c.d. guardia costiera libica, che è formata in realtà da membri delle varie milizie e dagli stessi trafficanti, che riporta le persone verso gli “orrori indicibili” dei lager libici.
E noi, Italia ed Europa, quelle milizie le abbiamo cercate, addestrate, equipaggiate e finanziate. E ancora continuiamo a farlo. Perchè facciano per conto nostro quello che noi non possiamo fare: ossia respingere illegalmente le persone, migranti e richiedenti asilo, indietro alla frontiera, verso un paese terzo nel quale non vengono rispettati -neppure lontanamente e neppure di facciata- i diritti umani delle persone.
E istituire la c.d. guardia costiera libica e l’area SAR libica è stata certamente una chiave di volta, un tassello cruciale nell’esternalizzazione della frontiera Sud, un paravento legale per operazioni palesemente illegali, oltre che inumane. Ma la sola guardia costiera in Libia non era sufficiente, serviva -importantissimo- mettere a tacere i testimoni, allontanare quelle fastidiosissime associazioni che, con le loro navi, si erano intestardite nel prestare soccorso alle persone che altrimenti avrebbero potuto annegare in mare. E tante sono annegate, lo sappiamo.
Allontanare le ONG non è stato facile, non è facile, ma ci stanno riuscendo. Sia creando quel contesto sociale di odio e feroce attacco, costante ed estenuante, sia provando in ogni modo a fermarle. Con i processi penali prima, con quelli amministrativi adesso.
Ma non vogliamo cadere nel tranello di parlare solo di salvataggi in mare. Salvataggi che sono certamente fondamentali, segno dirimente dell’umanità o disumanità della nostra generazione e delle Istituzioni che ci rappresentano, ma che sono uno, e solo uno, degli anelli del complesso discorso che riteniamo debba essere fatto sulle migrazioni.
Perché compiere l’azione (necessaria e indispensabile) di salvare vite in mare significa che, in quel mare, ci sono ancora (e non dovrebbero starci) persone che rischiano la vita alla ricerca di pace, sicurezza, dignità.

Per questo, partendo dalla reiterata e costante richiesta, promossa dalle organizzazioni di soccordo in mare, di una missione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo organizzata e coordinata dalle Istituzioni Europee, abbiamo voluto provare mettere in fila tutti i punti che devono essere toccati, e che devono essere toccati tutti insieme e adesso.
Nel Manifesto di Palermo sulle Migrazioni si trova una visione di società più giusta e inclusiva, e una serie di richieste. Forti e nette, come -da persone e associazioni libere quali siamo- possiamo porre. Richieste dirette alle istituzioni Europee e a quelle degli Stati membri, in primis quelle italiane. Richieste che sono, infine, sempre le stesse, e sono quasi stranianti nella loro semplciità e banalità. Sono richieste che riteniamo fondamentali, non negoziabili, non scontabili, non diluibili, non barattabili. Sono richieste che prefigurano una radicale modifica delle politiche europee e italiane nel campo delle migrazioni. Sono richieste che parlano di diritti umani, di libertà, di equità, di giustizia. Sono richieste immediate, semplici, chiare, inequivocabili.
Troviamo quasi banale doverle ribadire, troviamo incomprensibile che non siano già nei programmi europei e troviamo inconcepibile e inaccettabile che quell’Europa che si professa, con malcelata arroganza e superbia, patria dei diritti e del diritto, si affanni, piccola, miope e suicida, a rispondere -con le parole e ancor più coi fatti- negativamente, inventanto scuse per costruire muri, fisici e non, per “difendere” i propri confini esterni.
Qui le richieste contenute nel Manifesto.
Come società civile e associazioni, chiediamo:
• un sistema europeo e/o nazionale, coordinato ed efficace, di pattugliamento del Mediterraneo finalizzato esplicitamente alla ricerca e soccorso di persone in difficoltà, alla loro cura e al loro accompagnamento nel Place of Safety più vicino (che ovviamente non può essere né la Libia, né la Tunisia);
• l’eliminazione delle fortissime asimmetrie attualmente esistenti nel diritto alla libertà di movimento delle persone, attraverso la predisposizione di vie di accesso legali all’Europa;
• l’istituzione di corridoi umanitari sicuri, strutturati, capillari e stabili per tutte le persone che abbiano intenzione di richiedere asilo e protezione;
• la cessazione immediata della campagna di criminalizzazione della solidarietà, dell’attacco strumentale -giudiziario, politico e di una certa narrazione che fomenta odio, razzismo e xenofobia- nei confronti delle ONG che operano in mare, nonché dell’utilizzo di attività sistematiche di Port State Control con lo scopo di tenere la società civile lontana dal mare;
• l’interruzione immediata delle violenze e violazioni/crimini di Stato che hanno luogo lungo i confini d’Europa, dalla rotta balcanica, al Mar Egeo, al Mediterraneo Centrale, fino alle enclaves di Ceuta e Melilla e alle rotte via mare verso la Spagna, nei confronti di persone in movimento (in ossequio all’obbligo giuridico e morale delle autorità statali di adottare tutte le misure necessarie atte a prevenire situazioni degradanti e di monitorare la corretta applicazione delle stesse);
• lo smantellamento degli accordi di collaborazione con Paesi terzi (ad esempio la Libia, la Tunisia, la Turchia o il Marocco) evidentemente finalizzati a favorire il rimpatrio forzato (respingimento) e ad esternalizzare sia la gestione dei confini che la responsabilità – umana e giuridica – di violazioni del framework internazionale sui diritti umani, il diritto di asilo e il diritto del mare;
• l’adozione di strumenti di politica internazionale che consentano di controllare che accordi con Paesi terzi non comportino, direttamente o indirettamente, una violazione dei diritti umani delle persone;
• una radicale riscrittura del Patto europeo su migrazioni e asilo che così come stutturato continua a rappresentare una politica di esclusione, di esternalizzazione delle frontiere con i paesi di origine e di transito, di restrizione della libertà di movimento, che causano violazioni sistematiche dei diritti umani delle persone con meccanismi di selezione e rimpatrio – mascherato da “solidarietà” e pratiche di “redistribuzione” – che servono in realtà a impedire alle persone di mettere piede in Europa;
• la garanzia che i centri destinati alla prima accoglienza delle persone migranti siano adeguati a norme, trattati e convenzioni nazionali ed internazionali sui diritti umani e chiusura degli attuali spazi concentrazionari (siano essi campi, come Moria, hotspot o navi quarantena) in cui le persone migranti sono ora costrette a stare per un tempo elevato e spesso indeterminato, senza supporto medico/psicologico, senza informazioni, senza supporto legale, abbandonati in uno stato di incertezza e di disorientamento.

Richeste semplici e chiare. Pulite.
Siamo stanche e siamo stanchi. Non accettiamo promesse, non accettiamo compromessi al ribasso, non accettiamo più che si tergiversi sulla pelle delle persone.
La presentazione del Manifesto è stato solo il primo passo. Primo passo di un percorso, una campagna, che vede il coinvolgimento delle associazioni aderenti (e quelle che vorranno aderire, le sottoscrizioni sono sempre aperte). Una campagna dal basso, costruita insieme, perchè camminando l’una accanto all’altro possiamo sperare di fare da volano e fattore aggregante nella società civile tutta.
La campagna vedrà la nostra partecipazione nelle piazze, a partire da quella di Palermo ma con la ferma intenzione di andare oltre. E ci vedrà presenti anche online, sui canali social e sui mezzi di informazione.
Useremo, usiamo già, INFOSOL, neonato canale informativo della società civile sul tema della solidarietà.
Faremo crescere la nostra rete, contando sul potere aggregante che il manifesto, con le sue puntuali richieste, può avere nel mondo delle associazioni piccole e grandi, locali e internazionali.

Saremo presenti all’evento internazionale From the sea to the city, che si terrà a Palermo e online il 25 e 26 giugno, probabilmente all’interno di un panel dedicato al networking tra le realtà solidali.
Saremo dove riteniamo sia giusto essere e dove le forze ci consentiranno di essere.
Costruire muri, siano essi d’acqua, di cemento, di filo spinato, d’odio e di indifferenza, non impedisce -sia chiaro a chiunque- alle persone di mettersi in viaggio, non ferma i c.d. “flussi migratori”, non interviene sulle cause del movimento, non contrasta (anzi alimenta) il traffico di esseri umani, ma rende solo più difficile, lungo, costoso e mortale il viaggio.

E’ questo che alcuni vogliono? Probabilmente si. E’ questo che vogliamo noi? Assolutamente no.

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