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Libia, il racconto del disperato viaggio dei migranti dal Niger attraverso il deserto

“Per i viaggiatori che cercano di attraversare l’insidioso Grande Deserto del Saharaq in Libia per raggiungere l’Europa, passando per la piccola isola italiana di Lampedusa, la Sicilia o Malta, ci sono molte insidie da superare oltre alle altissime e pericolose dune di sabbia. Tentando disperatamente di trovare la strada, è solo la loro volontà d’acciaio a tenerli in vita mentre viaggiano alla ricerca di una vita migliore in Europa”.
Chi ci racconta tutto questo è S. O. direttore esecutivo di un’associazione nigeriana che da anni si batte contro la tratta di esseri umani.
S.O. nel 2007 ha intrapreso con i suoi connazionali il lungo e pericoloso viaggio verso il Paese nordafricano con la speranza di raggiungere la Libia e poi salpare per l’Italia per una vita più fortunata.
Con poco più di 400.000 CFA (la moneta delle colonie francesi d’Africa), il sogno sembrava a portata di mano. Aveva ascoltato diverse storie di successo di compagni di scuola e amici.
Rabbrividendo, ricordò quella fatidica notte fredda in cui si mise in viaggio per la Repubblica del Niger verso la Libia. Aveva viaggiato per due notti e due giorni su piste sterrate in un convoglio di veicoli che si snodava attraverso le innumerevoli dune di sabbia insieme a 35 connazionali stipati in un veicolo Toyota Hilux costruito per otto persone. Altri meno fortunati erano precariamente appollaiati su camion aperti che trasportavano oltre 280 persone alla volta.
Quella tratta di deserto era fatta oltre che di sabbia anche di nomadi armati di spada, di scheletri di migranti morti per sete, malattia o uccisi dai Tuareg. Questi signori del deserto armati fino ai denti che senza scrupoli derubavano e violentavano la maggior parte delle donne nigeriane in viaggio.
A distanza di 15 anni S.O. ha confessato di vivere ancora con le cicatrici di quei giorni massacranti inferte dai guerrieri del deserto, banditi assolutamente ben organizzati e pesantemente armati con pistole, spade, coltelli e altre armi pericolose.
O., originario di Uromi, nell’area di governo locale di Esan Nord-Est dello Stato di Edo, ha detto che nessun autista osa attraversare il deserto per raggiungere la Libia senza aver pagato il passaggio ai Tuareg, ‘Buzu’ come vengono chiamati in Nigeria.
Qualora non lo facesse il rischio è di essere ucciso sul posto o di vedersi raddoppiare la tassa. La maggior parte degli autisti si ferma di propria volontà e si inginocchia davanti ai sedicenti Emiri prima di procedere verso la Libia.
Ricordando quei momenti maledetti ha poi aggiunto: “Molestano e intimidiscono i viaggiatori affinché paghino. Devi sborsare tutti i tuoi soldi per accontentare i banditi. Rimani senza nulla. Sono Tuareg gente estremamente malvagia e senza pietà. Nel deserto sono il signore e la legge e nessun governo li sfida”.
Sospirando profondamente il nigeriano prosegue: “Alcuni mettono i loro soldi in quella che chiamiamo Banca Mondiale. Avvolgono il malloppo molto stretto, lo mettono in un cellophane che viene poi inserito nell’ano, mentre le ragazze mettono i loro soldi nella vagina. E loro lo sanno. Ordinano alle ragazze di spogliarsi e di inserire le mani nelle loro parti intime per tirare fuori i soldi. Se non viene fuori nulla danno alle viaggiatrici un intruglio da bere. Nel giro di pochi minuti queste emettono escrementi che vengono poi esaminati per trovare il denaro. Purtroppo le ragazze vengono spogliate, perquisite, derubate e stuprate apertamente. Lo fanno all’aperto, sotto gli occhi degli altri viaggiatori, senza preservativi. Nessuna ragazza passa dal Niger alla Libia senza essere derubata e violentata. E se interrogate non vi racconteranno mai di aver avuto queste esperienze. Nessuna di loro avrà mai il coraggio di raccontare la propria esperienza a causa della stigmatizzazione. Diranno solo che il viaggio non è facile”.
S.O. continua con tristezza: “ dal Niger alla Libia, i viaggiatori arrivano a due porti d’ingresso: Gatroun e Ghat, tutti nel sud della Libia da dove risalgono verso nord fino a Sabha, poi a Murzuk e a Tripoli dove cercano di attraversare il Mediterraneo su gommoni sgangherati”.
Ha ricordato poi che un certo Dogo Gatroun (nome di battaglia), un tipo dello Stato del Delta in Niger, era l’ufficiale di collegamento nel Paese nordafricano. Poliglotta, Dogo parlava Hausa, inglese e arabo. Lui e altri africani facevano da tramite nelle trattative con gli arabi per imbarcare i migranti verso l’Italia. Tutto era programmato da lui: attese, luoghi in cui transitare, case in cui dormire e appuntamenti al porto libico per l’imbarco. Tutti i migranti illegali che mettevano piede in Libia, prima venivano portati a Zuara per negoziare il costo del viaggio verso l’Italia in barca. E prima ancora di raggiungere Tripoli per tentare la traversata.
Succede esattamente così, tutti i migranti nigeriani si dirigono prima verso il ghetto per sostare con i propri connazionali, anche settimane prima dell’imbarco, poi si accordano su cosa fare e come procedere una volta arrivati a destinazione. Quando sono pronti vengono fatti uscire dal ghetto e proseguono il viaggio fino a Tripoli. Tutte le traversate iniziano per lo più tra la mezzanotte e le sette di mattino.
S.O. aggiunge “Le uniche persone che si vedono di giorno sono quelle salvate durante il pericoloso viaggio verso l’Italia. Sono le persone che sono state arrestate per immigrazione clandestina e vengono portate nei centri di detenzione dalla Guardia Costiera. Quello che le ambasciate straniere vogliono è la prova del tuo normale ingresso in Libia dal Niger. Si tratta di un ingresso dalla Nigeria al Niger e di un ingresso dal Niger alla Libia. La Nigeria dovrebbe timbrare l’uscita mentre il Niger timbra l’entrata e al confine del Niger con la Libia si timbra l’uscita mentre la Libia timbra l’entrata.
Prima della partenza i libici selezionano i migranti provenienti dai Paesi del sub-sahara. Questi vengono stipati in due imbarcazioni, una di queste viene preparata sapendo che raggiungerà il sud dell’ Europa, l’altra viene intercettata dalla Guardia Costiera libica con una messa in scena e riportata indietro con tanto di fanfara, dando l’impressione agli europei di aver fatto un lavoro sublime”.
e l’Europa continua così a finanziare i lager libici.

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