vai al contenuto principale

Inchiesta, Togo: una sola famiglia è al potere dal 1967

Da oltre 54 anni il Togo soffre sotto la tirannia di un’unica famiglia, la famiglia Gnassingbé, prima con il padre Eyadema, al potere dal 1967 al 2005, poi con il figlio Faure, presidente-dittatore dal 2005 ad oggi.

Il 5 febbraio 2005 il generale Eyadema Gnassingbé muore, dopo 38 anni di governo; secondo l’articolo 65 della Costituzione, deve  essere il presidente dell’Assemblea nazionale, Fambaré Natchaba, a svolgere il ruolo di capo dello stato ad interim e ad annunciare la data delle elezioni presidenziali, che devono svolgersi entro 60 giorni. I militari, però, fanno un colpo di stato e nominano presidente Faure Gnassingbé, figlio del dittatore defunto, che all’epoca ha solo 39 anni. Il pretesto addotto dai militari è che, poiché il presidente del Parlamento si trova all’estero, si è creato un vuoto di potere che bisogna colmare. In verità, i militari hanno chiuso le frontiere ed impedito il ritorno in patria di Fambaré, che si trovava a Cotonou, in Benin, a pochi chilometri da Lomé, la capitale del Togo. La comunità internazionale, però, protesta vigorosamente e chiede il rispetto della Costituzione; una delle voci più forti e autorevoli è quella di Alpha Oumar Conaré, presidente della commissione dell’Unione africana, che condanna senza ambiguità il colpo di stato.

In seguito a queste proteste, Faure Gnassingbé si dimette e viene nominato presidente ad interim Abbas Bonfoh, che all’epoca era il vice-presidente del Parlamento. Le elezioni presidenziali sono indette per il 25 aprile 2005 ed i candidati più forti sono due: Faure Gnassingbé e Bob Akitani, capo del principale partito di opposizione. Le elezioni sono grossolanamente truccate e, nonostante il popolo abbia votato per Akitani, la commissione elettorale, che non è mai stata imparziale in tutta la storia del Togo, dichiara vincitore Faure Gnassingbé. La popolazione scende in piazza per protestare, ma la repressione è terribile: secondo Amnesty international, i morti sono almeno 500, mentre oltre 100.000 persone decidono di scappare all’estero.

L’Unione europea in sostanza accetta passivamente lo status quo e, di fatto, appoggia il dittatore del Togo; il Paese europeo che sostiene di più Faure Gnassingbé è la Francia. La cooperazione UE, interrotta nel 1993 per “deficit democratico”, riprende nel 2007, nonostante nel Paese i diritti umani continuino ad essere violati e le regole della democrazia siano calpestate.

Il popolo togolese, però, vuole un’alternativa democratica e continua a protestare; le manifestazioni di piazza diventano impressionanti nel 2017, quando sono ormai 50 gli anni di dittatura. La popolazione chiede le dimissioni di Faure, ma il dittatore togolese non vuole cedere il potere. Nel settembre 2017, egli finge di ascoltare le ragioni dei manifestanti, presentando in Parlamento una nuova legge che prevede solo due mandati presidenziali; la legge viene approvata, ma non ha valore retroattivo, dunque Faure potrà governare fino al 2030.

La repressione è come sempre spietata: due giornalisti critici verso il regime, Atsutsé Agbobli e Radjy Yekini, sono barbaramente assassinati e migliaia di manifestanti vengono arrestati. Tra i mille episodi di violenza, uno veramente significativo della brutalità della polizia riguarda le signore Komlan e Yao, mogli di due persone sospettate dalla polizia di aver commesso una rapina. I due uomini vengono picchiati e torturati, ma non confessano e continuano a dichiararsi innocenti. Ecco allora che i poliziotti se la prendono con le mogli. La signora Komlan, che è incinta, viene arrestata e torturata con scariche elettriche; queste torture provocano la morte del bimbo che ha in grembo. Anche la signora Yao, che vive da sola con suo figlio appena nato, viene arrestata; nonostante la madre supplichi gli agenti di permetterle di trovare una persona che si occupi del neonato, la polizia la porta via immediatamente. Il bambino, rimasto solo in casa, muore di fame poco tempo dopo l’arresto della madre.

Il 22 febbraio 2020 si vota per eleggere il presidente del Togo. A sostegno di Agbéyomé Kodjo, candidato dell’opposizione, si schiera monsignor Philippe Fanoko, arcivescovo emerito di Lomé, che, nonostante i suoi 90 anni, decide di fare campagna elettorale per chiedere finalmente un’alternanza di governo. Le elezioni, però, sono truccate ancora una volta e Faure si assicura così altri cinque anni di regno; il candidato dell’opposizione, che è il vero vincitore delle urne, è costretto a fuggire all’estero. Anche il vescovo Fanoko, minacciato di morte, deve rifugiarsi in Francia.

È ormai evidente che, finché non ci sarà un presidente eletto in elezioni libere e trasparenti, il popolo togolese sarà condannato alla povertà e alla sofferenza.

Torna su