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Etiopia, 182 milioni di euro siglati tra la Presidente Giorgia Meloni e il Primo Ministro etiope in visita in Italia

Nell’ambito dell’Ethiopian Italian Cooperation Framework 2023-2025, annunciato durante la visita del Premier Abiy Ahmed a Roma lo scorso 6 febbraio, Italia ed Etiopia hanno firmato accordi per 140 milioni di euro [100 Milioni di credito, 40 milioni sotto forma di dono e 42 milioni nel settore del caffé]

L’accordo è stato firmato dalla Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni e dal Primo Ministro Abiy Ahmed ali.

“L’accordo quadro di cooperazione ha due pilastri principali di azione: lo sviluppo economico e la creazione di posti di lavoro e l’accesso ai servizi di base. Particolare importanza è data alla formazione professionale che favorirà la creazione di posti di lavoro, ai servizi di base in particolare la sanità, l’istruzione e l’acqua e l’ambiente”

Due clausole aggiuntive per nuovi programmi.

“Minimizzazione del rischio di investimento nel settore del caffè etiope e supporto istituzionale all’Etiope Coffee Authority (ECTA)” del valore di 10,5 milioni di euro, e un’altra iniziativa, “WaSH, resilienza, energia nelle pianure etiopi” del valore di 31,5 milioni di euro sono state firmate durante il visita, del Vice Primo Ministro italiano, Antonio Tajani, e del Ministro delle finanze etiope, Ahmed Shide.

Questo porta l’importo complessivo degli accordi firmati a Roma a 182 milioni di euro, portando le iniziative di sviluppo finanziate dall’Italia in Etiopia nelle ultime settimane a 200 milioni di euro.

Accordi anche sulla sicurezza, riattivando il precedente accordo congelato dall’ex ministro della Difesa Guerini.

Come sottolinea Paolo Lambruschi, giornalista di Avvenire, non bisogna dimenticare che è stato rimesso in opera l’accordo sulle armi:

“L’Italia ha riattivato l’accordo di cooperazione nel settore degli armamenti con l’Etiopia che con la guerra civile era stato sospeso.”

Settore della difesa, l’economia sulle armi, che non riscontra mai limiti di crescita, nonostante, o per meglio dire, grazie ai due anni di guerra genocida in Tigray. Guerra che ha prodotto più di 600.000 morti ed oggi, insieme al resto del nord Etiopia, nelle regioni Afar ed Amhara, milioni di persone ne stanno pagando le conseguenze.

Si ricorda che c’è voluta l’interrogazione parlamentare per voce della deputata Piera Aiello, appena dopo un anno di guerra genocida in pieno svolgimento, su pressione dei Giovani Tigrini Italiani, per chiedere trasparenza all’ex ministro della difesa Guerini sullo stato dell’accordo bilaterale per la difesa siglato da Elisabetta Trenta ed avviato pochi mesi prima dello scoppio della guerra in Tigray il 3 novembre 2020.

Come ricordava Antonio Mazzeo su Africa Express il 7 novembre 2020:

“Nonostante l’incalzante emergenza per la diffusione del Covid-19, la Camera dei deputati varava il testo il 5 febbraio 2020 (relatrice l’on. Mirella Emiliozzi di M5S, facente funzioni in una delle sedute l’on. Piero Fassino del Pd ), mentre il Senato della Repubblica lo approvava in via definitiva lo scorso 8 luglio (relatore il sen. Alessandro Alfieri del Pd). La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 agosto 2020 ed è in vigore dal giorno successivo.”

Già all’inizio del 2020 c’erano segnali e tensioni molto forti che preannunciavano potenziali instabilità e la guerra come un’ipotesi di risoluzione di tale contesto in Etiopia.

L’interrogazione parlamentare ricevette risposta sintetica di e sbrigativa del Min. Guerini il 28 gennaio 2022: “Alla luce del degenerare della situazione nel Tigray rappresento che il Dicastero ha cessato ogni tipo di attività prevista dall’Accordo di cooperazione.”

Per mezzo dell’ articolo di Elisabetta Burba per Panorama riporta anche le dichiarazioni di Elisabetta Trenta, ministro predecessore di Guerini, che aveva espresso legittime perplessità.

“Una sospensione di fatto non è una sospensione ufficiale” aveva osservato l’ex ministro, che nel 2019 aveva sottoscritto l’accordo militare in questione. “Si sarebbe potuto ufficializzare la sospensione, dandole rilievo anche comunicativo, per fare in modo che la posizione del Paese fosse chiara.”

Approccio agli antipodi di quello perseguito ed esplicito della Francia quando il 13 agosto 2021 aveva sospeso il suo accordo militare con l’Etiopia e ne aveva dato comunicato di pubblico dominio e non fatto passare in sordina come dal governo italiano.

Elisabetta Trenta infatti ha aggiunto:

“Sul conflitto in Etiopia l’atteggiamento dell’Italia è sempre stato tiepido. A mio avviso sull’accordo militare occorreva un atto formale, un’interruzione formale ufficiale, in modo da fare una pressione più forte sul primo ministro Abiy Ahmed. Tra l’altro, mi piacerebbe anche sapere le modalità con cui l’accordo è stato sospeso. È stato comunicato all’Etiopia? O è stato semplicemente bloccato in attesa di sviluppi? Diciamo che da parte dell’Italia sono mancate azioni forti.”


Approfondimenti:


Lunedì 6 febbraio 2023 invece Lia Quartapelle, deputata PD, in un post social si dichiara vicinanza al Tigray e fa appello perché:

“L’Italia non deve riprendere la cooperazione militare con l’Etiopia”

Un appello poco credibile, almeno per il su citato contesto e per chi ha seguito assiduamente la tematica del conflitto in Etiopia negli ultimi 2 anni e soprattutto per la diaspora in Italia che aspetta ancora risposte ai molteplici appelli dal governo di oggi della destra di Giorgia Meloni e soprattutto da quello precedente.

Aggiornamento: per dovere di cronaca si segnala il chiarimento di smentita della deputata PD che chiarisce indicando gli atti di preoccupazione e interrogazione avanzati sotto il Gov. Draghi:


Approfondimenti:


Sono stati due anni in cui la diaspora ha atteso risposte, non ha avuto possibilità di confronto con le istituzioni.


Alcuni appelli e manifestazioni della diaspora segnalati dalla redazione di Focus On Africa:


Diaspora che ha vissuto in agonia, e per certi versi ancora oggi, e letteralmente in mancanza di comunicazioni con conoscenti e famigliari in Tigray sotto le bombe, repressione, violenze, abusi ed isolati totalmente dal resto del mondo, senza elettricità, linea telefonica e internet per 2 anni: il blackout più lungo della storia.


Approfondimento:


Il governo italiano è stato ligio alle formalità comunitarie europee e soprattutto al capofila USA di Joe Biden. Nel contempo non c’è mai stata una vera presa di posizione né da parte politica né mediatica italiana per mantenere alta l’attenzione riguardo al genocidio avvenuto in Tigray.

Oggi parte della società civile e della diaspora chiede giustizia e soprattutto trasparenza.

La redazione di Focus On Africa si è fatta portavoce nel settembre 2022 di questo particolare appello e sta ancora aspettando risposta dagli organi competenti di governo.

Il Tigray, nonostante l’accordo di “cessazione ostilità” (un cessate il fuoco, una tregua siglata dal governo centrale di Abiy e dai rappresentanti del Tigray, portavoce del TPLF – Tigray People’s Liberation Front) diverse aree dello stato regionale tigrino non sono ancora accessibili al supporto ed agli umanitari perché ancora occupate da “forze straniere”, militari eritrei nella zona, nel distretto di Erob ( Irob woreda) e nella zona occidentale tigrina, occupata e rivendicata dagli Amhara come storicamente di loro giurisdizione.

Il ritiro delle “forze straniere” dalla regione e la rivendicazione territoriale sono due punti basilari dell’accordo di Pretoria che ancora oggi, insieme all’accesso umanitario sono ago della bilancia per raggiungere o meno la stabilità del nord Etiopia, per perseguire la pace.

Un altro punto fondamentale, oltre al disarmo del TDF – Tigray Defence Forces che in buona parte è avvenuto, è anche il ripristino dei servizi di base: linea telefonica ed internet funzionante ma a basso livello, rete non ancora stabile. In molte zone rurali, la maggior parte della regione, sono ancora isolati. I conti correnti bancari, per 2 anni bloccati in toto, stanno riattivandosi

Abie Sano, presidente della Commercial Bank of Ethiopia ha annunciato:

“Grazie mille a tutti coloro che ci hanno aiutato, siamo tornati alla piena attività a MEKELE e nelle città circostanti poiché 31 filiali di CBE hanno già iniziato a operare questa mattina e altre 16 si uniranno nel pomeriggio!”

La conferma è arrivata da alcune fonti, contatti diretti in loco. Purtroppo Mekellé, per quanto importante e fulcro storico, culturale e capitale regionale, non è tutto il Tigray. Tigray che attende da molto, ha urgentemente bisogno di tutto, materiale igienico/sanitario, medicinali, cibo e acqua, oltre appunto a una stabilità sociale subordinata al rispetto dei punti dell’accordo di tregua per il bene comune, la ripresa e la ricostruzione, per la pace.

Anche le regioni Amhara e Afar prese di mezzo dal conflitto hanno milioni di sfollati interni in attesa di aiuto e supporto. Il Sudan è da due anni che accoglie circa 70.000 rifugiati tigrini scappati dalla guerra genocida e che sono impossibilitati a torrnare a casa perché ormai non esiste più o perché molti di loro sfiduciati e soprattutto impauriti dall’occupazione militare di eritrei e amhara. Le stime ONU parlavano di 13 milioni di persone nel nord etiopia in attesa e dipendenti dagli aiuti umanitari.

Punti quelli dell’accordo da perseguire e tanto sognati da milioni di etiopi che hanno sofferto per più di 2 anni subendo violenze, abusi e repressione (90% degli ospedali distrutti, e da considerare bambini e ragazzi che per 3 anni nonhanno ricevuto istruzione e non sono andati a scuola per emergenza COVID e perché distrutte dalla guerra) ma nel contempo punti anche tanto fragili e delicati che se non corrisposti con i fatti sul campo potrebbero disgregare e rompere anche quel minimo di fiducia diplomatica raggiunta negli ultimi 3 mesi.

Contesto diplomatico etiope in Europa

Il primo ministro Abiy e la sua delegazione, dopo la visita in Italia, hanno intrapreso un volo in Francia incontrandosi con il Presidente Macron.

Francia che solo dopo 27 anni, durante l’atroce commemorazione del genocidio in Rwanda, nel 21 marzo 2021 ha dichiarato per mezzo del report “La France, le Rwanda et le génocide des Tutsi (1990-1994) – Rapport remis au Président de la République” e attraverso le parole del Premier Macron, di aver avuto la responsabilità nel non aver voluto vedere i preparativi e di non aver compreso il pericolo della politica che ha consentito il genocidio di milioni di persone.

L’atteggiamento di silenzio è stato complice della carneficina e sembra in qualche maniera essere anche la politica estera italiana nei confronti di 2 anni di guerra genocida in Tigray e sconfinata in altre aree del nord Etiopia. Guerra che ha prodotto più di 600.000 vittime, persone uccise da bombe, arresti di massa su decine di migliaia di tigrini, stupri, pulizia etnica e scelte politiche che hanno prodotto blocco “de facto” del supporto umanitario.

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