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Sahel, le giunte militari in Burkina Faso e in Mali prolungano la “transizione”

I regimi militari del Mali e del Burkina Faso, saliti al potere con rovesciamenti di governo rispettivamente nel 2021 e 2022, avevano solennemente promesso transizioni rapide verso elezioni democratiche e un miglioramento della sicurezza nella regione del Sahel, flagellata da decenni di instabilità e terrorismo.

Tuttavia, hanno prorogato unilateralmente le loro transizioni, con una decisione senza consultazioni popolari e in barba alle scadenze concordate. Si tratta di un palese tradimento degli impegni assunti e un tentativo cinico di consolidare il potere acquisito illegittimamente, che rivela una preoccupante deriva autoritaria che mina le speranze di democratizzazione e stabilità.

Ieri, 25 maggio, il governo militare del Burkina Faso ha esteso di 5 anni la presidenza di fatto del capitano Ibrahim Traoré, 36 anni,leader del golpe, dopo che i colloqui nazionali sono stati boicottati dalla maggior parte dei partiti politici. Resterà al potere fino al 2029, dopodiché potrà ancora candidarsi alle elezioni che verranno indette in futuro.

Precedentemente, l’11 maggio scorso, i membri dell’assemblea del “dialogo nazionale” del Mali, a cui non ha partecipato una fazione dell’opposizione, hanno raccomandato che il governo militare del paese venga esteso per altri tre anni fino al 2027, con il presidente ad interim Assimi Goïta, capo dei golpisti, a cui è stato chiesto anche di candidarsi alle eventuali elezioni.

Le giunte giustificano la loro permanenza al potere con la necessità di contrastare l’insicurezza e la minaccia jihadista. Tuttavia, i progressi tangibili su questo fronte sono scarsi, se non addirittura assenti. Al contrario, si assiste ad un aumento della violenza e delle violazioni dei diritti umani, alimentati da metodi repressivi e da una preoccupante mancanza di trasparenza.

Invece di affrontare le proprie responsabilità e di elaborare strategie concrete per la sicurezza, i regimi militari preferiscono adottare una narrativa accusatoria, individuando nemici esterni a cui imputare le proprie incapacità. La Costa d’Avorio, in particolare, è stata presa di mira da accuse infondate di destabilizzazione e sostegno ai gruppi jihadisti.

Tali tattiche di diversione servono unicamente a distogliere l’attenzione dalle reali problematiche interne e a giustificare la repressione della dissidenza. La strumentalizzazione della lotta al terrorismo per scopi politici rappresenta un ulteriore elemento di preoccupazione, evidenziando la cinica disconnessione tra i proclami e le azioni concrete.

Le preoccupazioni non si limitano al Mali e al Burkina Faso. Si teme che il Niger, anch’esso alle prese con una transizione militare, segua l’esempio dei suoi vicini, prolungando la propria permanenza al potere e adottando politiche autoritarie simili.

Se confermata, questa eventualità rappresenterebbe un grave passo indietro per la democrazia e la stabilità nella regione del Sahel, normalizzando il ricorso a regimi militari e ostacolando il consolidamento di governi civili legittimi.

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