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Diritti umani

Etiopia, dalla strage di Debra Libanòs agli altri crimini degli italiani

Dal 20 al 29 maggio 1937 si è consumata in Etiopia una delle fasi più drammatiche dell’occupazione italiana, dalla strage di Debra Libanòs agli altri crimini dei “bravi italiani”. La maggior parte dei resoconti storici dell’occupazione fascista dell’Etiopia si basa sui telegrammi militari italiani come principale fonte di informazioni. Data la generale mancanza di ricerca…

Dal 20 al 29 maggio 1937 si è consumata in Etiopia una delle fasi più drammatiche dell’occupazione italiana, dalla strage di Debra Libanòs agli altri crimini dei “bravi italiani”.
La maggior parte dei resoconti storici dell’occupazione fascista dell’Etiopia si basa sui telegrammi militari italiani come principale fonte di informazioni. Data la generale mancanza di ricerca rigorosa e documentazione degli eventi del 1936-1941 da parte delle autorità etiopi dopo la liberazione, i telegrammi rappresentano la fonte più facilmente disponibile e presumibilmente autorevole. Di conseguenza, sono arrivati ad assumere una fonte indiscussa. Nel  libro “There Remains No Trace: The Truce Story of the Massacre of Debre Libanos”, l’autore presenta una ricostruzione storica dettagliata di questo famigerato massacro, che costituì una componente importante del programma di rappresaglia del viceré Graziani in seguito al tentativo sulla sua vita nel febbraio 1937. Sulla base di una ricerca condotta per un periodo di tredici anni, che copre interviste di testimoni oculari sopravvissuti e un esame dettagliato della geografia dei siti pertinenti, è stato in grado di stabilire una linea temporale oraria e giornaliera degli eventi prima, durante e dopo il massacro. Una delle principali scoperte, anche se inaspettate, è stata che i telegrammi fascisti contengono molte informazioni errate, e spesso false. Il loro uso da parte degli storici ai fini della ricostruzione storica senza sostenere la ricerca sul campo è messo in seria discussione.
Migliaia fra monaci, preti e pellegrini ortodossi erano radunati per una festività religiosa. Nel corso di una settimana vennero barbaramente trucidati dalle truppe italiane comandate dal generale Pietro Maletti, per ordine del viceré Rodolfo Graziani. La strage di Debra Libanòs è uno dei crimini più efferati e più significativi del colonialismo italiano in Etiopia.

L’episodio più efferato, pianificato con cura a mesi di distanza dall’attentato contro Graziani prese di mira il clero cristianocopto, responsabile secondo gli italiani di aver dato riparo agli attentatori. Graziani decise di impiegare l’esercito per assalire la città conventuale di Debra Libanòs, il monastero più importante del paese, fondato nella regione montuosa a nord di Addis Abeba nel XIII secolo dal santo patrono d’Etiopia, Tekle Haymanot. Affidò l’operazione al gen. Pietro Maletti e alle sue truppe somale del battaglione musulmano, già utilizzate contro la guerriglia etiope nell’altopiano della Scioa. Nella marcia di avvicinamento, la colonna incendiò 115.422 tucul, 3 chiese e un convento, e uccise 2.523 “ribelli”, in realtà civili inermi. Il 18 maggio 1937 venne accerchiato il convento, gremito in quei giorni di pellegrini proprio per la festa di Tekle Haymanot. Maletti ricevette un telegramma di Graziani, che ordinava esplicitamente la strage («Passi pertanto per le armi tutti i monaci, compreso il vicepriore»). Tra 18 e 27 maggio furono falciati con le mitragliatrici 449 monaci e diaconi, seppelliti in una fossa comune nel vicino vallone di Scinkurti. Secondo le stime di due storici africani, che studiarono l’episodio negli anni novanta, le vittime furono tra 1.400 e 2.000. Graziani ebbe ad affermare al riguardo che «è titolo di giusto orgoglio per me aver avuto la forza d’animo di applicare un provvedimento che fece tremare le viscere di tutto il clero, dall’Abuna [il patriarca copto, n.d.r.] all’ultimo prete o monaco». Maletti, esecutore materiale della strage, fu poco dopo promosso generale di divisione “per meriti speciali”, e morì in Libia nel 1940. 19 febbraio 1937, Graziani con l’abuna Kirillos nel Ghebì poco prima dell’attentato Il nome di Graziani, divenuto in seguito Ministro della Guerra della Repubblica di Salò, comparve alla fine del conflitto nella lista dei “criminali di guerra” stilata dalle Nazioni Unite, e venne condannato a 19 anni di carcere per collaborazionismo da un tribunale italiano (ma sconterà solo 4 mesi), poi divenne presidente onorario del Movimento Sociale Italiano. E gli hanno fatto pure un mausoleo. I Fascisti non si smentiscono mai..

Bibliografia. Ian L. Campbell e Gabre-Tsadik Degife.

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