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Egitto, Patrick Zaki e il silenzio del governo italiano

Ieri è arrivata, come si temeva, la conferma della nuova proroga di un mese e mezzo della detenzione preventiva per Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna originario del Cairo. Questa volta le cose si sono svolte più velocemente che in passato, senza neanche che il giudice facesse finta di prendersi una pausa di riflessione prima di decidere.
Tra cinque mesi e mezzo scadrà il termine massimo previsto dalla normativa egiziana per la detenzione senza processo: due anni. Non che sia un termine vincolante, dato che la magistratura egiziana sta utilizzando da tempo il sistema delle “porte girevoli”, trattenendo in carcere i detenuti in via di scarcerazione grazie a nuove, fittizie accuse.
Questo è uno degli scenari possibili se, come pare, vorranno tenere Patrick in cella fino alla fine del ventiquattresimo mese. Gli altri due, ovviamente, sono che non vada a processo per mancanza di prove o che ci vada, anche se mancano le prove.
In tutto questo, l’invito al silenzio che alcuni mesi fa il ministro degli Esteri Di Maio aveva rivolto alla campagna per la scarcerazione di Patrick sembra essere stato raccolto invece proprio dal governo. Non una parola, né di solidarietà per Patrick né di condanna per la persecuzione giudiziaria che sta subendo.
In due occasioni, ad aprile in Senato e a luglio alla Camera, il parlamento ha detto chiaramente che la vicenda di Patrick interessa il nostro paese. Il governo, se si eccettuano alcune dichiarazioni possibiliste del sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, non ha fatto alcun passo significativo sulla richiesta di avviare l’iter per la cittadinanza italiana per meriti speciali.
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