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Dalla Libia il racconto di Pato, marito di Fati e padre di Marie

Pato, il marito di Fati Dosso, la giovane ivoriana morta nel deserto i Wine alla figlioletta di sei anni, Marie, è vivo. La sua testimonianza è una storia straziante. È  il racconto del loro viaggio, delle loro esperienze in Libia e del momento della loro separazione in Tunisia. Questa narrazione evidenzia le lotte affrontate dai…

Pato, il marito di Fati Dosso, la giovane ivoriana morta nel deserto i Wine alla figlioletta di sei anni, Marie, è vivo.
La sua testimonianza è una storia straziante.
È  il racconto del loro viaggio, delle loro esperienze in Libia e del momento della loro separazione in Tunisia.
Questa narrazione evidenzia le lotte affrontate dai richiedenti asilo, i pericoli della migrazione e la ricerca di un luogo di riposo finale per i familiari defunti.
“Il mio nome legale è Mbengue Nyimbilo Crepin, ma tutti mi conoscono come Pato” ha spiegato agli attivisti di Refugees in Lybia “Sono nato il 26 ottobre 1993 a Proge, nellq regione littorale del Camerun, ma ha trascorso gli anni della mia formazione a Buea, nell’area anglofona. È stato durante gli scontri tra i secessionisti e l’esercito che ho lasciato il Camerun perché avevano ucciso mia sorella maggiore, che aveva fatto tutto per me”.
Matyla Dosso, che in Libia aveva scelto di usare il nome “Fati”, per paura della persecuzione religiosa, era nata il 30 gennaio 1993, a Gbèka,  nella parte occidentale della Costa d’Avorio, ma era cresciuta a Yopougon, Abidjan.
“Fati era orfana di padre e madre ed era figlia unica. Alcuni fingono di essere sue sorelle oggi eppure non si sono mai preoccupate di lei. non aveva nessuno, solo la sorella di sua madre e suo cugino con cui erano in contatto” racconta Pato che prosegue  “Era arrivata in Libia nel 2016, come me. Ci siamo incontrati in un campo a Qarabulli, durante un viaggio in preparazione per l’Italia e siamo stati insieme fino alla sua morte. Ci siamo incontrati nel giugno 2016 e il 12 marzo del 2017 è nata la nostra Marie”.
Fati era incinta la prima volta che insieme a Paro aveva provato ad attraversare il Mediterraneo, dalla Libia all’Europa. Altre quattro volte ci hanno provato, ognuna delle quali sono finiti in prigione. All’inizio a Bani-Walid, da luglio-agosto 2016. Poi nel centro di detenzione Tarik Al Sekka, da novembre 2019 a febbraio 2020. Dal 3 al 22 maggio 2021 sono stati trattenuti nella struttura restrittiva di Ghout-Al-shaal/Al-Mabani. Infine dal 5 al 28 agosto 2021 sono stati rinchiusi nel centro di detenzione di Tariq al Matar,
Nel 2019, durante la loro detenzione nel carcere di Tajoura, sono sopravvissuti a un tragico bombardamento, in cui molte persone sono morte.
Paro in quella occasione aveva riportato la perforazione del timpano sinistro che non aveva  mai potuto curare. Questa dolorosa lesione ha causato un continuo disagio, il suo orecchio perde spesso sangue ed emana cattivo odore.
Pato non ha mai perso la speranza di poter attraversare quel mare, fino alla fuga disperata in Tunisia e la straziante separazione.
Giovedì 13 luglio 2023, Pato, Fati e Marie, accompagnati da tre uomini e un’altra donna, hanno intrapreso un viaggio insidioso per fuggire dalla Libia in Tunisia con la speranza di dare alla loro figlia l’accesso all’istruzione. Marie non era mai andata a scuola dalla nascita, era il sogno di sua madre, qualcosa di impossibile in Libia. Tuttavia, i loro sforzi sono stati resi vani dalla polizia tunisina, che ha fatto ricorso alla violenza, confiscando e distruggendo i loro telefoni.
”Siamo arrivati in Tunisia venerdì mattina”‘ ricorda  l’uomo “Abbiamo cercato di attraversare il confine, la polizia ci ha beccato e picchiato con le armi, rimandandoci nel deserto. Siamo rimasti li tutto il giorno e il venerdì sera ci abbiamo riprovato ad attraversare il confine e questa volta ci siamo riusciti. Sabato mattina eravamo già a Ben Gardane, Zarzis. Stavamo cercando un posto dove trovare  acqua ed è lì che la polizia ha intercettato mia moglie, mia figlia e me. Dopo una notte di sofferenza e fame nel deserto, le autorità ci hanno trasferito in un altro posto di blocco, dove sono seguì ulteriori maltrattamenti. Domenica mattina, ci hanno abbandonati nel remoto deserto, con una trentina di altre persone,privi d’acqua. Abbiamo camminato per almeno 1 ora prima che perdessi conoscenza, mia moglie e mia figlia hanno iniziato a piangere. Ho chiesto loro di andarsene e lasciarmi perché se rimanevano indietro sarebbero morte con me, quindi la cosa migliore era raggiungere gli altri ed entrare in Libia. Se ne sono andati, lasciandomi sdraiato nel deserto. Non avevo più forza e sentivo che per me era  finita perché stavo a malapena respirando. Poi, quando si è fatto buio, dono arrivato tre sudanesi che mi hanno dato dell’acqua. Mi hanno offerto la possibilità di unirmi a loro, così abbiamo iniziato un viaggio notturno culminato con l’arrivo al confine.  Pensavo che mia moglie e mia figlia fossero riuscite a tornare in Libia, sono rimasto senza alcuna informazione sulla loro posizione fino a quando non ho appreso la notizia della loro morte sui social network. Quando mi hanno mostrato le foto ho riconosciuto i loro vestiti e i loro corpi. Se Era esattamente la stessa posizione che Fati e Marie di quando andavano a letto. Speravo che fossero solo stanche e che prima o poi sarebbero torneate, ma non è stato così. Quello che mi fa male è che prima di morire abbiano pensato che anch’io fossi morto, a causa dello stato in cui mi avevano lasciato. Ma Dio mi ha salvato. Mi sono diretto in Libia per sorprendere la mia famiglia, invece ho ricevuto io un’amara sorpresa”.
L’angoscia di non sapere dove siano stati riposti i loro corpi pesa molto sul cuore di Pato. Desidera scoprire la loro posizione, anche se questo significa rischiare la propria vita.
“Non ho idea di dove siano i loro corpi, parlano di obitorio ma non ho mai sentito che i libici mettano i corpi dei migranti nell’obitorio. Io non mi fermerò fino a quando non lo avrò trovati. Fosse l’ultima cosa che faccio”.

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