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Angola, bambino di cinque anni di etnia Mucubai arso vivo. Le responsabilità della polizia

Il 12 ottobre è accaduto qualcosa di terribile in Angola, ma solo negli ultimi giorni Amnesty International è riuscita a ricostruire tutti i dettagli: uno soprattutto, la probabile morte, nell’incendio della sua abitazione, di Mbapamuhuka Cacador, un bambino di cinque anni appartenente alla perseguitata e oppressa minoranza etnica Mucubai.

Tutto è successo nel sud del paese, a Ndamba, periferia di Mocamedes, capoluogo della provincia di Namibe.

Antonia Fernanda è la vedova dell’ex capo della polizia della provincia. Vuole prendersi i terreni dei contadini Mucubai per annetterli ai suoi. È una imprenditrice potente, legata al partito al potere, l’Mpla. Incarica il figlio di attaccare Ndamba. Inizia il raid.

La polizia, anziché proteggere gli aggrediti, si schiera dalla parte degli aggressori. Vengono incendiate 16 abitazioni. Non contenti, gli agenti sparano agli animali e distruggono le coltivazioni.

Al termine, si fa la conta dei danni. È tutto distrutto ma soprattutto manca all’appello un bambino. Ufficialmente è scomparso, ma a Ndamba tutti dicono che sia morto nell’incendio di una delle abitazioni attaccate dalla polizia.

Amnesty International ha sollecitato le autorità angolane a chiarire che fine abbia fatto Mbapamuhuka Cacador e a indagare sulle responsabilità della polizia per quanto accaduto a Ndamba.

Credits foto Native eye travel, gruppo di ernia Mucimbai

 

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