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Somalia, si procede alla transizione: partono i primi 2000 soldati dell’ATMIS

Giugno vede il ritiro dei primi 2000 soldati della missione ATMIS dell’unione africana e l’aumento di livello degli attacchi di Al Shabaab alle forze governative e alleati. L’instabilità politica e la mancanza totale di sicurezza vanno ad acutizzare la fragilità economica del paese.

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Credit: ATMIS
L’ambasciatore Mohamed El-Amine Souef e il Ministro somalo per l’informazione, la cultura e il turismo, Daud Aweis

L’8 Giugno l’ambasciatore Mohamed El-Amine Souef, capo della missione ATMIS, ed il Ministro somalo per l’informazione, la cultura e il turismo, Daud Aweis, hanno annunciato pubblicamente il ritiro della prima parte di contingente della missione ATMIS dell’Unione Africana, composta da 22000 militari provenienti dall’Uganda, dal Burundi, dal Kenya, dall’Etiopia e da Djibouti.

La missione, che ha preso il posto della precedente AMISOM (marzo 2022), ha il compito di supportare le forze dell’esercito somalo principalmente nella lotta contro Al Shabaab.

Se gli step verranno rispettati entro l’estate lasceranno il paese altri 3000 soldati, per arrivare entro il 2024 al ritiro completo (il piano è stato approvato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, risoluzioni 2628 e 2670).

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L’onere della sicurezza sarà quindi completamente in mano alle forze militari del paese; forze che durante gli ultimi anni hanno ricevuto addestramento militare soprattutto all’estero (Eritrea, Egitto, Uganda, Kenya) e supporto sul campo da Stati Uniti e Turchia.

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Ph: Credit: Garowe Online. Militanti di Al Shabaab

In merito al ritiro, l’inviato speciale dell’UA per la Somalia e capo dell’ATMIS, l’ambasciatore Mohamed El-Amine Souef, ha affermato: “Ciò che abbiamo fatto per il ritiro è stato istituire un Comitato tecnico tripartito che comprende rappresentanti del governo federale della Somalia (FGS), dell’ufficio di supporto delle Nazioni Unite in Somalia (UNSOS) e dell’ATMIS per pianificare i dettagli”.

Abbiamo concordato di consegnare un certo numero di basi operative avanzate (FOB) al governo federale della Somalia dal 15 giugno 2023, riducendo il nostro numero di 2000 soldati“, ha aggiunto.

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Ph. Credit: ATMIS. Militari dell’ATMIS in azione.

Come ci si aspettava, l’ambasciatore El-Amine Souef e il Ministero della difesa somalo hanno invitato ancora una volta la comunità internazionale a preparare la causa di revoca dell’embargo sulle armi alla Somalia, per consentire alle forze di sicurezza somale di assumere la responsabilità della sicurezza del paese nella lotta contro Al Shabaab.

La missione ATMIS è stata la missione militare dell’Unione africana più dispendiosa, sia sotto il profilo economico che in termini di capitale umano. Costata fino a oggi oltre 200 milioni di dollari, porta con sé il fardello di oltre 3500 militari della missione caduti sul campo.

Le autorità somale, in più occasioni hanno annunciato come l’inizio della seconda fase di lotta ad Al Shabaab (iniziata nell’agosto del 2022), abbia fatto diminuire drasticamente il numero degli attacchi dei terroristi affiliati ad Al Qaeda, di oltre il 70%.

Dati per i quali difficilmente potremo trovare riscontro certo. Se c’è una cosa da sottolineare è però il cambio di marci di entrambe gli schieramenti, sia nelle modalità di azione, che in quelle di reazione. E’ indubbio infatti che il Presidente Hassan Sheick Mohamud abbia voluto dare nuova linfa e ben altra spinta alla seconda fase delle operazioni militari dell’esercito somalo (SNA).

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I comandanti delle truppe ATMIS insieme ad alti funzionari militari Usa nel recente incontro tenutosi a Mogadiscio il 18 Giugno.

Come sono indubbi i successi che hanno portato alla liberazione di oltre un terzo dei territori precedentemente controllati da Al Shabaab. La propulsione data dal supporto aereo di Stati Uniti e Turchia, il migliore addestramento delle truppe sul campo, la collaborazione con eserciti ben più organizzati come quello etiope e quello del Kenya, hanno portato i loro frutti.

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Obiettivi raggiunti anche grazie ad una faticosa opera di persuasione e diplomazia fatta sul campo, con i clan territoriali e le forze di polizia locali. Molto spesso, infatti, per paura o per mero disinteresse, clan e milizie hanno lavorato in maniera del tutto “particolare”, badando molto di più ai piccoli interessi che ad una visione di insieme sulla quale si sarebbe dovuto basare il paese.

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