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RDCongo-Rwanda, salgono le tensioni per il conflitto nel Nord Kivu

Durante il mini-summit dell’Unione Africana, tenutosi nel fine settimana ad Addis Abeba, la pace ha rappresentato uno dei temi discussi dai capi di stato. Le tensioni principali riguardano l’Est della RDCongo, dove decine di gruppi ribelli combattono tra di loro o contro le FARDC, cioè l’esercito regolare congolese. Tra alleanze e strategie sul terreno, si può legittimamente affermare che sono tutti contro tutti.

Da almeno due anni, tuttavia, la preoccupazione maggiore per la RDC è l’M23, un gruppo armato che attualmente controlla ampie zone della provincia del Nord Kivu: le FARDC, i suoi alleati sul campo, più le forze internazionali della MONUSCO (i caschi blu dell’ONU) e quelle dell’EAC (Comunità degli Stati dell’Africa orientale), da poco sostituite da quelle della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SAMI RDC), non riescono a respingere e sconfiggere i miliziani dell’M23, che anzi talvolta addirittura avanzano e controllano nuove porzioni di un territorio esteso, ma comunque delle dimensioni di qualche provincia italiana.

Com’è possibile? Da dove arrivano le armi dell’M23? Il governo congolese non ha dubbi: quei ribelli sono sostenuti dal Rwanda, il quale però nega e rigetta tali accuse, anzi rispondendo che la RDC lavora di concerto con le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), una milizia etnica rwandese direttamente collegata al genocidio contro i tutsi del 1994.

Le relazioni diplomatiche si sono progressivamente deteriorate e sono stati avviati ben due negoziati di pace (o di de-escalation) a Nairobi (Kenya) e Luanda (Angola), al fine di evitare uno scontro diretto tra i due Paesi.

Il primo tentativo a Nairobi riguarda un processo avviato in seno all’EAC (East African Community, Comunità dell’Africa orientale), mentre quello di Luanda nasce su iniziativa dell’Unione Africana, che nel 2022 ha incaricato il presidente angolano di fare da mediatore tra Tshisekedi (RDC) e Kagame (Rwanda).

Da allora ci sono stati alti e bassi o, per essere più chiari, dei tira e molla, ma sostanzialmente le parti in causa si sono sempre dette d’accordo sui principi e gli obiettivi: disarmare i gruppi ribelli ed evitare una vera e propria guerra. Tuttavia non si è mai andati oltre alcuni brevi cessate il fuoco, come quello unilaterale dell’M23 nell’aprile 2022, quello imposto del presidente angolano nel novembre 2022, o quello negoziato dagli Stati Uniti nel dicembre 2023.

Altre volte, invece, si è sfiorato lo scontro diretto, quando nel gennaio 2023 un caccia congolese ha brevemente violato lo spazio aereo rwandese, venendo colpito da un razzo della contraerea di Kigali oppure in occasione di varie incursioni di militari congolesi nel territorio rwandese, come nel gennaio di quest’anno.

Nella recente campagna elettorale presidenziale congolese i toni si sono ulteriormente alzati, perché Tshisekedi ha esplicitamente accusato il Rwanda di avere delle “tendenze espansionistiche“, e anche nei giorni scorsi in Etiopia il presidente congolese ha ripetuto ai suoi omologhi africani quanto Kigali rappresenti un pericolo per la stabilità della regione dei Grandi Laghi.

Nella sera di domenica 18 febbraio, il ministero degli esteri rwandese ha diffuso un comunicato in cui “chiarisce la posizione del Paese in materia di sicurezza“, dicendo di essere pronto a potenziare la sua difesa aerea.

Il testo comincia affermando che il Rwanda è “profondamente preoccupato per l’abbandono dei Processi di Luanda e Nairobi da parte del governo della Repubblica Democratica del Congo e per l’indifferenza della comunità internazionale nei confronti del drammatico rafforzamento militare della RDC“.

Dopo una ricostruzione storica in cui denuncia la volontà della RDC di “espellere i civili tutsi congolesi e dell’M23 nei paesi vicini“, collaborando anche con gruppi armati legati ai responsabili del genocidio del 1994, il governo rwandese scrive che “proteggere i diritti e la vita dei tutsi congolesi è responsabilità della Repubblica Democratica del Congo. Il costante fallimento in questo senso ha esposto l’intera regione dei Grandi Laghi a trent’anni di conflitti e instabilità. Centinaia di migliaia di tutsi congolesi vivono da decenni come rifugiati nell’Africa orientale, sostanzialmente dimenticati“.

Le responsabilità sono antiche, ma – continua il comunicato – con la presidenza di Tshisekedi “l’incitamento all’odio e il crudele tribalismo sono diventati la moneta della politica congolese“. Per cui, dice il Rwanda, “questi fatti rappresentano una seria minaccia alla sicurezza nazionale” e “non sarà accettabile che [la questione dell’M23] venga nuovamente esternalizzata con la forza“.

Inoltre, il testo smentisce una dichiarazione rilasciata dal Dipartimento di Stato americano il 17 febbraio 2024, in cui si attribuivano collusioni del Rwanda con l’M23, dicendo che “distorce sostanzialmente queste realtà ed è in sconcertante contraddizione” con il cessate il fuoco promosso proprio dagli USA nel novembre 2023. A questo proposito, il Ruanda chieterà dei chiarimenti al governo degli Stati Uniti “per accertare se la sua dichiarazione rappresenta un cambiamento improvviso nella politica, o semplicemente una mancanza di coordinamento interno“.

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