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L’industria turca degli armamenti decolla nel continente africano

L’industria della armi turca è fiorente, attiva su molti fronti, riconosciuta ormai a livello globale. Fino a 20 anni fa non veniva di certo annoverata tra le industrie degli armamenti a cui dare considerazione, né in termini di innovazione né in quella delle tecnologie.

Oggi i droni, i blindati, i carri per sminamento e le armi leggere prodotte nel paese vengono esportate in tutto il mondo. La Turchia, anche a causa di alcuni embarghi sulle armi che hanno indebolito il comparto per almeno due decadi, ha costruito il proprio complesso industriale legato agli armamenti, trasformandolo ben presto da attore regionale, produttore di armi, a star internazionale, esportatrice di armi e tecnologia a livello globale.

Nel 2002 le aziende impegnate nel settore erano solamente 56, mentre oggi sono ben 1500, con una forza lavoro di 100mila addetti. Un balzo in avanti anche in ed ovviamente in termini di spesa: secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), la spesa per la difesa è aumentata dal 5,4% del PIL nel 2015 al 7,5% nel 2020. Le allocazioni hanno subito un’impennata eccezionale, raggiungendo 1,5 miliardi di dollari nel 2019, rispetto ai 50 milioni di dollari del 2002.

Un trend che si è riflesso anche sulle esportazioni.

Ad oggi sono ben 800 i progetti sui quali il settore turco delle armi è impegnato, alcuni dei quali in partnership con industrie leader del settore, come la britannica BAE Systems; altri sotto l’egida della sotto l’egida della Scientific and Technological Research Institution of Turkey (Tübitak), società pubblica in mano allo Stato.

Un trend progressivo che non sembra avere limiti (non oggi! ndr) che si estende a vari settori: dagli elicotteri da combattimento ed i droni ai sistemi di sorveglianza elettronica, dagli strumenti per lo sminamento hai missili ed alle piattaforme navali.

Se all’inizio degli anni 2000 le esportazioni erano poco inferiori ai 250 milioni di dollari, due decadi dopo, nel 2022, il settore ha fatto registrare ben 4,4 miliardi di dollari di esportazioni, un carro sempre più forte e solido trascinato da aziende come la ormai nota azienda produttrice anche dei droni Baykar, e da altre meno note ma non meno importanti come la Turkish Aerospace Industries (TAI), la Roketsan, la Havelsan e la Aselsan.

Non è di certo un segreto l’obiettivo più che sfidante di Ankara in termini di esportazioni: arrivare nel prossimo futuro a ben 10 miliardi di dollari.

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I droni, il marchio di fabbrica turco nelle guerre moderne.

Senza dubbio la punta di diamante dell’industria bellica turca sono i droni. Un mercato fiorente che ha portato la Turchia ad essere il terzo esportatore mondiale di velivoli senza pilota, dietro solo a Cina ed Usa; modelli ben più economici ed allo stesso tempo efficientissimi rispetto a quelli prodotti dagli altri due paesi.

Impiegati in numerosi scenari, sono stati venduti all’Etiopia per essere impiegati nella guerra che il governo di Addis Abeba ha intrapreso nel 2020 contro le truppe del Tplf nella regione del Tigray (ed oggi in altre regioni del paese dove le tensioni a sfondo etnico stanno sconquassando l’architrave della federazione); sono stati impiegati anche in Libia, a sostegno del governo libico per contrastare l’offensiva lanciata dal generale Khalifa Haftar; sono stati impiegati in Azerbaigian, nell’annosa diatriba con gli armeni; impiegati in Ucraina (dove è stato costruito un impianto di produzione) a sostegno dell’esercito ucraino impegnato nella sanguinosa lotta contro l’invasione delle truppe russe.

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Droni Bayraktar TB2. May 27, 2022. REUTERS/Aziz Karimov

Ma non solo. Nel continente africano, si fanno sempre più attivi nelle innumerevoli tensioni regionali. La società controllata dalla difesa turca STM ha fornito droni Togan alla Nigeria; la TAI, acronimo che sta per Turkish Aerospace Inc. ha venduto i suoi droni modello “Aksungur” all’Algeria e i droni “Anka” alla Tunisia; i ben più famosi droni TB2 della Baykar sono stati impiegati e venduti in 28 paesi a livello globale, tra i quali compaiono il Marocco, Gibuti, Togo, la Somalia, il Mali, il Burkina Faso ed il Ruanda.

Un impegno che sembra non aver risentito nemmeno degli sconvolgimenti nel Sahel, dovuti al disimpegno forzato delle truppe francesi e degli alleati internazionali, un buco ben presto riempito da uomini della compagnia Wagner. Cambiamenti di regime che non sembrano aver intaccato gli accordi di cooperazione militare e di intelligence precedentemente instaurati da Ankara.

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Nel settembre 2021, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha proposto di rafforzare la cooperazione bilaterale con il leader della giunta militare del Mali Assimi Goïta, mentre a qualche mese di distanza alcuni droni modello TB2 sono stati consegnati al Mali per il controllo del territorio e per la lotta alle incursioni sempre più violente dei militanti islamisti di Boko Haram.

Il Niger, che nel 2020 ha firmato un accordo di cooperazione militare con la Turchia, come il Ciad, ha ricevuto aerei da addestramento Hürkus prodotti da TAI e droni modello TB2.

Il Burkina Faso, possiede droni TB2 della Baykar ed ha acquistato droni di sminamento a terra dalla società turca Afsat nel 2021. Non è di certo un caso se Haluk Bayraktar, amministratore delegato di Baykar, visto al fianco del presidente di transizione burkinabé Ibrahim Traoré a Ouagadougou, ha ricevuto lo scorso Aprile l’Ordine dello stallone, la più alta onorificenza nazionale.

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Ma vi è di più. L’impegno turco nella cooperazione militare, nasconde (nemmeno velatamente) l’impegno che il paese sta mettendo nello stabilire la propria presenza nel continente africano. L’industria delle armi, gli accordi per l’Antiterrorismo e nel campo dell’intelligence, risultano molto utili ad Ankara per stabilire avamposti di una presenza fisica, che non tarderà di certo a divenire sempre più consistente nel prossimo futuro.

La Turchia oggi gestisce direttamente una base militare in Somalia, dove addestra un terzo dell’esercito nazionale, compresi i commando d’élite ed è attiva al fianco del Presidente somalo, Hassan Sheikh Mohamud, nella lotta ad Al Shabaab.

Una presenza ed una cooperazione militare sponsorizzata in primis dal Presidente turco, Erdogan, con la collaborazione della SASAD, ovvero la Defence and Aerospace Industry Manufacturers Association, organizzazione ombrello sotto la quale operano migliaia di aziende.

La SASAD è molto attiva nella comunicazione e nell’organizzazione di fiere che attraggono centinaia di investitori, migliaia di interessati e numerosi governi, soprattutto africani, alla ricerca di soluzioni tecnologiche per risolvere i problemi di casa, soprattutto nel campo dell’antiterrorismo. Un compito che il nuovo Ministro degli Esteri, Hakan Fidan, ex capo dei servizi di intelligence turchi, conosce molto bene.

 

 

 

 

 

 

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