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In memoria di Sara Higazy

“Ai miei fratelli, ho cercato di sopravvivere e non ce l’ho fatta. Perdonatemi. Ai miei amici, quello che ho subito è stato crudele e sono troppo debole per resistere. Perdonatemi. A te, mondo, che sei stato terribilmente crudele. Ti perdono”.
Questo è l’ultimo messaggio lasciato da Sara Higazy, che si è tolta la vita il 14 giugno nel suo esilio canadese, dove aveva cercato riparo dal dolore e dai ricordi. Quale sia stato l’ultimo avvenimento che l’ha spinta a togliersi la vita, non ci riguarda. E comunque va rispettato.
Quello che dovrebbe riguardare tutti noi è la storia di Sara. Lesbica, attivista della comunità Lgbtq egiziana. Nel settembre 2017 fu arrestata, insieme a decine di altre persone, a un concerto della band libanese Mashrou’ Leila, al Cairo. La sua colpa? Aver aperto e sventolato la bandiera arcobaleno.
I poliziotti che la portarono in carcere annunciarono “è arrivata la lesbica”. E iniziò la “festa”, cui parteciparono anche diverse detenute. Sara fu umiliata, derisa, torturata.
Dopo il carcere e per salvarsi da ulteriori persecuzioni, Sara andò ad aggiungersi alla sempre più numerosa diaspora egiziana.  Ma la tortura spesso non lascia scampo. Neanche ad anni di distanza.
Spero che un giorno si possa celebrare un Pride al Cairo. E che sia dedicato a Sara.
Intanto, proviamo a dedicarle i Pride italiani!
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