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RDCongo: calma sulle linee del fronte contro i ribelli dell’M23

Dopo il mini-vertice di mercoledì scorso a Luanda, in Angola, dove la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda si sono accordati per chiedere un cessate il fuoco al gruppo ribelle del Movimento 23 Marzo (M23) nella provincia congolese orientale del Nord Kivu, le linee del fronte tra le forze armate regolari (FARDC) e i guerriglieri sono rimaste calme. Secondo fonti locali, dunque, gli appelli per una tregua o, addirittura, una ritirata dei ribelli, potrebbero essere stati recepiti.

Il giorno precedente, sabato, alcuni combattimenti si erano avuti a nord-est di Goma, capitale della provincia, tra una coalizione di Mai-Mai (un gruppo di autodifesa congolese) e di FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda, che Kigali considera terroriste) contro i ribelli dell’M23 (che, invece, sono sostenuti o, almeno, tollerati dal Rwanda), quando questi ultimi si sarebbero impadroniti di Kisharo, il capoluogo della zona di Binza, a poche decine di chilometri dal confine con l’Uganda.

I ribelli dell’M23, in prevalenza tutsi congolesi filo-rwandesi, hanno ripreso le armi un anno fa, nel novembre 2021, accusando Kinshasa di non aver rispettato gli impegni sulla smobilitazione e il reinserimento dei suoi combattenti. Da allora, il gruppo ha esteso il suo controllo sul territorio, nonostante avesse dichiarato nell’aprile 2022 un cessate il fuoco unilaterale: dal suo punto di vista, sarebbe l’esercito regolare congolese ad attaccare, per cui si limiterebbe a difendersi e a proteggere la propria popolazione.

In questo tortuoso disordine, il governo della RDC ha poi accusato il Rwanda di sostenere l’M23, mentre invece le autorità di Kigali ribattono che le FARDC sarebbero colluse con le FDLR, ribelli hutu rwandesi insediatisi in Congo dal genocidio dei tutsi del 1994 in Rwanda. Di certo, la situazione delle province orientali della RDC, specie del Nord Kivu, è estremamente delicata e frastagliata, con decine e decine di gruppi armati, spesso in conflitto tra loro e con alleanze mobili e temporanee. Se ne puo’ avere un’idea da questa mappa (aggiornata all’ottobre 2020) elaborata dal “Baromètre sécuritaire du Kivu”, un progetto nato dalla cooperazione tra il “Groupe d’Étude sur le Congo”, presso l’università di New York, e la ong “Human Rights Watch”:

Secondo il documento redatto a Luanda, oltre alla cessazione delle ostilità, avrebbe dovuto seguire anche il ritiro dei ribelli M23 “dalle zone occupate”, ma questo non sembra essere accaduto, per cui – sempre stando al documento delle autorità riunitesi in Angola – dovrebbe intervenire militarmente la forza regionale dell’Africa orientale, attualmente composta da soldati dell’Uganda, del Sud Sudan, del Burundi e del Kenya, così da “costringere i ribelli alla sottomissione”.

Intanto, secondo i dati diffusi dall’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), circa 340.000 persone sarebbero sfollate dall’inizio dei combattimenti tra le FARDC e l’M23, nel marzo scorso, più della metà delle quali sarebbero donne.

Almeno il 49% di questi sfollati vivrebbe presso altre famiglie, mentre altre migliaia hanno trovato riparo nelle scuole, negli ospedali, nelle chiese e in altri luoghi improvvisati. Questo significa, aggiungono gli operatori umanitari, che almeno 679.000 civili avranno bisogno di assistenza a causa del protrarsi dei combattimenti: “i bisogni umanitari continuano ad aumentare, mentre i combattimenti persistono; riparo, cibo, articoli essenziali per la casa, acqua, protezione e assistenza sanitaria sono i più urgenti”, afferma l’OCHA.

Durante questo periodo di sospensione, se non di tregua lungo le linee del fronte, lunedì sono cominciati i lavori del terzo ciclo di consultazioni nell’ambito del processo di pace che si tiene a Nairobi, in Kenya, fin dalla primavera scorsa. Vi partecipano tutte le parti in causa, statali e locali, tranne l’M23, rifiutato dal governo stesso di Kinshasa, che invece ha ufficialmente impegnato la MONUSCO (l’operazione di pace dell’ONU nella RDC) ad attuare le decisioni dei processi di pace di Luanda e Nairobi:

Altre problematiche sembrano arrivare dal gruppo armato CODECO, che agisce nell’Ituri e che ha minacciato di lasciare il tavolo dei negoziati, mentre il presidente del Burundi, Evariste Ndayishimiye, ha fatto appello alle Nazioni Unite di finanziare le operazioni militari della forza regionale EAC dispiegata nella RDC. In questo quadro, anche la Chiesa Cattolica sta giocando un ruolo, dal momento che ha organizzato per il 4 dicembre una manifestazione in tutto il Paese “contro l’aggressione rwandese”:

Lo slogan scelto dai vescovi della Conferenza episcopale nazionale del Congo (CENCO) è “No alla balcanizzazione della RDC. La sovranità e l’integrità territoriale del nostro paese non sono negoziabili. La RDC non è in vendita. Sì a una pace duratura senza condizioni. Difendiamo la nostra patria”. In particolare, i vescovi delle diocesi di Kenge, mons. Jean-Pierre Kwambamba, e di Beni-Butembo, mons. Sikuli Paluku Melchizedek, hanno invitato i loro fedeli “a digiunare, a pregare, a compiere gesti di solidarietà con gli sfollati”.

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