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Come vivono e come muoiono i clandestini

Come vive. Cosa fa. Dove va. Quel numero speciale di immigrati invisibile ad ogni conta e statistica. Quelli chedal Niger, dal sud Sudan, dalla Liberia, Costa d’Avorio, Marocco e Africa tutta, si rifugiano clandestini, si nascondono e lavorano nell’ombra e nel silenzio senza mai avanzare diritti. Che tirano avanti di stenti. Che faticano sfruttati senza poter dire ho sete. Che soffrono senza dire e senza chiedere. Che si ammalano. Che vivono malati senza cure. Senza soldi per campare e per comprare farmaci salvavita. Che si lasciano morire senza chiedere aiuto o soccorso nel timore di essere espulsi, rimpatriati, cacciati. Dove sono quando sono in casa di negrieri a far servizi, nei negozi a far lavori pesanti, nelle campagne a tirar come una volta solo i buoi. Dove sono quando nei campi hanno la schiena piegata, rotta a sangue, senza acqua e senza pane a raccogliere frutta.Chi li vede sotto raggi cocenti di sole a tirar via pomidoro e fragole senza metterne una in bocca come dice il caporale. Chi li guarda quando vengono presi e stipati di notte su furgoni per andare a cavar patate e carote, o sotto pioggia battente a terminare la giornata di lavoro fatta sempre di tante ore in più non pagate e pochissime ore malpagate. Chi li nota a far stallieri, a mungere capre, mucche e bufale o nei ristoranti a lavar pile di piatti, pentole e scodelle e negli alberghi a farfacchini. Quanti giovani si perdono lungo le strade del resistere ad ogni costo pur di non tornare nell’Africa bella ma oppressa da guerre civili, guerre religiose e povertà. Quanti giovani di colore sono violentati e non possono denunciare. Quanti sopravvivono deviati.Quante ragazze sono sfruttate e messe a vendersi.Quante ragazze donne violentate nel silenzio del ricatto. A quanti viene fatta una carezza, quanti vengono presi per mano. A quanti un sorriso e un sorso di vita. Ibra non ce l’ha fatta e come lui tanti con altri nomi e senza nomi.Ibra è arrivato dall’Egitto a Milano ad appena 14 anni. Piccoli lavori di giorno e di notte, un giaciglio, a volte, in una stanza divisa con altri. Una vita così, sempre con la paura addosso desser preso e senza un soldo per mangiare. Una ragazza conosciuta tre anni fa, per caso,gli diviene amica da subito e da subito lo ospita in casa senza dirlo ai genitori. Occhi puliti e animo ancor più fanno di Ibra un ragazzo d’oro, clandestino ma onesto, con tanto bisogno di casa, di calore umano, di affetto e comprensione. Senza famiglia è accolto in famiglia. Il cuore della ragazza si apre ai genitori che con grande umanità accolgono Ibra ma non riescono a regolarizzare la sua presenza. Lex sed lex dice il legale a cui si rivolge la famiglia che l’accoglie. E così Ibra cerca ancora lavoro clandestino. Lo trova a Torino. Promette di tornare, ogni tanto, a Milano da quelli che l’hanno accolto con amore. La sua famiglia italiana. Ma unabrutta mattina non si è più svegliato. Non aveva detto di soffrire di una cardiopatia. Non prendeva farmaci perché non aveva soldi per comprarne. Per timore di essere scoperto non è mai andato a passar visita in ospedale. Era un clandestino con la paura addosso d‘esser preso. Ed è morto così. Con la paura addosso a poco più di vent’anni. Ibra è stato portato cadavere in Egitto. Riposa lì per mano di benefattori che gli han pagato quel viaggio di ritorno che non voleva fare. Ma quanti come Ibra? Quanti come figli di nessuno muoiono sulla strada della libertá? Quanti figli di un Dio minore abbandonatiperché di diverso colore? Forse che le parole care alle diplomazie hanno solo parvenza. Fredde. Senza senso…. inclusione, fratellanza, accoglienza e via sfogliando il vocabolario della Pace e dei diritti umani.

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