vai al contenuto principale
Sudan

Sudan. “Non esiste una soluzione militare al conflitto”

Ad un anno dall’inizio della guerra in Sudan, gli inviati speciali di Francia, Uk, Usa, Norvegia ed UE si sono riuniti ad Oslo per costruire un fronte internazionale comune per affrontare il peggioramento della situazione bellica e sociale nel paese.

Nella dichiarazione congiunta rilasciata a margine dell’incontro hanno affermato che “non esiste una soluzione militare al conflitto”. Con essa i presenti al summit hanno richiesto una risposta internazionale forte ed unitaria e la ripresa dei colloqui di pace di Jeddah.

La comunità internazionale e la regione devono collaborare in modo costruttivo e coordinato“, ha sottolineato la dichiarazione. “ Raggiungere un cessate il fuoco e ripristinare l’accesso umanitario sono priorità urgenti”.

Gli inviati hanno sottolineato che la pace duratura richiede un “processo sudanese inclusivo che porti a una transizione democratica ripristinata”. Hanno anche rimarcato come la prossima Conferenza umanitaria di Parigi potrà essere un’opportunità unica al fine di colmare il gap nei finanziamenti messi a disposizione per gli aiuti umanitari e per coordinare un’efficace risposta internazionale alla crisi.

Sudan
Rimpatriati sud sudanesi e rifugiati sudanesi entrano in Sud Sudan attraverso il valico di Joda nel novembre 2023. © UNHCR/Ala Kheir

La crisi peggiore che il mondo abbia visto negli ultimi decenni.

Nel frattempo il paese si è tramutato nella “la crisi peggiore che il mondo abbia visto negli ultimi decenni”, come ci ricodano le parole di Medici senza Frontiere.

Metà della popolazione sudanese, imbottigliata nel conflitto o del tutto coinvolta (25 milioni di persone) è bisognosa di immediata assistenza sanitaria. Oggi a causa delle condizioni di sicurezza avverse, sono pochissime le realtà che pur nel bel mezzo dei combattimenti hanno resistito e continuato ad offrire i propri servizi, eppure gli operatori umanitari di 167 diverse organizzazioni hanno raggiunto circa 7 milioni di persone in Sudan nel 2023, grazie al sostegno ed all’interesse dei donatori internazionali.

Ma occorre una risposta coordinata della comunità internazionale affinché si possa dare risposta alle impellenti necessità della popolazione. In alcuni contesti la situazione è insormontabile, gran parte di coloro che sono fuggiti a causa dei combattimenti (8 milioni di persone) sono oggi in aree remote e difficilmente raggiungibili.

Più di 1,5 milioni di persone sono fuggite attraverso i confini del Sudan verso la Repubblica Centrafricana, il Ciad, l’Egitto, l’Etiopia e il Sud Sudan, ed oggi hanno bisogno di protezione oltre che di aiuti umanitari.

Sudan
Nyarok (a destra) e le sue figlie Amma e Rebecka, aspettano in un centro di transito UNHCR a Joda, Renk, Sud Sudan. © UNHCR/Charlotte Hallqvist

Le ostilità intense continuano a danneggiare le reti idriche e altre infrastrutture civili cruciali in Sudan e quasi tre quarti delle strutture sanitarie sono fuori servizio negli Stati colpiti dal conflitto. Malattie come colera, morbillo e malaria si stanno diffondendo in un contesto in cui due terzi della popolazione non ha accesso all’assistenza sanitaria. Circa 19 milioni di bambini sono fuori dalla scuola. Le violazioni dei diritti umani sono diffuse, con continue segnalazioni di violenza di genere.

Dieci mesi di conflitto hanno privato la popolazione del Sudan di quasi tutto: la loro sicurezza, le loro case e i mezzi di sostentamento”, ha dichiarato il sottosegretario generale per gli Affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza dell’UNHCR, Martin Griffiths.

“La generosità dei donatori ci aiuta a fornire cibo e nutrizione, alloggi, acqua potabile e istruzione ai bambini, nonché a combattere la piaga della violenza di genere e ad assistere i sopravvissuti”. Ma l’appello dell’anno scorso è stato finanziato per meno della metà. Quest’anno dobbiamo fare meglio e con un maggiore senso di urgenza”.

L’UNHCR ha lanciato lo scorso Febbraio un nuovo appello per un totale di 4,1 miliardi di dollari per soddisfare i bisogni umanitari più urgenti dei civili nel Sudan devastato dalla guerra e di coloro che sono fuggiti nei Paesi vicini. Nonostante l’ampiezza della crisi, i finanziamenti rimangono estremamente bassi. Solo il 7% dei requisiti delineati nel Piano di risposta regionale ai rifugiati per il Sudan per il 2024 è stato soddisfatto.

Il conflitto.

I combattimenti, scoppiati il 15 Aprile del 2023, tra l’esercito regolare (Sudan Armed Forces denominate SAF), guidato da Abdelfattah Al-Burhan, e le forze di supporto rapido (Rapid Support Forces denominate RSF) guidate da Mohammed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, hanno messo a ferro e fuoco l’intero paese.

Sudan
General Mohamed Hamdan Dagalo |
Photo Credit: Yasuyoshi Chiba/AFP via Getty Images

Le divisioni etniche e la militarizzazione di intere aree del Sudan hanno reso sempre più profonde le fratture sociali già presenti; il Sudan ha imboccato la strada della crisi, con il paese sempre più frammentato in diverse zone di controllo e istituzioni di governo.

La particolare dinamica basata sui clan, sulle istanze etniche e sui grandi interessi economici ha fatto sprofondare il Sudan in una situazione dalla quale sarà molto difficile riemergere, se non a seguito di una frammentazione geografica e sociale; un grande caos del quale hanno approfittato varie formazioni locali ad affermazione del loro potere.

La particolarità è piuttosto evidente soprattutto all’interno delle Forze di Supporto Rapido comandate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, ex vicepresidente del paese.

Come Hemeti molti appartenenti alle RSF provengono dal Darfur o dal Ciad, un gran numero di essi appartengono alla popolazione nomade araba Baggara (Hemeti proviene dalla tribù Mehriya del sottoclan Awlad Mansur), hanno radici comuni: i più anziani hanno combattuto nella guerra del Darfur, sono stati armati fino ai denti dal governo sudanese di Omar al-Bashir per combattere per procura l’Esercito di liberazione del Sudan.

Le Forze di Supporto Rapido sono “una compagine transnazionale a vocazione mercenario-commerciale di proprietà della famiglia” come ha affermato Alex De Waal in un articolo pubblicato su ISPI. Le RSF sono una vera e propria impresa, armata e violenta, ma pur sempre un’impresa legata al clan, alla famiglia. Se riusciranno ad avere il vero sopravvento sull’esercito sudanese, si arricchiranno, si abbandoneranno a saccheggi su larga scala, alla pulizia etnica ed alla sottomissione delle etnie di pelle nera.

********************************************************************************

Era il 26 giugno 2023, la guerra era ormai scoppiata da due mesi e mezzo e le notizie che giungevano da El Geneina, nel Darfur occidentale, riportavano notizie raccapriccianti di omicidi mirati e di massa di civili appartenenti all’etnia Masalit.

Migliaia di civili furono stati sequestrati, uccisi in strada, le donne prese di mira e violentate mentre cercavano di raggiungere a piedi il confine con il Chad.

Una situazione che in verità inizio a precipitare sin dal 14 giugno, con l’uccisione del governatore del Darfur Occidentale, Khamis Abbakar, avvenuta all’uscita degli studi televisivi da dove aveva appena denunciato a reti unificate il “genocidio” in atto e dopo aver accusato pubblicamente le forse RSF, chiedendo protezione alla comunità internazionale.

Il 20 giugno, Radio Dabanga, storica emittente regionale, pubblicò un report dettagliato delle conseguenze dei combattimenti, presentando numeri da capogiro, tanto da portare le agenzie internazionali e le autorità locali a parlare di “genocidio in stile Rwanda“.

Nour, 25 anni, di El Geneina dopo essere stato curato dalle équipe mediche di MSF nell’ospedale di Adré (Mohammad Ghannam / MSF)

A Novembre queste segnalazioni, le notizie riportate dai rifugiati trovavano riscontro sul campo.

La regione occidentale del Sudan fu, insieme alla capitale Khartoum, l’epicentro dei combattimenti. Gli scontri più pesanti si concentrarono ad El Geneina, la capitale del Darfur occidentale. La città, assediata dalle RSF, fu sottoposta a continui e pesanti bombardamenti.

Nelle ultime due settimane di assedio gli scontri lasciato il passo ad una vera e propria operazione di pulizia etnica nei confronti dei cittadini di etnia Masalit, da parte delle truppe delle RSF e di milizie di etnia janjaweed (di origine araba, in gran parte già presenti nelle RSF), provenienti anche dal vicino Chad.

*********************************************************************************

Al momento le Rapid Support Forces sembrano avere la meglio regolare, dopo dopo che intorno alla metà di Dicembre, riuscirono a conquistare Wad Madani nello stato di Al-Gezira, considerato il granaio del Sudan.

Le RSF controllano gran parte del Sudan occidentale e meridionale, un’area congeniale, un territorio ben conosciuto, nel quale le reti di potere, quelle sociali legate ai clan e quelle familiari hanno il loro peso.

Possono contare su rifornimenti di armi, munizioni e finanziamenti provenienti dalla Repubblica Centroafricana, dal Ciad, dalla Libia, sul supporto di alcune centinaia di mercenari della Wagner, e come affermato pubblicamente da Yasser al-Atta, vicecomandante dell’esercito, dagli UAE.

Il Generale Yasser Al-Atta
Credit: Sudan News Agency

Le SAF possono ancora contare su appoggi internazionali e regionali come quello egiziano (e siano circolati in rete video di commando di forze speciali ucraine in azione contro forze Wagner presenti su suolo sudanese), c’è da evidenziare però la perdita della fabbrica di armi Yarmouk nell’area di Khartoum (andata completamente distrutta).

L’esercito sconta le divisioni interne, le lotte di potere e la divisione su base etnica e religiosa; divisioni che hanno innescato spirali interne dettate dalla vendetta e dalla volontà di predominio. Una struttura, che seppur più strutturata (diversamente da quella più agile delle RSF) risulta, paradossalmente, meno adatta ad affrontare lo scenario attuale, che potrebbe sfaldarsi facilmente in caso di una sconfitta militare, con alcuni generali che in poco tempo potrebbero passare all’altra parte della barricata per denaro.

Sudan
Abdel Fattah al-Burhan
Photo Credit: Sudan TV

Ad oggi l’unica grande azione militare messa in campo dalle SAF è stata quella di distruggere le infrastrutture militari e civili per rallentare l’avanzata delle RSF, riuscendo a malapena a controllare il territorio ad est del Nilo.

Nel Novembre 2023 parlammo del rischio di “uno scenario libico” per il paese. La grandezza del paese potrebbe rendere questa “suddivisione” piuttosto verosimile. Ad oggi, anche se dal caos uscisse fuori un vincitore, potrebbe solo “comandare”, non di certo “governare”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Torna su