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Sudan. L’esercito sudanese accusa gli Emirati Arabi Uniti di armare le RSF

Yasser Al-Atta, membro del Consiglio sovrano sudanese e Vice comandante in capo dell’esercito sudanese, ha accusato gli Emirati Arabi Uniti (EAU) per aver fornito forniture militari alle forze di supporto rapido (RSF).

La dichiarazione del generale è la prima conferma ufficiale di ciò che molti media internazionali hanno riportato negli ultimi giorni. Crescenti sono le accuse dei gruppi politici e civili sudanesi secondo cui gli Emirati Arabi Uniti forniscono armi e attrezzature militari alle milizie comandate dal generale Hemedti.

Le informazioni ottenute dal servizio di intelligence generale e dall’intelligence militare e straniera indicano che gli Emirati Arabi Uniti hanno trasportato rifornimenti militari alla milizia Janjaweed attraverso l’aeroporto di Entebbe in Uganda e Africa centrale, prima dell’inizio dello smantellamento del gruppo Wagner russo, oltre all’aeroporto Am Jars in Ciadha detto Yasser Al-Atta rivolgendosi ai militari presso la base militare di Wadi Saydna a nord di Omdurman.

Il generale non ha esitato ad accusare anche figure influenti del governo ciadiano: “Rispettiamo il popolo del Ciad. Sono un popolo fraterno con cui abbiamo legami di sangue, religione e lingua, ma al loro interno ci sono alcuni agenti mercenari e traditori dei popoli africani, e sono agenti del colonialismo moderno”.

Conosco un’organizzazione terroristica e criminale, ma uno stato che è una mafia è la prima volta che ne sento parlare… Gli Emirati sono uno stato che ama la rovina e segue le orme del male, anche se il suo popolo è fraterno e il suo leader fondatore, lo sceicco Zayed, era noto per il bene fatto e per la sua generosità, ma il successore è evidente che abbia a che fare con il male” ha detto a chiosa del suo intervento Al-Atta.

Le parole di Al-Atta sono le ultime di una serie di indiscrezioni che man mano trovano corpo nei fatti. Probabilmente il generale sta puntando il dito contro Bichara Issa Jadallah, membro piuttosto influente del Consiglio militare di transizione del Ciad, capo di stato maggiore dell’esercito e cugino di Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemedti. 

Una vecchia conoscenza, quella di Jadallah, già noto per essere stato ministro della difesa del Ciad durante la crisi del Darfur, all’interno del quale le milizie a cavallo tristemente note come Janjaweed (in gran parte di origine ciadiana e darfurina) si resero protagoniste di massacri indiscriminati e di pulizia etnica nei confronti degli appartenenti alle etnie non arabe.

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Il New York Times e il Wall Street Journal ne hanno dato notizie all’interno delle loro pagine. Dall’inizio della guerra le denunce del coinvolgimento degli Emirati Arabi Uniti nel sostegno alle Forze di Supporto Rapido sono state sempre più circostanziate.

Emirati Arabi Uniti
La destinazione dei ponti aereo tra Emirati Arabi Uniti e Amdjarass nel Ciad nord-orientale via Entebbe. Credit: @Gerjion / Twitter

Anche il noto analista di immagini satellitari Gerjion ha segnalato numerosi ponti aereo tra gli Emirati Arabi Uniti e il Ciad via Entebbe, con destinazione finale a Amdjarass a confine tra il Ciad orientale ed il Darfur.

Emirati Arabi Uniti
La consegna dei veicoli blindati del modello MCAV-20 Calidius della Nimr. 8 Agosto 2023. Credit: Military Africa

In un recente aggiornamento, lo stesso Gerjion ha evidenziato come in totale i voli tracciati con destinazione Ciad siano stati ben 109: “Ci sono stati anche almeno 59 voli Boeing 747 e Antonov An-124 da Abu Dhabi ad Amdjarass”.

I rapporti tra gli UAE e il Ciad sono sempre stati stretti, sia in campo politico che nel campo della cooperazione militare. Ad Agosto, durante la visita del capo della giunta militare ciadiana Mahamat Déby nel paese arabo, sono stati firmati una serie di accordi bilaterali grazie ai quali il paese ha cominciato a ricevere veicoli blindati del modello MCAV-20 Calidius della Nimr di fabbricazione emiratina.

Ufficialmente le forniture sono state eseguite a sostegno delle capacità del Ciad nella lotta al terrorismo e nel rafforzamento della protezione delle frontiere.

Una storia che per essere ben compresa pretende un piccolo salto nel tempo.

Come Hemedti molti appartenenti alle RSF provengono dal Darfur o dal Ciad, un gran numero di essi appartengono alla popolazione nomade araba Baggara (Hemedti proviene dalla tribù Mehriya del sottoclan Awlad Mansur), hanno radici comuni: i più anziani hanno combattuto nella guerra del Darfur, sono stati armati fino ai denti dal governo sudanese di Omar al-Bashir per combattere per procura l’Esercito di liberazione del Sudan.

Il taglio caratterizzante delle milizie è l’appartenenza a popolazioni di origine araba; lo stampo razzista, legato al panarabismo e profondamente violento nei confronti delle altre popolazioni non arabe va inquadrata nelle radici che tali milizie hanno nella Tajammu al-Arabi, la milizia tribale sudanese e organizzazione politica araba sudanese che operava nel Sudan occidentale e meridionale durante la fine degli anni ’80, sponsorizzata principalmente dal leader libico Muammar Gheddafi, sullo stampo delle forze mercenarie libiche che operavano nel Sahel durante gli anni ’70 e ’80.

Queste “unità di prima linea” o Murahleen, non erano composte da predoni a cavallo che attaccavano i villaggi del Darfur del sud per saccheggiare oggetti di valore e fare schiavi.

I Murahleen sono stati i precursori di quelli che divennero poi i “Janjaweed“, miliziani a cavallo saliti alle cronache per gli eccidi di massa di civili appartenenti a popolazioni non arabe (principalmente Dinka e Nuba) durante la seconda guerra civile sudanese.

Non è un caso che la storia si ripeta e che le voci che si sono rincorse -nell’attuale contesto bellico- abbiano trovato riscontro nei fatti. E’ il 26 giugno 2023, la guerra è ormai scoppiata da due mesi e mezzo e le notizie che giugno da El Geneina, nel Darfur occidentale, riportano notizie raccapriccianti di omicidi mirati e di massa di civili appartenenti all’etnia Masalit.

Dagli eccidi di massa alla pulizia etnica il passo è stato breve. Lo stesso inviato delle Nazioni Unite per il Sudan, Volker Perthes ammetteva gli attacchi contro i civili basati sull’ordine etnica, commessi da milizie arabe, che accertati avrebbero potuto costituire crimini contro l’umanità.

Migliaia di civili sono stati sequestrati, uccisi in strada, le donne prese di mira e violentate mentre cercavano di raggiungere a piedi il confine con il Ciad.

Una situazione che ha iniziato a precipitare sin dal 14 giugno, con l’uccisione del governatore del Darfur Occidentale, Khamis Abbakar, avvenuta all’uscita degli studi televisivi da dove aveva appena denunciato a reti unificate il “genocidio” in atto ed aver accusato pubblicamente le forse RSF, chiedendo protezione alla comunità internazionale.

Il 20 giugno, Radio Dabanga, storica emittente regionale, ha pubblicato un report dettagliato delle conseguenze dei combattimenti, presentando numeri da capogiro, tanto da portare le agenzie internazionali e le autorità locali a parlare di “genocidio in stile Rwanda“.

Alla fine del mese di Ottobre, i morti nel Darfur potrebbero aver raggiunto quota diecimila, anche se le stime sono ritenute -ahimè, ndr – al ribasso.

Non stanno solo cercando Masalit, ma chiunque sia nerohanno detto a Reuters numerosi rifugiati in Ciad.

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