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Tigray e l’accesso negato

Tigray, accesso negato

E’ iniziata come una veloce azione di polizia. Si è distinta subito come guerra etnica dai risvolti genocidi.

C’è una crisi umanitaria in atto.

Le persone, i residenti, i civili di quel luogo sono diventati profughi interni e cercano di scappare dal proprio paese sotto attacco, isolato ed invaso. E’ stato distrutto e messo fuori uso l’80% del sistema sanitario: un attacco sistematico. Sono stati distrutti, saccheggiati anche luoghi di culto, monasteri. Bruciati campi, raccolti, ucciso o rubato bestiame. Sono stati uccisi per mezzo di raid aerei e per mezzo droni, civili di ogni età, sesso e ceto sociale che nulla avevano a che fare con quella guerra. Questo è stato solo la punta dell’iceberg. Le violenze di genere, gli stupri sistematici sono stati decine di migliaia: report che ne testimoniano la cruda realtà sono stati messi in discussione perché non è stato possibile confutarne la metodologia di raccolta delle testimonianze: causa principale? Territorio bloccato nelle comunicazioni e nei confini. Insomma una guerra di propaganda per sminuire l’orrore della realtà dei fatti.

Tutto questo è iniziato ormai più più di un anno fa e non si sta parlando della martoriata Ucraina di oggi, ma dello stato regionale del Tigray a partire dal novembre 2020 ad oggi.

Venerdì 4 marzo giungono indiscrezioni e notizie che è avvenuto un ennesimo attacco per mezzo drone nella città di Shire Endaselassie, infliggendo pesanti perdite a civili e proprietà.

Ci sono guerre che si vivono e si seguono “comodamente” seduti sul divano di casa davanti alla TV o via social: bombardati da informazioni a 360 gradi. Il più delle volte è rumore, propaganda e fake news perché anche la pandemia informativa, l’infodemia è un’arma micidiale usata dai signori delle guerre.

Questo sta accadendo per l’Ucraina. Non è capitato per il Tigray: la guerra con risvolti etnici e genocidi, si è svolta nel completo isolamento di questo stato regionale dell’ Etiopia settentrionale. Guerra che si è svolta nel completo blackout elettrico e comunicativo, nel completo silenzio del mondo.

In novembre 2020 è partita una “veloce azione di polizia” per bloccare ed arrestare tutti i membri del partito TPLF – Tigray Peoples’ Liberation Front. L’attività si è tramutata fin da subito in guerra con i principali attori militari: le forze di difesa federali ENDF, gli alleati ahmara e le truppe eritree occupanti il territorio tigrino ancor oggi. Nel totale blackout ci sono voluti molti mesi per avere le prime indiscrezioni macabre, atroci e disumane che hanno dovuto subire i civili in maniera sistematica da parte delle forze militari. Ad oggi si hanno problemi all’accesso ed alla fornitura umanitaria. Si contano almeno 37 operatori sanitari sono uccisi e 78 feriti. Causa insicurezza di diverse aree alcune agenzie umanitarie hanno dovuto ritirarsi dal loro operato, lasciando in balia degli eventi i tigrini.

Il Washington Post l’1 marzo 2022 ha pubblicato un articolo di come l’Ucraina ed il popolo della resistenza alla Russia abbia e stia usando i social media come arma di difesa, come strumento per resistere all’invasione russa.

Il popolo ucraino sta utilizzando i social per:

  • Mostrare al mondo l’entità della distruzione e dello spargimento di sangue dell’esercito russo guidato dal Cremlino;
  • Intimidire e indebolire le truppe russe;
  • Raccogliere prove per le indagini sui crimini di guerra;
  • Pianificare la resistenza per l’insurrezione;

Il governo ucraino sta usando:

  • Telegram per organizzare i combattenti, condividere informazioni, confutare la comunicati/propaganda del Cremlino;
  • Facebook per raccogliere sostegno, estendere l’amnistia alla resa dei russi;
  • Sito web per condividere foto di invasori catturati/uccisi per alimentare il dissenso russo;
  • Meme su come creare armi, bloccare le strade;

Mentre la ICRC, il Comitato Internazionale della Croce Rossa fa sapere che dal gennaio 2021 al gennaio 2022 è riuscita a dare 41326 telefonate gratuite a tutti gli etiopi di origine tigrina, bloccati in Tigray, che hanno perso i contatti con le loro famiglie e i loro cari. Servizio telefonico grazie ai telefoni satellitari svincolati dalla rete nazionale etiope. Il Tigray è formato da 7 milioni di etiopi.

Mentre il blocco di internet per volontà politica governativa ha fatto in modo che oltre le comunicazioni tra i civili, venissero bloccati i servizi bancari, l’accesso ai conti correnti. Non c’è stato modo di far trapelare nulla in tempo reale come sta avvenendo in Ucraina. In più di un anno questo ha fatto in modo che venissero affossate anche tutte le attività commerciali, le startup, le realtà formative culturali.

Come riportato recentemente da Tghat nella sua approfondita analisi “Impatto dell’arresto di Internet nel Tigray”:

“La Mekelle University, la più grande università del Tigray, ha sviluppato un sistema di e-learning e ne ha digitalizzato le operazioni. Quando Internet è stata improvvisamente chiusa, l’università è stata effettivamente resa inutile. Goitom Tegegn, l’allora direttore della comunicazione pubblica dell’università, spiega in una lettera di aver scritto ai funzionari del governo federale come l’università sia stata costretta a interrompere l’insegnamento, la ricerca, a interrompere le sue collaborazioni di ricerca con altre università; come gli studiosi fossero costretti a cestinare i loro manoscritti perché non potevano comunicare con editori e collaboratori.”

Ai tigrini non è stato dato la possibilità di raccontare la loro storia, quello che in 16 mesi di atrocità hanno vissuto e subìto. Tant’è vero che ancor oggi c’è il problema legato alla credibilità delle fonti e testimonianze che hanno raccontato i massacri, le violenze e le attività che possono essere categorizzate come crimini di guerra e verso l’umanità.

Anche i media indipendenti ed i giornalisti hanno subìto attacchi, intimazioni e reali atti di intimidazione da parte di forze di polizia etiope. Alcuni sono stati arrestati, altri perquisiti, altri fatti salire su un aereo ed espulsi, altri uccisi.

Il novembre 2021, dopo 1 anno dall’inizio della guerra in Tigray, è stato dichiarato dal governo centrale lo stato di emergenza nazionale per la salvaguardia della sicurezza dell’ Etiopia. I media nazionali sono stati soggiogati dalla normativa dello stato di emergenza. Hanno ricevuto ordini di non poter raccontare o condividere bollettini del fronte. Alcuni tra i maggiori media internazionali ( BBC, CNN, Reuters…) sono stati ripresi per “cattiva condotta” e sono stati diffidati da condividere “fake news” pena il ritiro della licenza per poter operare in Etiopia.

La guerra non viene combattuta solo con le bombe e con i fucili.

Esiste una guerra di propaganda. Oggi bisogna dare un occhio anche alla così detta cyber war (più che azioni di guerra cybernetica, sono azioni di rappresaglia e propaganda), la guerra che passa attraverso la rete, che va oltre internet: social, app di messaggistica, reti private create ad hoc…

Degno di nota è un recente articolo di Wired Italia sono stati raccontati gli attacchi informatici tra team di attivisti hacker filo russi e filo ucraini. L’articolo titola:

“Sono stati diffusi i dati della gang di ransomware Conti, che si era schierata con la Russia.

Un ricercatore ucraino, infiltrato nel collettivo di cyber criminali filorussi, ha divulgato oltre 16mila messaggi interni e riservati della banda. Nel frattempo gli hacker partigiani bielorussi colpiscono le infrastrutture ferroviarie del loro paese.”

Mentre in Tigray, grazie al blocco delle telecomunicazioni e dell’ energia, con un popolo al buio e tenuto in ostaggio dalla guerra, sicuramente è molto più semplice da parte di alcuni canalizzare l’informazione di propaganda e riuscire anche ad annacquare, affossare eventuali prove dei crimini e contro l’umanità.

Lunedì 7 marzo 2022, vigilia della giornata internazionale della donna, il parlamento del Regno Unito ha ospitato due donne: Filsan Ahmed, ex ministro delle donne, dei bambini e della gioventù etiope e Lucy Kassa, giornalista indipendente. Oltre a un atto di solidarietà verso tutte le donne ucraine, hanno portato le testimonianze assolutamente devastanti degli atti orribili di stupro perpetrati su migliaia di donne del Tigray e la richiesta per un’azione urgente necessaria. Azione urgente per quanto possa esserlo l’urgenza di un’azione dopo 16 mesi per supporto ed aiuti.

Martedì 8 marzo Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha chiamato il Primo Ministro etiope e discusso dell’accesso umanitario alle aree colpite dal conflitto, nonché del dialogo politico in Etiopia.

Anche la vice ministra degli esteri Marina Sereni, in una 3 giorni in Etiopia, ha dichiarato ad Avvenire che:

“Abbiamo sottolineato al governo che incoraggiamo il dialogo. Va creato un corridoio per gli aiuti in Tigrai e nelle regioni Afar e Amhara. E serve verità sui crimini”

Preoccupazioni e richieste che ormai da 16 mesi sono sempre nella lista di cose da fare e che tutti hanno ben chiare, ma che non hanno visto ancora attuazione, in un Tigray e nel resto del nord Etiopia che ormai vive una catastrofe umanitaria da più di un anno.

Le guerre dimenticate, come quella in Tigray, potrebbero essere definite “guerre di serie B” ma è sbagliato.

Le guerre sono sempre guerre per le risorse.

Il denominatore comune, oltre ovviamente le atrocità e la disumanità che creano, sono le risorse.

La guerra nello stato regionale del Tigray iniziata nel novembre 2020 e che oggi ha creato una catastrofe umanitaria nel nord Etiopia, da più di un anno è nell’ombra, ancor peggio oggi oscurata totalmente dalla guerra in Ucraina.

Appena, speriamo presto, le “super potenze” ed i signori della guerra riequilibreranno le risorse in gioco per i loro obiettivi, ritorneranno a preoccuparsi dell’Africa, di risolvere, mediare conflitti e crisi umanitarie per salvaguardare lo sfruttamento delle risorse del continente.

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