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Etiopia, autorità dei media diffida a CNN, BBC, Reuters e Associated Press

L’EMA – Ethiopian Media Authority, il 19 novembre 2021 ha inviato esplicita diffida a CNN, BBC, Reuters e Associated Press con la dichiarazione di revocare la loro licenza per cattiva condotta, o meglio, i media sarebbero stati denunciati per disinformazione.
EMA ha confutato la diffida in 6 punti:
1. Produzione e diffusione di notizie false e analisi di notizie sull’Etiopia per aiutare gli obiettivi del TPLF;
2. Segnalare l’operazione delle forze dell’ordine come una campagna di genocidio;
3. Rapporti che minano gli sforzi del governo per affrontare la crisi umanitaria nella regione del Tigray;
4. Riferire che il governo sta usando la carestia e lo stupro come arma di guerra nella regione del Tigray;
5. Produzione di reportage diffamatori sulle principali istituzioni del Paese;
6. Generare notizie che cercano di screditare il leader del paese nell’arena internazionale e mettere il paese sotto un’intensa pressione diplomatica;
E’ innegabile che l’Etiopia come stato sovrano cerchi e debba salvaguardare il proprio Paese da attacchi interni ed esterni che possano minare la sicurezza e la stabilità dell’ Etiopia stessa.
Nel contempo però è innegabile che in Tigray e nella vicine regioni Amhara ed Afar ci sono milioni di persone che abbiano bisogno di soccorso e supporto immediati, conseguenza di una guerra iniziata nello stato regionale del Tigray a novembre 2020 e che è sconfinata nelle due regioni limitrofe. Nel Tigray le zone rurali sono totalmente in balia degli eventi, come i loro abitanti e ormai quei pochi aiuti (UNOCHA parlava settimane fa che hanno avuto accesso circa e solo il 10% degli aiuti salva vita necessari e continuativi nel tempo – e non una tantum).
E’ innegabile anche che la popolazione del Tigray ha iniziato a subire le violenze e gli abusi (stupri come rivendicazione e vendetta da parte dei soldati, si legge dai report di Amnesty) conseguenze dirette della guerra partita a novembre 2020, in totale isolamento elettrico e comunicativo e continua ad avere problemi di accesso degli aiuti e dei convogli umanitari che dovrebbero portare cibo, carburante e medicinali. Ad oggi dai report delle agenzie umanitarie risultano ancora centinaia di camion bloccati a Semera, punto di snodo in Afar e unica strada di accesso percorribile.
Oltre alla repressione mediatica di un anno (media internazionali che non hanno potuto verificare, aggiornare della situazione sul campo) coesiste anche uno stato di timore e paura da parte di realtà umanitarie in Tigray nel testimoniare cosa sta avvenendo per paura di ritorsioni su loro stessi e sulle comunità e le persone che cercano di aiutare.
Lo ha dichiarato esplicitamente anche il conduttore Andrea Sarubbi di TV2000 sabato scorso nella puntata della trasmissione Today dedicata all’Etiopia
(registrazione video https://www.youtube.com/watch?v=RK-fBvJaZCk&t=319s ) :
“Non è un problema di stampa, li è anche un problema di volontari, di cooperanti… Abbiamo provato ad avere testimonianze dall’Etiopia, ma le O.N.G. che abbiamo sentito, tutte le organizzazioni avevano paura a parlare.
Hanno detto “non è il momento, perché qui abbiamo paura”
Allora andare a dare una mano come fanno i Salesiani del Don Bosco (centro colpito chirurgicamente sia imprigionando il personale e i sacerdoti in maniera arbitraria che bombardando con i droni n.d.r.) è pericoloso in questo momento?”
Ha risposto Don Abba Mussie Zerai ospite della trasmissione e presidente dell’ Agenzia Habeisha per la cooperazione e lo sviluppo:
“E’ diventato pericoloso perché se tu vieni preso di mira perché hai aiutato una determinata etnia piuttosto che un’altra questo fa si che diventi pericoloso, ma non dovrebbe essere questo: la solidarietà non va criminalizzata. Chiunque ha bisogno va aiutato.”
Non si può negare che la legge anti terrorismo normata dall’attuale governo centrale sia legittima per qualunque Paese voglia risolvere questioni di sicurezza nazionale. Allo stesso tempo in Etiopia con tale normativa hanno legittimato modalità di azione delle forze di polizia che, come espresso anche da Amnesty International nel report del 12 novembre 20201 e dall’ EHRC – Ethiopian Human Rights Commission, ledono e vanno contro la legge internazionale sui diritti umani.
“Le forze di sicurezza nella capitale etiope, Addis Abeba, hanno preso di mira i tigrini, compresi bambini e anziani, con arresti arbitrari e detenzioni di massa nell’ambito di una crescente repressione” ha affermato Amnesty International “La maggior parte dei detenuti è trattenuta senza accusa né accesso a un avvocato.”
Conferme ci sono giunte in questi giorni da persone i cui familiari hanno subìto questo trattamento: prigionia e deportazione in luoghi sconosciuti, a tempo non precisato e senza un movente dichiarato. Le nostre fonti hanno dichiarato anche di essere altamente preoccupate per il loro futuro incerto: il limbo, non sapere più nulla di quello che avverrà della propria vita, è una fine macabra per chi la subisce e per chi gli sta accanto.
Lasciamo agli organi competenti il doveroso e gravoso compito di investigare sulle cause e sui responsabili per poterli demandare a giudizio per la giusta pena per i crimini di guerra e contro l’umanità che hanno commesso. Le realtà ufficialmente preposte, in questo caso gli Uffici per i Diritti Umani etiope – EHRC e delle Nazioni Unite che hanno lavorato in maniera congiunta hanno già le loro difficoltà evidenziate dal report prodotto e condiviso a novembre 2021: analisi risultata parziale come predetto da diverse fonti mesi prima che lo stesso report venisse condiviso. Sia per difficoltà di accesso in determinate aree (esempio zone rurali in Tigray) sia per la presunta “faziosità” dell’ EHRC come giudicata da diverse fonti.
Ogni persona dovrebbe cercare di discernere quelle che sono le informazioni dal rumore di fondo, quello che solitamente viene definito propaganda e che supporta un certo schieramento o che cerca di distogliere l’attenzione dal reale problema: non l’economia, non la politica od i movimenti, ma priorità alle persone ed alle loro vite.
Il senso di tutto questo lo definisce bene un proverbio africano: “Quando gli elefanti combattono è sempre l’erba a rimanere schiacciata.”
Infatti dall’ ultimo report del’ UNOCHA del 23 novembre 2021 si percepisce bene la gravità e la realtà dei fatti, i bisogni reali e di vitale importanza urgente delle persone in Tigray e in altre aree d’Etiopia.
“In Etiopia, International Medical Corps gestisce 23 squadre mobili di salute e nutrizione (MHNT), che hanno raggiunto 682.961 sfollati interni (IDP) sistemati in 37 siti di sfollati nelle regioni di Afar, Amhara e Tigray.
Questa espansione dei combattimenti (nelle regioni di Amhara ed Afar n.d.r.) ha creato altri 1,7 milioni di sfollati interni (IDP) e reso non funzionali 1.436 strutture sanitarie nelle regioni di Amhara e Afar, inclusi 271 centri sanitari, 1.146 posti sanitari e 23 ospedali. Delle strutture sanitarie colpite, 163 centri sanitari, 642 posti sanitari e 14 ospedali sono stati distrutti e saccheggiati di attrezzature e forniture. Con il recente aumento della violenza, possiamo aspettarci che questo numero aumenti nei prossimi giorni.
Lo sforzo di risposta alle emergenze in Tigray continua ad essere ostacolato dall’interruzione e dalla sospensione delle reti elettriche, telefoniche e Internet, dei servizi bancari, della carenza di carburante e delle sfide logistiche nel trasporto di forniture critiche, compresi i farmaci essenziali. Di conseguenza, le forniture mediche sono estremamente scarse nel Tigray e la situazione sta diventando disastrosa.”
Tutto questo scenario di catastrofe umanitaria inserito in un contesto ancora di guerra aperta su più fronti e dalla fine ipotizzabile ma ancora incerta per tutta l’Etiopia: un Premier “nobel per la pace contestato” che è andato al fronte al fianco dei suoi soldati, sprezzante della sua certezza di vittoria ed i partigiani del TDF – Tigray Defence Forces che di giorno in giorno diminuiscono la loro distanza da Addis Abeba, coalizzati con OLA – Oromo Liberation Army e con altri gruppi di opposizione al governo centrale.

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