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Sudan, oggi di nuovo in piazza i manifestanti contro il “governo del tradimento”

Mentre il popolo sudanese continua a protestare contro l’accordo raggiunto tra i militari e una parte delle Forze della libertà e del cambiamento, convocano per oggi la “marcia del milione” per ribadire il loro più determinato “no” a quello che definiscono il “governo del tradimento”, l’Unione europea, la Svizzera, il Canada, insieme a Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti accolgono con favore l’accordo per reintegrare il premier sudanese deposto Abdalla Hamdok come primo ministro di un governo di transizione a guida civile in Sudan, in attesa delle elezioni.
Ma leggendo tra le righe della nota ufficiale, il giudizio sulla tenuta dell’intesa resta condizionato. Per ora.
“Siamo incoraggiati dal rinnovato impegno per la Dichiarazione Costituzionale del 2019 come base della transizione verso la democrazia. Accogliamo positivamente il rilascio dagli arresti domiciliari del dottor Hamdok, ma sollecitiamo l’immediata liberazione di tutti gli altri detenuti politici, non solo a Khartum ma in tutte le città del Paese. Sono passi cruciali per il pieno ripristino della transizione, dell’ordine costituzionale e dello stato di diritto del Sudan” sottolineano in una dichiarazione congiunta gli esponenti della diplomazia internazionale ribadendo la solidarietà al popolo sudanese e il proprio sostegno per “una transizione di successo che porti a un Sudan libero, democratico, giusto e pacifico soddisfacendo le aspirazioni delle persone, anche attraverso un approccio genuinamente inclusivo e consultivo per stabilire le restanti istituzioni di transizione”.
Gli estensori della nota hanno anche voluto ribadire che continuano a deplorare e a condannare la perdita di vite umane, la violenza e le violazioni dei diritti umani che hanno avuto luogo dal 25 ottobre.
Decine di manifestanti sono stati uccisi, centinaia feriti o detenuti arbitrariamente. Ai medici è stato inoltre impedito di svolgere le loro funzioni come ai giornalisti che in alcuni casi stati anche aggrediti.
Il prienier Abdalla Hamdok tra i primi impegni assunti per il suo nuovo mandato quello di un’inchiesta sulle repressioni delle manifestazioni in cui sono state uccise decine di persone.
Un’indagine che la diplomazia internazionale chiede sia approfondita, indipendente e trasparente.
Anche il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha voluto esprimere, personalmente, il proprio favore per il nuovo accordo politico raggiunto in Sudan con il reinsediamento del primo ministro deposto Abdalla Hamdok na insiste sulla liberazione di tutti i civili arrestati dopo il colpo di stato militare del mese scorso. In una serie di messaggi pubblicati su Twitter, Blinken si è detto “incoraggiato dalle notizie secondo cui i colloqui a Khartoum porteranno al rilascio di tutti i prigionieri politici, al reintegro del primo ministro Hamdok, alla revoca dello stato di emergenza e alla ripresa di un coordinamento” tra le parti. Il capo della diplomazia Usa ha quindi esortato le parti sudanesi a proseguire i colloqui e “raddoppiare gli sforzi per completare i principali compiti di transizione lungo un percorso guidato dai civili verso la democrazia”, chiedendo alle forze di sicurezza di “astenersi dall’uso eccessivo della forza contro i manifestanti pacifici”.
L’accordo, in base al quale Hamdok formerà ora un governo indipendente di tecnici, è stato raggiunto dopo settimane di colloqui tra i militari della giunta che ha preso il potere dopo il golpe del 25 ottobre e i leader dei diversi partiti sudanesi.
Dall’accordo ha tuttavia preso le distanze la coalizione delle Forze per la liberta’ e il cambiamento (Ffc), promotrice nel 2019 delle proteste che portarono alla deposizione del presidente Omar al Bashir. “Siamo rimasti sorpresi dalla firma di una dichiarazione politica tra il primo ministro Abdallah Hamdok ed il generale Abdel Fattah al-Burhan, comandante in Capo delle Forze Armate”, hanno dichiarato in una nota, nella quale sottolineano di non aver aderito all’intesa ed esprimono rinnovato sostegno alla richiesta del popolo sudanese di ripristinare il governo civile. Secondo gli oppositori, l’accordo è una forma di legittimazione del colpo di Stato dello scorso 25 ottobre.
Oltre al reintegro di Hamdok come primo ministro e al rilascio dei detenuti, l’intesa conclusa fra Hamdok e al Burhan stabilisce la ripresa del processo costituzionale, legale e politico di transizione. L’accordo è stato firmato alla presenza dei membri del Consiglio sovrano sudanese – prima sciolto, poi ripristinato dallo stesso al Burhan, che ne e’ a capo – e dei leader degli ex gruppi ribelli che hanno firmato l’accordo di pace di Giuba.
Nel testo, riferisce “Sudan Tribune”, si sottolinea che la dichiarazione costituzionale emendata dopo l’accordo di pace diel 2020 rimane il principale documento di riferimento per il completamento del periodo di transizione. L’accordo prevede anche di emendare il documento costituzionale per garantire “una partecipazione politica globale a tutte le componenti della società civile, ad eccezione del disciolto Partito del Congresso nazionale”, formazione islamista fondata da Bashir.
Quest’ultimo punto risponde alla richiesta della componente militare di includere nel Consiglio sovrano i membri del Partito del Congresso popolare ed il movimento Reform Now Party, due gruppi islamisti che al Burhan chiede da tempo di far rappresentare nel consiglio legislativo di transizione. Secondo l’attuale documento costituzionale, questi partiti, che erano stati alleati del precedente regime, non possono partecipare al periodo di transizione e alle principali riforme da adottare durante questo periodo, compresa quella della costituzione.
Insomma, un accordo che si impone di tenere insieme le esigenze delle parti per evitare di proseguire uno scontro destinato a fare altre vittime.
Un’intesa che ha da subito suscitato lo scetticismo degli oppositori.
In particolare non piace il punto che riguarda il processo di approvazione delle nomine dei ministri, che Hamdok dovrà comunque sottoporre al Consiglio sovrano, controllato dal generale Burhan, artefice del colpo di stato.
Il 25 ottobre la guida indiscussa dei militari sudanesi ha dichiarato lo stato di emergenza, sciolto il governo di transizione e fatto arrestare la leadership civile, provocando manifestazioni di protesta e una diffusa condanna internazionale. Hamdok è stato posto agli arresti domiciliari.
Il generale ha sostenuto che la sua iniziativa non fosse un golpe ma un passo per “rettificare la transizione”.
Contro il ripristino della giunta militare ed il colpo di Stato sono scoppiate nuove proteste, indette dalla Forze per la libertà ed il cambiamento (Ffc) e da altri attivisti che hanno lanciato un appello a manifestare “a milioni” contro il nuovo Consiglio di transizione, che vede come vicepresidente il generale Mohamed Hamdan Dagalo (Hemeti), ritenuto dalle opposizioni un pericoloso alleato governativo. La nomina di un organo legislativo di transizione con a capo vecchi personaggi della politica militare sudanese è stata accolta con diffidenza dai governi occidentali, Stati Uniti in testa, che hanno esortato i generali a mettere fine alla gestione militare del potere. Finora nelle manifestazioni contro il golpe sono morte non meno di 50 persone. Mercoledì 17 novembre scorso è stato il giorno peggiore, con 18 morti, sebbene la polizia abbia dichiarato di aver seguito il principio della “forza minima” e di aver usato solo proiettili di gomma.
Oggi, intanto, le Ffc tornano in strada a manifestare sfidando le forze di sicurezza pronte a riversare ancora una volta tutta la loro violenza su civili inermi.

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