Presentato a Roma il libro della medica Cristina Fazzi.
Benvenuti nell’Africa di Cristina Fazzi, nei villaggi dello Zambia dove la medica di Enna da 22 anni salva mamme, bambini, adolescenti. Laureatasi in medicina e specializzata in chirurgia generale a Catania, aveva da poco ottenuto un dottorato di ricerca al Policlinico quando una sua amica missionaria le chiese se poteva sostituirla in un ambulatorio in Zambia. Aveva accettato e dato la disponibilità per sei mesi, che poi sono diventati altri sei, poi un anno. E non è più tornata, un po’ per scelta, un po’ per destino. Veniva da un contesto particolare, la Sicilia, dove erano in tanti a scegliere di fare il medico; in Africa, invece, era l’unica dottoressa in un territorio grande quanto un’ intera regione italiana. Le sembrò più giusto rimanere e oggi, a 57 anni, ancora non sa se e quando tornerà.
Il fatto è che nel 2000, al suo arrivo a Karìbu, gli adulti e soprattutto i bambini morivano come mosche. Non aveva mai visto persone morire di fame, di sete, di malaria. Lei stessa ha preso la malaria quasi 50 volte, compresa quella cerebrale. A Cristina Fazzi sembrava profondamente ingiusto che questa gente fosse costretta a vivere così, perché la solidarietà passa anche dalla giustizia sociale: il diritto alla salute, alla casa, alla scuola dovrebbero essere universali, non dovrebbero conoscere distinzioni di pelle o di latitudine. E così ha deciso che quella di garantire a tutti cure mediche adeguate sarebbe stata la sua missione. Certo non è stato facile: all’inizio aveva un piccolo ambulatorio nel bel mezzo di una foresta, una costruzione minuscola che comprendeva una camera da letto con cucina e bagno e la verandina-ambulatorio. Non era semplice né sicuro per una donna bianca lavorare lì, farsi ascoltare, guadagnare fiducia e credibilità: per gli zambiani il capo è sempre un uomo e alla donna non resta che obbedire. E invece con pazienza, dedizione, rispetto per una cultura differente da quella sua di provenienza, Cristina Fazzi ha conquistato il suo spazio africano: “Alcune cose è stato faticoso farle comprenderle, tanti erano ancora convinti che chi moriva di Aids fosse vittima del maleficio dello stregone».
La ong che ha fondato in Zambia si chiama Twafwaneassociation, che in lingua locale bemba significa Lavoriamo insieme aiutandoci a vicenda, e opera tramite due progetti, il primo che ho avviato nella foresta, a Silangwa, è stato Mayo-mwana project, progetto madre-bambino. Il capo-tribù era così contento dell’attività dell’ambulatorio che le regalò un terreno di 12 ettari per il centro sanitario dedicato alla salute delle donne e dei bambini. Con il tempo si sono ampliati e oggi ha anche una clinica mobile per le vaccinazioni e le visite ostetriche e una casa famiglia, a Ndola. Tante bambine vengono ancora costrette a sposarsi a 12 anni, molte donne picchiate e i bambini abusati. È chiaro che non basta offrire visite mediche e somministrare farmaci: oltre all’assistenza, Cristina e il suo staff si occupano anche e soprattutto di recuperare le vittime di violenza e di coinvolgere i bambini in programmi educativi e scolastici. E poi c’è l’ Ishuko project a Kantolomba, il centro sanitario interamente dedicato a bambini in tenera età e adolescenti, dove si effettuano circa 12mila visite l’anno.
La vita di Cristina Fazzi è dedicata proprio ai giovani: ha un figlio adottivo, Joseph, ora maggiorenne, e altri sette in affido.
Nel libro racconta che Joseph fu portato nel suo ambulatorio nella foresta appena nato; pesava solo 800 grammi, la mamma era morta di emorragia durante il parto. Non potevano trasportarlo in città, così costruì per lui una specie di incubatrice home made usando una scatola di cartone con i buchi laterali, riscaldata da bracieri. Il bambino mangiava ogni 30 minuti e solo così l’ ha salvato, ma la famiglia non voleva e non poteva occuparsene e, per evitare che finisse in orfanotrofio, Cristina prima l’ha preso in affido, poi l’ha adottato. Dopo sono arrivati gli altri figli, di cui il più piccolo è Emanuel, di 4 anni: “Loro sono i progetti più importanti della mia vita, la ragione per cui sono ancora qui e non torno in Italia» racconta con gli occhi che le brillano.
Cristina Fazzi nel 2013 è stata nominata Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e la sua incredibile storia di passione e generosità è diventata il libro Karìbu. Lo Zambia, una donna, una grande avventura (Infinito edizioni), scritto insieme a Lidia Tilotta.
“Non avrei mai immaginato di partire per lo Zambia. Non ho mai avuto lo spirito missionario. Non nel senso comune del termine. O meglio, consideravo il mio lavoro una missione perché l’ammalato, colui che soffre, ha bisogno di aiuto ovunque si trovi. Sono una gran fifona e l’idea di dover andare in un Paese descritto come pieno di pericoli non mi sfiorava nemmeno, non mi era mai balenata neanche nell’anticamera del cervello. A volte, però, il caso cambia il nostro percorso, il nostro destino. E così è stato”,racconta.
“In tutti questi anni sono venuti a trovarmi tanti amici. Vogliono capire, toccare con mano ciò che faccio, e vogliono anche dare un aiuto, per ciò che sanno e per ciò che possono. È una cosa che rafforza il filo rosso che lega il mio lavoro qui alla percezione che ne ha chi vive lontano da qui. Ma è anche e soprattutto un conforto. Mi aiuta a credere che non sono considerata una pazza visionaria rinchiusa in una bolla ma un frammento di un puzzle animato, molto più grande”.