vai al contenuto principale

Sudan, il racconto di Dalia: hanno spento la voce di Shaden che cantava i diritti

«Shaden era terrorizzata, come tutti noi che viviamo barricati in casa. Dall’inizio dei bombardamenti non usciva più e passava le giornate con suo figlio Hamoudy, sua sorella e sua madre, che vivevano con lei a Omdurman. Ma non abbandonava la speranza».
A raccontare gli ultimi giorni di vita di Shaden Gardood, musicista e cantante sudanese uccisa venerdì scorso da un colpo di mortaio, è una delle sue più care amiche, Dalia al-Ruby, esponente di spicco dell’alta società del Sudan.
«Shaden era coraggiosa, e sprizzava vitalità con i suoi 37 anni.  Era diventata una delle cantanti più popolari del Paese. Era una cantautrice dei diritti umani in una realtà che fatica ad avviarsi verso la democrazia dopo 30 anni di dittatura» la ricorda Dalia, consulente del governo del premier Abdalla Hamdok, costretto alle dimissioni con un golpe militare il 25 ottobre del 2021.
Grazie a lei chi scrive aveva avuto modo di incontrare Shaden Gardood a una cena nella capitale sudanese nel novembre di due anni fa.
Era bella, Shaden, con un sorriso radioso che conquistava tutti coloro a cui lo rivolgeva con estrema naturalezza e un po’ di timidezza.
L’artista trentasettenne è tra le oltre 800 vittime del fuoco incrociato tra l’esercito sudanese e le Forze di supporto rapido paramilitari che da un mese si combattono senza esclusione di colpi.
Da settimane violenti scontri hanno attanagliato Omdurman,  città gemella di Khartoum situata dall’altra parte del Nilo, con lancio di granate e armamenti pesanti che si sono abbattuti sul quartiere di Hashmab e sull’abitazione, situata poco distante dall’edificio della televisione e della radio nazionale pubblica, in cui viveva la famiglia della Gardood.
Incolumi gli altri componenti del nucleo familiare della donna, anche se sotto shock.
A dare la notizia della sua morte la nipote Habab con un post su Facebook in cui aveva scritto che Shaden “era come una madre” e una persona che amava moltissimo.
Con la sua musica la Gardood promuoveva la pace e la sicurezza nella sua regione, nel Sudan occidentale, in particolare il sud del Kordofan per anni vessato da un conflitto civile.
L’artista portava in tutto il Paese la cultura della sua comunità, a lungo emarginata, i Baggara.
Attiva sui social fino a pochi giorni prima della sua morte, Shaden utilizzava il suo profilo su Facebook per condannare la guerra e incoraggiare tutti i civili intrappolati nei combattimenti come lei.
In uno dei suoi ultimi post aveva scritto: “Siamo rinchiusi nelle nostre case da 25 giorni… abbiamo fame e viviamo in una paura enorme, ma non perdiamo la nostra etica e i nostri valori”.
Omdurman, come tutto il Sudan, ha visto estendere i pesanti combattimenti dall’inizio della guerra, il 15 aprile, nonostante i continui “cessate il fuoco” annunciati dalle due parti che  non hanno però mostrato concretamente alcun segno di volontà di scendere a compromessi.
E la fuga della popolazione civile non si ferma.
Centinaia di persone sono arrivate negli ultimi giorni al confine con l’Egitto nella speranza di poter sfuggire al violento conflitto in atto nella nazione africana.
Quotidianamente decine di famiglie scappano da Khartoum, epicentro della guerra civile.
Chi ha raggiunto la frontiera egiziana ha dovuto viaggiare per oltre mille chilometri attraverso zone desertiche e in condizioni spesso drammatiche.
Nel frattempo, nella capitale sudanese continuano incessanti i bombardamenti dell’aviazione e risuonano i colpi delle artiglierie. Colpite anche alcune chiese cristiane con il frumento di decine di fedeli.
Gli scontri tra l’esercito guidato da Abdel Fattah al-Burhane e le milizie paramilitari delle Forze di sostegno rapido, agli ordini di Mohammed Hamdan Dagalo, proseguono anche dopo l’ennesima tregua invocata nei “colloqui di pace” in corso in Arabia Saudita.

Fonte Repubblica

Torna su