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Rwanda, Marie Claire e Alivera: la speranza e il coraggio oltre il genocidio

Come ogni anno in Rwanda ad aprile inizia la commemorazione delle vittime del genocidio dei Tutsi a opera degli Hutu. Per 100 giorni tutto il Paese è coinvolto in riti e manifestazioni per stringersi attorno ai superstiti che raccontano le loro storie.
Come quella di Alivera che oggi è seguita da uno psichiatra ed è sotto psicofarmaci, perché la notte gli incubi non le danno tregua, anche a distanza di tanti anni.
“Mio padre fu brutalmente assassinnato e il suo corpo gettato in un pozzo sotto gli occhi di mia madre e di noi figli. Mia madre, mia sorella e i miei quattro fratelli furono trucidati all’ interno di una chiesa e poi gettati in una fossa comune.
Mi salvai per puro caso e di notte, sola e terrorizzata, nascosta da tutto, pregavo di sopravvivere per poter un giorno narrare cosa fu. Per non dimenticarlo mai”.
E continua, parlando piano con occhi neri che brillano anche all’ ombra:
“Raccontarsi è un modo per esorcizzare il dolore, commemorare i propri cari, scolpire nei cuori di tutti che l’ odio è qualcosa d’ irrazionale e improduttivo. Che l’ odio va combattutto sempre e occorre insegnare ai giovani per difendere l’ umanità”.

Alivera è solo una delle tante donne assistite da  UM onlus (Umubyeyi Mwiza), l’associazione di Marie Claire Safari, infermiera rwandese naturalizzata italiana che si occupa delle sopravvisute al genocidio fornendo loro assistenza psicologica, laboratori artigianali e aiuto.
UM è l’acronimo delle parole rwandesi “mamma buona”.

http://www.umonlus.org/

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