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Ruanda, la storia segreta dell’Olocausto Africano. Introduzione

Focus On Africa inaugura una serie di articoli di retrospettiva storica e politica per far luce sull’ultimo genocidio del Ventesimo Secolo avvenuto nel 1994 in Ruanda dove in soli 100 giorni furono uccisi a colpi di machete e mazze chiodate 1 milione di persone, prevalentemente di etnia Tutsi.

Come sta succedendo sotto i nostri occhi nella provincia nord dell’Etiopia: il Tigray, all’epoca la Comunità Internazionale fu restia a riconoscere il genocidio in corso in Ruanda per esentarsi dall’obbligo morale e giuridico di intervenire militarmente per proteggere la popolazione innocente.

Il primo leader mondiale ad aver il coraggio di dichiarare che in Ruanda si stava consumando un genocidio fu il Santo Padre Giovanni Paolo II, beatificato alla Santità la Domenica della Divina Misericordia dell’Anno Domini 2011. Una contraddizione storica considerando il ruolo attivo di gran parte del clero cattolico nel genocidio.

Il solo intervento militare, avvenuto quando la maggior parte delle vittime era stata già trucidata, fu quello francese con l’Operazione Turchese sotto mandato ONU. Un’operazione che aveva l’obiettivo ufficiale di proteggere la popolazione ruandese e l’obiettivo reale di salvare il regime HutuPower che aveva scatenato il genocidio e che stava per essere sconfitto dall’esercito di liberazione del Fronte Patriottico Ruandese formato dalla diaspora tutsi in Uganda e guidato dall’attuale presidente ruandese Paul Kagame.

Quando la denuncia del Santo Padre rese impossibile per i potenti della terra e i media di ignorare cosa stesse succedendo in Ruanda, il genocidio venne presentato all’ignara opinione pubblica occidentale come una inspiegabile e imprevedibile follia collettiva, sottolineando l’incapacità delle popolazioni africane di uscire dal loro stadio primitivo caratterizzato da brutalità, dittature, e violenza etnica. Una lettura dell’Olocausto Africano impregnata di una visione coloniale e razzista di comodo tesa a nascondere le responsabilità delle potenze occidentali.

Il genocidio del 1994 in Ruanda non fu né improvviso né frutto di follia omicida collettiva. Fu l’epilogo di una politica di dominio razziale che prendeva spunto da un misto di pseudo rivendicazioni sociali e teorie naziste di supremazia della razza (il Manifesto Bahutu) ideate nel lontano 1957 da fanatici missionari belgi affiancati da sacerdoti e politici locali che intravvidero subito le potenzialità di questa dottrina per offuscare la mente delle masse e prendere il potere.

Il virus nazista sconfitto dall’Unione Sovietica 12 anni prima, riaffiorava nelle lontane città di Bukavu e Goma, nello “Stato Libero del Congo”, la proprietà privata (grande come l’Europa occidentale) fondata nel 1885 da Re Leopoldo I e passato sotto la giurisdizione del Belgio nel 1908. Da Bukavu e Goma il virus nazista in salsa africana si diffuse nella Regione dei Grandi Laghi e si concretizzò in Ruanda.

Il luogo di origine della ideologia HutuPower era storicamente e politicamente appropriato. Nel grande paese dell’Africa Centrale si era consumato il primo genocidio della storia moderna dell’Africa tra il 1885 e il 1902. Dieci milioni di morti provocati dalla famiglia reale belga per imporre il controllo su piantagioni di caucciù e miniere di rame che trasformarono un piccolo, marginale e poverissimo paese europeo in una potenza coloniale a livello mondiale.

Il genocidio in Ruanda del 1994 fu l’epilogo obbligato di un brutale dominio etnico iniziato con il massacro del 1959 in nome della “rivoluzione hutu” (la prima della lunga serie di pulizie etniche contro la minoranza tutsi), l’abolizione della monarchia nel 1961 seguita dal colpo di stato dell’estremista hutu Grégoire Kayibanda e dall’ascesa al potere di Juevenal Habyarimana nel 1973 quando impose il dominio etnico hutu con lo slogan “HutuPower” (Potere agli Hutu). Slogan coniato dai missionari belgi nel 1957 nel vicino Congo e ripreso con cieco furore e odio razziale da missionari italiani che operavano nella regione.

Il genocidio del 1994 non fu solo un orribile evento storico che chiuse un secolo caratterizzato da due guerre mondiali, da due genocidi: quello Armeno nel 1915 e quello Ebraico tra il 1939 e il 1945 e da una miriade di guerre per procura causate dalla contrapposizione tra capitalismo e comunismo che solo per miracolo non provocò la distruzione dell’umanità tramite Olocausto Nucleare.

Fu soprattutto il frutto di una ideologia di stampo nazista promossa da “uomini di fede” europei e immediatamente appoggiata da potenze occidentali che un decennio prima del nascere del HutuPower avevano combattuto in Europa Hitler.

Un genocidio che dal 1994 ha sconvolto la pace in almeno 4 Paesi africani della Regione dei Grandi Laghi, originato due guerre Panafricane in Congo, una guerra civile in Burundi e una serie infinite di violenze etniche. Un genocidio che continua ad avere nefaste e mortali conseguenze ai giorni nostri nel paese gemello del Ruanda: il Burundi, dove quotidianamente decine di migliaia di innocenti vengono ammazzati (sempre utilizzando machete e mazze chiodate) dalle milizie del CNDD-FDD (Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia – Forze di Difesa della Democrazia) che trae la sua giustificazione ideologica proprio dal Manifesto Bahutu del 1957.

Un genocidio che non risparmia noi occidentali. In ultima analisi l’ideologia HutuPower e il genocidio del 1994 sono la base della motivazione politica del barbaro assassinio dell’Ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista del PAM: Mustapha Milambo.

Raccontare cosa è nella sua orrenda concretezza l’ideologia HutuPower, le dinamiche del genocidio ruandese, le responsabilità occidentali e le sue conseguenze fino ai giorni d’oggi, non è un mero esercizio storico intellettuale.

È un impegno democratico e sociale per contrastare il virus nazista africano che è tutt’ora vivo tramite l’organizzazione terroristica Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda – FDLR, giunte alla ribalta dei media italiani proprio con l’esecuzione extra giudiziaria di Attanasio, Iacovacci e Milambo. Un gruppo terroristico che alcuni ambienti eversivi tra il Congo e l’Italia tentano di riabilitare facendolo passare per un movimento “democratico” di “resistenza” tramite un sottile revisionismo storico e moderne fake news.

Un dovere democratico basato sulla convinzione che solo la conoscenza del passato e del presente può contribuire ad evitare un secondo genocidio nella Regione dei Grandi Laghi e contrastare chi, a distanza di 64 anni dal fatidico Manifesto Bahutu del 1957, sogna ancora la supremazia razziale contrapponendola alla pace tra i popoli.

VERSIONE FRANCESE

Rwanda. L’histoire secrète de l’Holocauste Africain.

Introduction

Fulvio Beltrami.

Focus On Africa inaugure une série d’articles rétrospectifs historiques et politiques pour faire la lumière sur le dernier génocide du XXe siècle qui a eu lieu en 1994 au Rwanda où en seulement 100 jours 1 million de personnes, principalement appartenant au groupe ethnique tutsie, ont été tués à coups de machettes et de gourdins à pointes.

Comme cela se passe sous nos yeux dans la province nord de l’Éthiopie : le Tigré, à l’époque la communauté internationale hésitait à reconnaître le génocide en cours au Rwanda pour se soustraire à l’obligation morale et légale d’intervenir militairement pour protéger la population innocente.

Le premier dirigeant mondial à avoir eu le courage de déclarer qu’un génocide avait lieu au Rwanda fut le Saint-Père Jean-Paul II, béatifié à la Sainteté le dimanche de la Miséricorde Divine de l’année de notre Seigneur 2011. Une contradiction historique,compte tenu du rôle actif d’une grande partie de le clergé catholique dans le génocide.

La seule intervention militaire, qui eut lieu alors que la plupart des victimes avaient déjà été massacrées, fut celle française avec l’Opération Turquoise sous mandat de l’ONU. Une opération qui avait pour objectif officiel de protéger la population rwandaise et pour objectif réel de sauver le régime HutuPower qui avait déclenché le génocide et qui était sur le point d’être vaincu par l’armée de libération du Front Patriotique Rwandais formée par la diaspora tutsie en Ouganda et dirigée par l’actuel Président rwandais Paul Kagame.

Lorsque la dénonciation du Saint-Père a rendu impossible aux puissants de la terre et aux médias d’ignorer ce qui se passait au Rwanda, le génocide a été présenté au public occidental comme une folie collective inexplicable et imprévisible, soulignant l’incapacité des populations africaines à sortir de leur stade primitif caractérisé par la brutalité, les dictatures et la violence ethnique. Une lecture de l’Holocauste Africain empreinte d’une vision coloniale et raciste visant à occulter les responsabilités des puissances occidentales.

Le génocide de 1994 au Rwanda n’a été ni soudain ni le résultat d’une folie meurtrière collective. C’était l’épilogue d’une politique de domination raciale inspirée d’un mélange de pseudo revendications sociales et de théories nazies de la suprématie raciale (le Manifeste Bahutu) conçu en 1957 par des missionnaires belges fanatiques flanqués de prêtres et d’hommes politiques locaux qui ont immédiatement entrevu le potentiel de cette doctrine pour troubler l’esprit des masses et prendre le pouvoir.

Le virus nazi vaincu par l’Union Soviétique 12 ans plus tôt, refait surface dans les lointaines villes de Bukavu et Goma, dans « l’Etat libre du Congo », la propriété privée (aussi grande que l’Europe occidentale) fondée en 1885 par le roi Léopold Ier et passée sous la juridiction de la Belgique en 1908. De Bukavu et Goma le virus nazi à la sauce africaine s’est propagé à la région des Grands Lacs et a pris forme au Rwanda.

Le lieu d’origine de l’idéologie HutuPower était historiquement et politiquement approprié. Le premier génocide de l’histoire moderne de l’Afrique avait eu lieu dans le grand pays d’Afrique centrale entre 1885 et 1902. Dix millions de morts provoqués par la famille royale belge pour imposer le contrôle des plantations de caoutchouc et des mines de cuivre qui transformèrent une petite, marginale et très pauvre pays européen en une puissance coloniale de classe mondiale.

Le génocide de 1994 au Rwanda a été l’épilogue forcé d’une domination ethnique brutale qui a commencé avec le massacre de 1959 au nom de la « révolution hutu » (le premier d’une longue série de nettoyages ethniques contre la minorité tutsie), l’abolition de la monarchie en 1961 suivi du coup d’État de l’extrémiste hutu Grégoire Kayibanda et de la montée au pouvoir de Juevenal Habyarimana en 1973 lorsqu’il imposa la domination ethnique hutue avec le slogan « HutuPower » (Pouvoir aux Hutus). Slogan inventé par des missionnaires belges en 1957 au Congo voisin et repris avec une fureur aveugle et une haine raciale par les missionnaires italiens qui travaillaient dans la région.

Le génocide de 1994 n’était pas seulement un événement historique horrible qui a clôturé un siècle caractérisé par deux guerres mondiales, par deux génocides : celui arménien en 1915 et celui juif entre 1939 et 1945 et une myriade de guerres par procuration causées par le conflit entre le capitalisme et communisme qui, par miracle, n’a pas causé la destruction de l’humanité par l’Holocauste nucléaire.

C’était avant tout le fruit d’une idéologie nazie promue par des « hommes de foi » européens et immédiatement soutenue par les puissances occidentales qui avaient combattu Hitler en Europe une décennie avant la naissance du HutuPower.

Un génocide qui depuis 1994 a bouleversé la paix dans au moins 4 pays africains de la région des Grands Lacs, a provoqué deux guerres panafricaines au Congo, une guerre civile au Burundi et une série interminable de violences ethniques. Un génocide qui continue d’avoir des conséquences désastreuses et mortelles auxnos jours dans le pays jumeau du Rwanda : le Burundi, où des dizaines de milliers d’innocents sont tués chaque jour (toujours à l’aide de machettes et de gourdins à pointes) par les milices du CNDD-FDD (Conseil National pour la Défense de la Démocratie – Forces de Défense de la Démocratie) dont elle tire sa justification idéologique précisément du Manifeste Bahutu du1957.

Un génocide qui ne nous épargne pas les Occidentaux. En définitive, l’idéologie HutuPower et le génocide de 1994 sont à la base de la motivation politique de l’assassinat barbare de l’Ambassadeur italien Luca Attanasio, du policier Vittorio Iacovacci et du chauffeur du PAM : Monsieur Mustapha Milambo.

Raconter ce qu’est l’idéologie HutuPower dans son horrible concrétude, la dynamique du génocide rwandais, les responsabilités occidentales et ses conséquences jusqu’à nos jours, n’est pas un simple exercice intellectuel historique.

Il s’agit d’un engagement démocratique et social pour lutter contre le virus nazi africain toujours vivant à travers l’organisation terroriste Forces Démocratiques de Libération du Rwanda – FDLR, qui s’est fait connaître dans les médias européens précisément avec l’exécution extrajudiciaire d’Attanasio, Iacovacci et Milambo. Un groupe terroriste que certains cercles subversifs entre le Congo et l’Europe tentent de réhabiliter en le faisant passer pour un mouvement “démocratique” de “résistance” par le biais du révisionnisme historique subtil et des fake news modernes.

Un devoir démocratique fondé sur la conviction que seule la connaissance du passé et du présent peut permettre d’éviter un second génocide dans la région des Grands Lacs et combattre ceux qui, 64 ans après le fatidique Manifeste Bahutu de 1957, rêvent encore de la suprématie raciale en l’opposant à paix entre les peuples.

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