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Storie

Ruanda, la storia segreta dell’Olocausto Africano: divisione etnica Hutu Tutsi. Mito o realtà?

Il Manifesto Bahutu (Note sull’aspetto sociale del problema razziale indigeno nel Ruanda – testo originario) ideato e diffuso da missionari belgi e vescovi congolesi nel 1957 si basa sulla individuazione di due etnie ben distinte. I tutsi (Ibimanuka – Discesi dal cielo) una popolazione nilotica proveniente dall’Egitto o dall’Etiopia che colonizzò il Ruanda “schiavizzando” la…

Il Manifesto Bahutu (Note sull’aspetto sociale del problema razziale indigeno nel Ruanda – testo originario) ideato e diffuso da missionari belgi e vescovi congolesi nel 1957 si basa sulla individuazione di due etnie ben distinte. I tutsi (Ibimanuka – Discesi dal cielo) una popolazione nilotica proveniente dall’Egitto o dall’Etiopia che colonizzò il Ruanda “schiavizzando” la popolazione originaria del paese. gli Hutu (quelli trovati sul luogo).
Partendo da questa teoria (estremamente semplificata), il manifesto rivendica un processo democratico del paese capace di metter fine alla dominazione aristocratica dei tutsi e al servilismo feudale di cui gli hutu erano costretti. In questo capitolo andremo ad analizzare se veramente tutsi e hutu sono due etnie distinte e i loro rapporti sociali ed economici.
Per diversi secoli il Ruanda ha incontrato la definizione di Stato – Nazione, popolato da tre grandi gruppi umani: i Twa, gli Hutu ei Tutsi. I tre gruppi umani, Twa, Tutsi e Hutu, sono successivamente fusi in un’unica etnia: l’etnia Banyarwanda.
Ci sono generalmente tre periodi nella storia del Ruanda: 1. il periodo precoloniale che va dal V secolo D.C. al 1899; 2. il periodo coloniale: dal 1899 al 1962; 3. il periodo post-indipendenza (o postcoloniale): dal 1 luglio 1962 ai giorni nostri. Per comprendere l’inganno storico, intellettuale ed etnologico degli autori del “Manifesto Bahutu” occorre analizzare il periodo dei “Mwami” (i Re) prima del colonialismo.
L’ultimo studio accurato sulla questione etnica e le sue origini fu quello commissionato dal Governo Ruandese nel 1999 agli storici Michel Kayihura, Valens Kajeguhakwa e Denis Gahigi che a loro volta trassero informazioni dalle osservazioni fatte da parte di etnologhi europei fin dal primo periodo dell’era coloniale.
“La verità della storia è che prima del periodo coloniale, cioè prima che i missionari cattolici arrivassero nel nostro paese nel 1900, esisteva una forte unità e nessuna guerra etnica.” Affermano i tre storici. Il loro studio permette al lettore e ai ricercatori di avere una visione chiara e distaccata del concetto di Banyarwanda e la sua evoluzione parallela a quella delle dinastie di Mwami.
Le tre etnie sono distinte. I tutsi originali dell’Egitto o dal Tigray in Etiopia. Gli Hutu dall’Africa meridionale e i Batwa (pigmei) autoctoni. La prima migrazione fu Hutu. Come successe in Europa nella coesistenza tra Homo di Neanderthal e Homo Sapiens giunto dall’Africa, il gruppo meno tecnologizzato e evolute soccombe.
In Ruanda a soccombere furono di pigmei, incapaci di sostenere l’orda migratoria di popoli più evoluti anche militarmente. L’attuale percentuale demografica così esigua (1%) è dovuta ad un genocidio subito da Batwa durante la migrazione Hutu. Stessa sorte è toccata per i pigmei del Congo, Centrafrica, Uganda, Kenya che non hanno retto la migrazione Bantu proveniente dalla Nigeria, Camerun e Gabon che si estese fino all’Africa meridionale.
Qui non si tratta di porre giudizio agli avvenimenti storici ma di comprenderne il contesto. Parliamo almeno di 18.000 anni fa. L’umanità era ai suoi arbori e le società non avevano ancora sviluppato codici morali o religiosi da utilizzare come freno giuridico sociale. All’epoca era del tutto normale sterminare un’intera popolazione per acquisire le loro terre. Vigeva la legge del più forte. I codici morali o religiosi erano ristretti nei confini del nucleo familiare prima di estendersi alla tribù o gruppo etnico. Di certo non valevano per gli stranieri. È questa assenza di codici che rende superflua e priva di valore ogni considerazione morale fatta nel 2021.
Con la seconda migrazione: Tutsi avvenuta nel V secolo D.C., si assiste ad una fusione delle due etnie in quanto ereditarie di due società già evolute che, oltre ad aver sviluppato codici morali e religiosi inclusivi, erano perfettamente in grado di distinguere quando era conveniente risolvere le proprie problematiche con la guerra e quanto con la collaborazione e trattati di amicizia.
Hutu e Tutsi fecero scattare un meccanismo di fusione che trasformò le due etnie in un solo popolo avente una sola identità culturale: i Banyarwanda. Termine ancora usato oggi all’est del Congo per indicare popolazioni hutu o tutsi provenienti dal Ruanda. L’unità delle due etnie è stata ottenuta tramite la figura del Mwami, (Re) dinnanzi al quale hutu e tutsi si riconoscevano come “Il Popolo del Re”. Questo permise la creazione di uno Stato ben delineato dove tutti sapevano di appartenere ad un Re e di essere Ruandesi.
Questo processo di unità era stato ottenuto tramite un periodo di convivenza separata dove venivano favoriti gli scambi commerciali, le alleanze e i matrimoni misti per evitare la guerra. I tutsi (pastori nomadi) avevano tutto l’interesse a cercare di conquistare il loro diritto di risiedere in quelle terre non tramite la forza ma tramite una strategia a lungo termine di “infiltrazione e assimilazione” della etnia più numerosa: gli hutu, tradizionalmente contadini.

La nascita dei clan misti e del dogma Ubuse. Le fondamenta del Ruanda come nazione.

È la creazione di clan misti che apre le porte al concetto di unità nazionale e di sudditanza ad un comune Re. L’appartenenza al gruppo familiare allargato: clan viene ottenuta dalle due etnie tramite una fusione delle lingue, credi religiosi, morali e comportamenti sociali ben prima che il concetto di Nazione si radicasse nella società ruandese. A questo processo vengono associati anche i Batwa sopravvissuti allo shock migratorio Hutu.
I vari clan misti iniziano a regolamentare i rapporti tra di loro in una seria di codici morali, economici e di tabù, tesi a limitare ogni possibilità di scontro e guerra non solo tra le due etnie ancora distinte ma tra i vari clan siano essi misti o mono-etnici. 11 sono i primi clan misti che struttureranno il Ruanda come Nazione: Abasinga, Abacyaba, Abungura, Abashambo, Abatsobe, Abakono, Abaha, Abashingo, Abanyakarama, Abasita e gli Abongera n’Abenengwe. Altri seguirono: Umusinga, Umuzigaba, Umusindi, Umwega, Umubanda, ecc.
Anche quando si formò la Nazione Ruanda era praticamente impossibile che i cittadini (allora sudditi) si potessero identificare come tutsi, hutu o batwa. L’identificazione era prima clanica poi nazionale. “Sono del clan Abashambo. Sono Ruandese”. Per evitare pericolose guerre inter claniche si era consolidato un uso generalizzato della solidarietà inculcando a tutti i ruandesi il dovere aiutare i membri del clan e i membri degli altri clan. Un ottimo metodo per rafforzare il senso unitario che proteggeva da nemici esterni e permetteva di ricevere in cambio benefici anche personali.
Come altre società africane il concetto era l’opposto di quello occidentale. Al posto di imporre la legge del più forte si cercava la coesistenza almeno nel proprio territorio e con le tribù vicine. “Non avrai mai la certezza che il nemico debole che oggi hai sconfitto non diventi in futuro forte e causa delle tue sofferenze” cita un antico proverbio bantu.
Il concetto di genocidio in Africa è un frutto della contaminazione occidentale. Il primo genocidio fu attuato dai tedeschi in Namibia fra il 1904 e il 1907. Fa parte del passaggio brusco che il continente ha percorso dal colonialismo ai tempi moderni dopo che l’occidente gli aveva cancellato la sua memoria storica. Privati della loro cultura le popolazioni africane hanno adottato sistemi (capitalismo o comunismo) senza realmente comprenderli.
Rafforzandosi il mito del “Uomo Forte” il vecchio proverbio bantu non spinse più alla ricerca della pace per paura di future ripercussioni del nemico attualmente “debole”. Proprio perché non c’è certezza che nel futuro il nemico da debole rimanga tale, che va sterminato per non correre rischi. Questo è il pensiero degli “Uomini Forti” del periodo post indipendenza.
Non è un caso che in Ruanda dal 1964 i matrimoni misti non vengono più visti come una garanzia di pace ma come una fonte di tradimento e indebolimento della etnia. All’epoca si mettevano in guardia i giovani hutu. “Non ti fare ammaliare dalla sua bellezza. La donna tutsi sarà la spia all’interno del tuo focolare, educherà i tuoi bambini a pensare come i tutsi e ti indebolirà fin quando non sarai un pupazzo nelle sue mani”.
Nel processo di creazione dell’unità nazionale i vari clan formularono veri e propri dogmi da rispettare senza discutere. Il “Ubuse” era il rapporto di amicizia, considerato sacro e inviolabile, tra le persone che impediva di mancare di rispetto ad un povero (Gutsirora), infrangere la tregua sociale (Kuzirura) o diventare ricco rovinando altri (Kweza).
Per ovvie ragioni pratiche nacque una lingua comune: il Kinyarwanda. Gli studiosi, non avendo tracce della lingua originaria tutsi, non sono ancora in grado di stabilire se la lingua sia il frutto di una fusione delle lingue delle due etnie o l’imposizione di una lingua predominante, magari dell’etnia più numerosa: gli hutu.

Il Dio Imana e il suo fedele servitore: il Ryangombe.

Il clan passarono allo stadio superiore creando la fede in un solo Dio prima di creare la figura del Re: la divinità Imana, la divinità creatrice di hutu, tutsi e batwa. Imana era raffigurata come una divinità onnipotente e gentile che governava tutti gli esseri viventi a cui aveva insegnato loro come cacciare e sconfiggere un animale chiamato Morte, dono perso dall’umanità (ahimè) a causa di una donna come nell’Antico Testamento.

Imana, consigliato dagli antenati e dagli spiriti, offre all’uomo l’iniziazione ai misteri del Ryangombe il suo stregone porta voce al fine di difendere l’uomo dall’animale predatore Morte. La figura sacerdotale del Ryangombe diventa una carica tramandata da padre a figlio. Tra i compiti principali del Ryangombe vi era quello di lottare contro l’egoismo e di promuovere l’unità e la fratellanza. Vi era anche quello di insegnare agli uomini come difendersi dalla Morte, avvertendoli però che anche se avessero seguito alla lettera tutti gli insegnamenti avrebbero solo ritardato il momento della loro sconfitta. Successivamente il Ryangombe convinse i vari clan a dotarsi di un’unica guida: il Mwami (Re) come la usa unica guida era Imana.

Il Mwami. Autorità indiscussa.

Con la creazione del Mwami l’integrazione etnica raggiunge il suo obiettivo finale: la creazione di un Regno, cioè di una Nazione. Il primo Mwami fu Gihanga I (il Fondatore). Secondo le leggende orali la sua nomina avvenne nel XI secolo D.C. Fu scelto dai vari clan in quanto frutto di un matrimonio misto. Il suo trisnonno paterno era un tutsi creato dal Imana per generare la stirpe reale ruandese e da una trisnonna hutu. La composizione etnica dei genitori sarà fondamentale per quella dei Mwami che susseguirono a Gihanga I, come vedremo tra poco.

Gihanga I, diventa il simbolo della vittoria sulla morte che genera la guerra tramite l’unione delle etnie, secondo solo ad Imana. Il Ryangombe (stregone) viene nominato suo consigliere in quanto il solo a poter contattare direttamente la divinità.

Visto che in entrambe le tre etnie l’appartenenza etnica / clanica dei figli era determinata da quella del padre, da Gihanga I in poi tutti i Mwami furono tutsi. Al momento di essere incoronato ogni Mwami, perdeva la sua identità etnica di tutsi per diventare Sebantu: il padre di tutti i ruandesi.

Era proibito eccellere fisicamente in bellezza, statura e forza al Mwami. Chi aveva queste caratteristiche doveva compiere atti auto lesionanti in grado di deturpare le caratteristiche fisiche superiori a quelle del Mwami. Essendo il padre di tutti i ruandesi chiunque poteva incontrare il Re quando voleva o necessitava.

Mwami Gihanga I punì severamente ogni controversia tra hutu, tutsi, e batwa. Il Mwami voleva che i suoi figli fossero uniti in quanto stava promuovendo un programma di espansione territoriale in Burundi e nell’Est del Congo. Il sangue andava versato per rendere forte il Ruanda non tra fratelli.

L’appartenenza etnica dei Mwami, tutti rigorosamente tutsi ma con l’obbligo di diventare Padri della Nazione, fu resa irreversibile dal figlio di Gihanga I: Gahima I che divenne Kanyarwanda I Gahima I, associando il suo nome a quello del Ruanda. Il diritto etnico ereditario dei Mwami fu ottenuto proprio da Kanyarwanda I tramite l’unificazione di tre potenti clan hutu tutsi e batwa.

Kanyarwanda I Gahima I introdusse tre elementi fondamentali della cultura ruandese: il fuoco sacro, il bestiame sacro e il tamburo reale. Mwami Kabyarwanda I accese il fuoco sacro di Gihanga ordinandolo di tenerlo costantemente acceso presso la corte reale. Introdusse nella corte la mandria di mucche di suo padre trasformandola nella mandria sacra di Gihanga. Infine ordinò la fabbricazione di un tamburo seguendo i dettami tecnici dettati dal Imana e rivelati in sogno al Ryangombe (stregone). Il tamburo fabbricato divenne il Kalinga: il tamburo dinastico. Il fuoco e la mandria erano custoditi dal clan Zigaba mentre il clan Singa aveva il compito di custodire il tamburo Kalinga e di trasmettere le usanze reali e regole morali al Mwami successore.

Kanyarwanda I fu anche l’artefice del rafforzamento delle istituzioni create da suo padre: governo, giustizia, esercito. Entrambe prevedevano l’accesso alle tre etnie secondo una doppia linea di meritocrazia e clientelare. Secondo alcuni storici questo doppio binario di valutazione permise ai Mwami di piazzare ai vertici dei tutsi. Teoria contestata da altri loro colleghi in quanto le istituzioni non avevano un carattere monoetnico. Tutte le etnie vi accedevano anche se vi era una leggera maggioranza di tutsi. Le istituzioni create da Kanyarwanda I consolidarono il senso di appartenenza nazionale e il patriottismo facendo diventare la società ruandese tra le più avanzate esistenti all’epoca in Africa.

Ubuhake e Uburetwa, ovvero l’inizio dell’epoca feudale.

Mwami Yuhi II Gahima II nel XV secolo D.C. introdusse i concetti di “Ubuhake” e “Uburetwa” facendo regredire la società, avviandola a rapporti feudali che durarono fino al 1958. Il Ubuhake è basato sulla distribuzione del bestiame, mentre il Uburetwa sulla distribuzione delle terre. Queste due riforme economiche favorirono i tutsi, incrinando l’unità costruita dai primi 17 Re: da Mwami Gihanga I a Mwami Mibambwe I Sekarongoro I Mutabazi.

I clan hutu si divisero. Mentre quelli al sud accettarono le riforme in cambio di parteciparvi in posizioni di privilegio, i clan hutu del nord si rifiutarono dichiarando il tradimento tutsi al concetto di unità nazionale. Questa divisione inter clanica durò fino al 1994 con il clan hutu del nord offuscato da ideologie genocidarie e il clan hutu del sud fedele al principio unitario e promotore di una società mista.

Le prime vittime del genocidio scoppiato il 6 aprile 1994 furono tutti i ministri del governo appartenenti al clan hutu del sud compresa il Primo Ministro Agathe Uwilingiyimana. Il dittatore e promotore del Manifesto Bahutu: Juvenal Habyarimana, sua moglie Agathe Kanziga Habyarimana, il Maggior Generale Augustin Ndindiliyimana e il Colonello Théoneste Bagosora erano tutti hutu del nord.

Agathe, Ndindiliyimana e Bagosora divennero le menti e gli esecutori dell’Olocausto Africano dopo aver assassinato il Presidente accusato di tradire il popolo hutu proprio come fecero i clan del sud all’epoca dell’introduzione delle riforme Ubuhake e Uburetwa.

Inizialmente, il contratto ubuhake stabiliva che gli hutu avevano il diritto di utilizzare il bestiame tutsi in cambio di un servizio, personale o militare. Allo stesso modo, la terra che era passata sotto il controllo dei tutsi poteva essere utilizzata in modo simile nel sistema uburetwa.
Nonostante questi permessi, gradualmente si è evoluto un sistema di classe in cui terra, bestiame e potere erano consolidati nel gruppo tutsi e gli hutu divennero vassalli a contratto dei signori tutsi, che concessero loro protezione, bestiame e l’uso della terra in cambio di servizi e prodotti agricoli.
Il successore di Yuhi II Gahima II: il Mwami Ndahiro V Cyamatare proibì i matrimoni misti al fine di preservare bestiame e terre nelle mani dei tutsi. Il Mwami da Re del Popolo Ruandese divenne Re dei Tutsi. Questo radicale cambiamento dell’assetto politico, economico e sociale del Ruanda fu imposto con la forza ma mai accettato completamente da tutti i tutsi e dagli hutu del sud, mentre gli hutu del nord iniziarono una serie di rivolte armate soppresse nel sangue.
I sistemi ubuhake e uburetwa furono condonati dai colonialisti tedeschi del Ruanda e del Burundi che però applicarono il principio di non interferenza Nel Urundi (Ruanda-Burundi territorio unico coloniale). Quando il Urundi passò sotto il Belgio a causa della sconfitta subita dalla Germania nella Prima Guerra Mondiale, i colonialisti belgi accettarono e incoraggiarono i sistemi ubuhake e uburetwa.
Questi sistemi feudali permettevano al Belgio di avere subito a disposizione una classe dirigente (tutsi) che possedeva anche il controllo dell’esercito. L’aristocrazia feudale fu trasformata nell’amministrazione coloniale garantendo il sistema di sfruttamento agrario e i privilegi / interessi degli aristocratici. Il Belgio soffocò ogni pressione popolare (sia essa proveniente da tutsi o da hutu) tesa a ripristinare gli equilibri di potere esistenti prima del Mwami Yuhi II Gahima II.
Il Belgio si mosse per eliminare gradualmente i sistemi ubuhake e uburetwa in Ruanda sono nel 1958, dopo aver convinto i Mwami a rinunciare al sistema nel 1954 in quanto avevano già deciso di appoggiarsi all’etnia hutu nel periodo postcoloniale con l’obiettivo di continuare la loro influenza tramite un governo “amico”. Come favorirono il sistema feudale e l’aristocrazia tutsi in passato dal 1952 favorirono i movimenti estremisti HutuPower, in particolare il partito Parmehutu di Grégoire Kayibanda che ottenne la vittoria nelle elezioni ruandesi del 1961.

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Guido Gargiulo

Appassionato di Taiwan, Asia e Africa. Laureato in Lingue e Culture dell’Europa e delle Americhe presso l’Università L’Orientale di Napoli, ho approfondito lo studio del cinese al Taiwan Mandarin Educational Center e all’Istituto Confucio. L’Africa ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore, con studi anche del Kiswahili, una delle lingue più parlate nel continente.

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