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RDCongo, la guerra per (e contro) il bestiame

La situazione nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo è drammatica da decenni a causa di conflitti e instabilità, con vari gruppi armati, milizie e forze governative in lizza per il controllo del territorio e delle risorse. Questa regione è teatro di violenze diffuse, sfollamenti di civili e violazioni dei diritti umani, che la rendono una delle aree più instabili e pericolose dell’Africa.

Diversi fattori contribuiscono al conflitto, tra cui la competizione per il controllo su preziose risorse naturali come i minerali (soprattutto oro, coltan, stagno e tungsteno), controversie sulla terra, tensioni etniche, governance debole e l’eredità di conflitti passati. Spesso i gruppi armati sfruttano la popolazione locale, si dedicano ad attività minerarie illegali e perpetrano atrocità per mantenere il potere e il controllo. I civili sopportano il peso di questa violenza, affrontando sfollamenti, violenza sessuale, reclutamento forzato e altre forme di abuso: le Nazioni Unite calcolano che, attualmente, gli sfollati interni siano 7 milioni.

Parallelamente, da molti anni si compiono sforzi per portare stabilità e pace nella regione, compreso il dispiegamento di missioni di mantenimento della pace e iniziative diplomatiche delle Nazioni Unite (MONUSCO). Tuttavia, la situazione rimane complessa e il raggiungimento di una pace e di una sicurezza durature continua a rappresentare una sfida significativa. In particolare, le organizzazioni umanitarie svolgono un ruolo cruciale nel fornire assistenza alla popolazione colpita, compresi cibo, alloggio, assistenza sanitaria e supporto psicosociale. Tuttavia, l’accesso a questi servizi è spesso ostacolato dalla continua insicurezza e dalle sfide logistiche.

Le guerre nelle province orientali congolesi hanno toccato abissi di violenza e riproducono se stesse attraverso strategie spietate, come ad esempio quelle che prendono di mira i medici: meno dottori e infermieri ci sono, infatti, più le popolazioni sono esposte e vulnerabili, dunque indotte a lasciare i loro territori, cosicché le varie forze militari in campo espandano con maggior agilità il loro controllo.

RDCongo: i medici uccisi come strategia di guerra

Evidentemente, anche per questa ragione quelle regioni della RDCongo sono anche le più funestate da crisi sanitarie, come il colera e l’ebola. E non è un caso, pertanto, che sia proprio un dottore il congolese più noto a livello internazionale, ovvero Denis Mukwege, Premio Nobel per la Pace nel 2018 e Premio Sakharov nel 2014, il ginecologo soprannominato “l’uomo che ripara le donne” per il suo impegno contro le mutilazioni genitali femminili. Ma quella guerra ha ulteriori aspetti terrificanti, che a volte passano per delle semplici parole, come “cannibalismo”. Si tratta di un’accusa ricorrente che serve a mostrificare il nemico: l’antropofagia è un atto ripugnante, meschino e privo di qualunque logicità, per cui chi lo compie è simili a una bestia, privo delle elementari regole della convivenza sociale. Il punto è che spesso si tratta di accuse infondate, volte unicamente a screditare l’avversario e ad esacerbare l’atmosfera:

RDC: il cannibalismo della guerra

Non va dimenticato un terzo aspetto dell’orrore congolese, il più ignorato e sconosciuto: l’uccisione del bestiame del gruppo antagonista. Potrebbe apparire una questione secondaria, invece è una lucida strategia bellica, perché mutilare e uccidere una mandria di mucche significa distruggere l’unica fonte di reddito di una famiglia o di un villaggio, nonché una preziosa fonte di cibo. In effetti, tantissimi scontri nascono da razzie, spesso notturne, con cui una milizia ruba decine o centinaia di capi di bestiame ad un clan, al fine di rivenderlo o di chiederne il riscatto. E’ un’azione che praticano tutti, volta a impoverire e ad affamare, ma che attualmente colpisce soprattutto gli Hema dell’Ituri e i Banyamulenge del Nord Kivu e del Sud Kivu.

L’Ituri è una provincia situata nella parte nord-orientale della RDCongo, dove gli Hema sono storicamente coinvolti in tensioni e conflitti con altri gruppi etnici, in particolare i Lendu, per la terra, le risorse e il potere politico. In questi ultimi anni gli Hema stanno subendo violenza etnica, con assassini quotidiani, spesso delle dimensioni di massacri, nonché sfollamenti perpetrati da gruppi armati e milizie. Com’è intuibile, gran parte della popolazione Hema oggi ha grandi difficoltà nell’accedere a beni di prima necessità come cibo, alloggio, assistenza sanitaria e istruzione.

Il conflitto tra gli Hema e i Lendu è alimentato dalla competizione per la terra, in particolare per i terreni agricoli fertili e per le risorse come le miniere d’oro, per cui i casi di violazioni dei diritti umani sono innumerevoli: omicidi, violenza sessuale, arresti arbitrari e lavoro forzato, che poi si tramutano anche in una progressiva emarginazione e discriminazione in termini di accesso alla rappresentanza politica, opportunità economiche e servizi sociali.

Poco più a sud, nella provincia del Nord Kivu, i Banyamulenge sono un gruppo etnico tutsi – congolese, ma rwandofono – che subisce violenze da lungo tempo, in una questione drammaticamente radicata nella complessa storia della regione dei Grandi Laghi. In particolare, i Banyamulenge – che vivono anche nel Sud Kivu – subiscono varie forme di violenza, discriminazione ed emarginazione, non solo ad opera di altri gruppi (e dalle rispettive milizie), ma anche da parte del governo centrale di Kinshasa, infatti uno dei problemi più denunciati è il linguaggio di odio, perché considerati non “veri congolesi”, che attualmente si diffonde rapidamente attraverso le piattaforme di social media. Oggi, come un tempo, sono in gran parte allevatori di bestiame.

I Banyamulenge si stabilirono nell’area del Kivu dal XVI al XVIII secolo, provenendo da quelli che oggi sono Burundi, Rwanda, Tanzania e Uganda. La storia coloniale in quell’area classificò le comunità locali in “native” e “immigrate”, per cui gli agricoltori sono visti come autoctoni, mentre i pastori di bestiame sono percepiti come immigrati, stranieri e invasori. Sulla base di questi presupposti, i Banyamulenge furono considerati estranei per lungo tempo e negli anni ’80 venne loro negata la cittadinanza, addirittura con tentativi di espulsione da parte del governo centrale negli anni ’90.

Questa narrazione xenofoba, fondata su un’idea semplicemente sbagliata e storicamente falsa, ha indotto molta parte della popolazione congolese – in particolare gli altri gruppi dell’area, cioè Babembe, Bafuliro, Banyindu e Bavira – a ritenere i Banyamulenge come “invasori”, per cui chi ne contesta la legittima presenza afferma di “proteggere il proprio Paese dagli estranei”. Ciò ha portato a mobilitazioni armate e all’uso di milizie locali, come MaiMai e Biloze-Bishambuke (ma ne esistono decine di altre), a cui negli anni si sono aggiunti alcuni gruppi di provenienza realmente straniera, come i burundesi Red-Tabara e Forces Nationales de Liberation, anch’essi impegnati negli attacchi contro i Banyamulenge.

Gli Hema e i Banyamulenge vengono attaccati in tanti modi: con eccidi e distruzione di interi villaggi, ma anche attraverso varie forme di violenza contro il loro bestiame, che viene regolarmente saccheggiato, mutilato o ucciso. E’ una pratica costante sin dagli anni ’60, perché le mandrie di mucche sono importanti fonti di reddito e di sostentamento, dacché il furto e la depredazione funzionano come strategia per impoverire la comunità e metterne a repentaglio il futuro.

L’allevamento del bestiame è un aspetto importante dell’economia e della cultura in quelle province congolesi, ma l’ormai ultradecennale conflitto della regione ha indubbiamente influenzato il settore, che resta di sostentamento e non ha particolare rilevanza al di fuori dei confini locali. Spesso le aggressioni al bestiame hanno un surplus di crudeltà, perché gli animali vengono azzoppati e lasciati agonizzanti, come per infliggere ancora più sofferenza ai loro proprietari:

I casi sono continui e tantissimi sono i filmati diffusi sui social media, unico strumento con cui quelle popolazioni possono far sapere cosa avviene nel territorio. Colpire gli animali significa minare i mezzi di sussistenza degli allevatori di bestiame, dunque la loro economia e il sostentamento dell’intera comunità. Saccheggi, estorsioni ed espulsioni forzate interrompono le tradizionali pratiche pastorali e portare alla perdita di bestiame, quando questo non viene deliberatamente ammazzato.

Prendo qualche tweet a caso per dare un’idea:

27 agosto 2022: “Le mucche pagano lo stesso prezzo dei loro allevatori. A volte i miliziani entrano nelle fattorie, tagliano le zampe delle mucche e le abbandonano lì. E’ un’altra dura prova dei contadini #Tutsi/#Banyamulenge/#Hema

23 dicembre 2022: “Due pastori rapiti, più di 350 mucche razziate nel dominio di Bahema Banywagi. Reato attribuito alla Milizia CODECO che, a Mungwalu-Bunia, ha liberato tutte le persone rapite tranne Baby Désire (Hema)

21 febbraio 2023: “45 mucche saccheggiate e un civile (Byishimo) ucciso nel campo profughi #Banyamulenge di Mikenke dai Mai Mai Biloze Bishambuke e dai Red Tabara. Fonti locali confermano la complicità del colonnello John Mwandumba delle FARDC con sede a Mikenke“:

1 marzo 2023: “I MaiMai hanno rubato 14 mucche da Banyamulenge a Kahololo (Rurambo). Si sono diretti verso Majaga e Masango. Condanniamo questo atto criminale che semina discordia e sfiducia tra le popolazioni che cercano di riconciliarsi“.

6 aprile 2023: “Nella RDC: Distruggere l’economia di una comunità non solo per ucciderla con la carestia ma per far sparire la sua cultura. È questo odio anti-TUTSI nella RDC che può essere definito in questo massacro di mucche Banyamulenge a Lomami“:

24 giugno 2023: “Il valore delle mucche razziate ai Banyamulenge. Almeno 453.000 mucche dei #Banyamulenge sono state saccheggiate da gruppi Mayi-Mayi e gruppi armati stranieri, in particolare Red-Tabara. Se una mucca valesse 550 dollari, tutte le mucche rubate varrebbero 249.150.000 dollari“.

Si tratta di dati non verificabili da fonti indipendenti, tuttavia il fenomeno è ingente (le mucche sono “un tesoro di guerra“, come ha titolato “La Libre” nel 2021), al punto da essere studiato anche accademicamente. Ad esempio, nel 2017 le ricercatrici Judith Verweijen e Justine Brabant hanno pubblicato “Cows and guns. Cattle-related conflict and armed violence in Fizi and Itombwe, eastern DR Congo” (Mucche e pistole. Conflitti legati al bestiame e violenza armata a Fizi e Itombwe, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo), sulla rivista internazionale “The Journal of Modern African Studies” (pubblicato dalla Cambridge University Press), in cui spiegano che il bestiame ha un ruolo centrale nelle complesse dinamiche del conflitto nell’est congolese:

“Da un lato, il conflitto agropastorale intensifica la mobilitazione armata, consentendo ai gruppi ribelli di attingere a particolari narrazioni di conflitto che generano sostegno popolare ed elitario. Crea inoltre incentivi affinché attori armati si impegnino nel saccheggio del bestiame, o nella difesa contro di esso, per ragioni sia simboliche che materiali. D’altro canto, la presenza delle forze armate e l’uso della violenza modellano profondamente i conflitti agropastorali. È importante sottolineare che modificano la posta in gioco percepita di questi conflitti e ne ostacolano la risoluzione”.

In altre parole, le relazioni tra conflitti legati al bestiame e attività armate sono indirette, complesse e reciproche, per cui finiscono per alimentarsi vicendevolmente in una spirale di cui non si scorge mai il fondo. I continui sfollamenti di popolazione, inoltre, provocano sovraffollamento e competizione per le risorse in determinate zone di concentrazione delle persone, compresi i pascoli e le fonti d’acqua, che così mettono ancora più a dura prova la capacità dei pastori di bestiame di mantenere le loro mandrie. Ma ulteriormente prostrante è il fatto che gli allevatori di bestiame sono spesso impossibilitati a raggiungere i mercati per vendere il proprio bestiame o acquisirne di nuovo, oltre che entrare in contatto con i fornitori di mangimi e con i veterinari.

Nonostante queste sfide, il bestiame continua a svolgere un ruolo fondamentale per il sostentamento di molte comunità nella parte orientale della RDCongo: le mucche sono una fonte di cibo, reddito e status sociale per le famiglie impegnate nelle attività pastorali. Gli sforzi per promuovere la pace, la stabilità e lo sviluppo nella regione sono essenziali non solo per il benessere della popolazione, ma anche per la sostenibilità dei mezzi di sussistenza basati sul bestiame.

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