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RDCongo: i medici uccisi come strategia di guerra

Tra guerra ed epidemie, nelle province orientali della Repubblica Democratica del Congo il lavoro del medico è particolarmente delicato e prezioso, oltre che pericoloso. Non è un caso che la figura internazionalmente più nota di quest’area sia il dottor Denis Mukwege, Premio Nobel per la Pace nel 2018 e Premio Sakharov nel 2014, il ginecologo soprannominato “l’uomo che ripara le donne” per il suo impegno contro le mutilazioni genitali femminili nel suo Paese. Tanti altri, però, sono i medici e gli operatori sanitari che quotidianamente prestano soccorso e curano la popolazione dell’Ituri, del Nord Kivu e del Sud Kivu dove da decenni imperversa una guerra a bassa intensità che produce migliaia di morti e mutilati, nonché milioni di profughi e affamati. Inoltre, siccome la guerra trascina con sé innumerevoli altre tragedie, è proprio in queste province congolesi che imperversano con più gravità delle ricorrenti crisi sanitarie, come il colera e l’ebola.

Tuttavia, vi è un ulteriore rischio per i medici congolesi: essere dei bersagli per le opposte fazioni in guerra. Non basta, infatti, la fatica di un lavoro usurante e la continua esposizione a malattie, perché nell’est della RDCongo un dottore o una dottoressa è anche un obiettivo “militare”, anzi “terroristico”: meno medici ci sono, più le popolazioni sono esposte e vulnerabili, dunque indotte a lasciare i loro territori, cosicché le varie forze militari in campo espandono con maggior agilità il loro controllo.

È difficile tenere il conto di tutti gli operatori sanitari vittime delle piccole e grandi guerre che incendiano le province orientali congolesi, ma le cronache riportano frequentemente attacchi a ospedali o attentati mirati proprio verso i dottori. Per intuire la dimensione del dramma, nelle ultime settimane sono almeno tre i medici uccisi.

Il caso più recente è della sera di venerdì 13 gennaio in Ituri, dove degli uomini armati del gruppo CODECO (una coalizione di varie milizie Lendu, spesso descritta come una setta politico-religiosa armata) hanno ucciso il dottor Towaso Ujwiga Ponet, direttore dell’ospedale generale di Aungba, nel territorio di Mahagi.

Fonti locali riferiscono che l’omicidio è avvenuto mentre visitava una famiglia vicino casa sua, ma al momento non si conoscono le motivazioni del crimine, sebbene alcuni non escludano che possa essersi trattato di una rappresaglia dopo le osservazioni che il dottore avrebbe fatto, in qualità di opinion leader, in una riunione locale in merito alla sicurezza della regione. Il dottor Ujwiga Ponet, infatti, aveva denunciato pubblicamente la crescente insicurezza della sua zona ad opera di gruppi armati del posto che imperversano soprattutto contro gli Hema, un gruppo etnolinguistico semi-nomade di circa 160.000 persone.

Il 25 dicembre, invece, alcuni miliziani Mai-Mai (formalmente in guerra contro i gruppi ribelli congolesi affiliati al Rwanda) hanno attaccato l’ospedale di Bijombo e Katanga, nel Sud Kivu, uccidendo il dottor Kimararungu Merci e ferendo altre due persone.

Il dottor Kimararungu Merci avrebbe dovuto sposarsi il prossimo 11 marzo e il suo corpo è stato trovato esanime a 3 km da Uvira, la principale città della zona, e sarebbe stato ucciso per il suo aspetto “da tutsi”, in quanto appartenente all’etnia dei banyamulenge. A seguito di questo omicidio si sono avute alcune polemiche che hanno coinvolto il celebre dottor Mukwege, prima perché denunciasse quel crimine contro un “tutsi congolese”, come poi ha fatto dopo qualche giorno, successivamente perché non ha pronunciato il nome della vittima, né quello del gruppo che lo ha assassinato:

Il 20 ottobre scorso, infine, a una ventina di chilometri da Butembo, nel Nord Kivu un gruppo di islamisti delle ADF (Allied Democratic Forces, considerato terrorista dall’Uganda) ha attaccato un dispensario e ucciso suor Marie-Sylvie Kavuke Vakatsuraki, che era anche una dottoressa del centro sanitario rurale della zona di Maboya.

Il corpo della suora è stato trovato carbonizzato, altre sei persone sono state decapitate e bruciate, mentre una ventina di persone sarebbero state rapite, di cui tre donne incinte, dieci pazienti e dieci operatori sanitari. In un messaggio di cordoglio, il vescovo della diocesi di Beni-Butembo, mons. Melchisédech Sikuli Paluku, ha detto che “ci mancano le parole, infatti l’orrore ha più che superato il limite”.

Dal canto loro, i miliziani islamisti hanno rivendicato l’attacco, ricordando di essere affiliati allo Stato Islamico e autodefinendosi “Islamic State Central Africa Provincial Branch” (ISCAP).

Nelle settimane successive si sono tenute delle manifestazioni dei medici in varie zone delle province orientali congolesi per denunciare “l’indifferenza di tutti i servizi di sicurezza preposti a garantire l’incolumità delle persone e dei loro beni”:

 

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