vai al contenuto principale

Immigrazione, un sistema europeo per fermare le navi delle ong

L’ennesima strage in mare di qualche giorno fa poteva essere evitata? Certo che sì, ma si è preferito dimostrarsi esterefatti e solidali, in una corsa ai rimbalzi di responsabilità e colpe.

Purtroppo la realtà è che questa strage è la dimostrazione di un sistema di pattugliamento in mare che non funziona. Il sistema è volutamente fallimentare e, infatti, le sue ragioni sono ben note da tempo a chi le vuole vedere: manca un vero coordinamento Sar (Search and rescue) nei tratti di mare più pericolosi, le navi istituzionali sono state ritirate, ma soprattutto le Ong sono state messe nelle condizioni di navigare solo a singhiozzo, tra mille ostacoli, principalmente a causa dei cosiddetti fermi amministrativi.

La Mare Jonio è ferma a Venezia, la Aita Mari è nel porto di Adra (Almería), la Sea-Watch 4 è ripartita da pochi giorni da Burriana (Valencia) e soltanto la Ocean Viking è in zona Sar. Le Open Arms, Sea-Watch 3 e Alan Kurdi, invece, sono in stato di fermo amministrativo rispettivamente a Pozzallo, Augusta e Olbia. Lo stesso destino rischiano al termine della prossima missione Sea-Watch 4 e Sea-Eye 4.

I fermi amministrativi sono disposti dalla Guardia costiera in seguito ai cosiddetti Port state control (Psc), controlli dello Stato di approdo. Questo tipo di ispezioni servono a verificare che le imbarcazioni commerciali rispettino gli standard di sicurezza della navigazione, tutela dell’ambiente marino e lavoro marittimo stabiliti dalle convenzioni internazionali (Solas, Marpol, Clm, Stcw). Il sistema dei controlli è uniformato dal memorandum di Parigi e dalla direttiva comunitaria 2009/16/CE.

Fino al 5 maggio 2020, alcune navi ONG hanno ricevuto un totale di otto Psc, ma solo un fermo amministrativo, che ha riguardato Open Arms a Porto Empedocle il 22 agosto 2019, subito dopo lo sbarco dei naufraghi tenuti a bordo per 19 giorni dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Da maggio 2020, invece, è cambiato tutto: nove ispezioni hanno determinato otto detenzioni (una per Aita Mari, Ocean Viking, Open Arms e Sea-Watch 4; due a testa per Alan Kurdi e Sea-Watch 3) e le irregolarità contestate si sono moltiplicate improvvisamente, passando di colpo da 4 a 28 (Ocean Viking), da 9 a 30 (Alan Kurdi), da 6 a 17 (Sea-Watch 3), fino al caso più eclatante: quello della Aita Mari. L’imbarcazione spagnola è stat sottoposta a due Psc che hanno rilevato, però, in entrambi i casi una sola carenza.

Cosa è successo nei primi mesi del 2020? Nel mondo è scoppiata la pandemia e quindi la Guardia costiera, oltre ad applicare una maggiore severità, ha iniziato a ispezionare le navi non più in base alla categoria cui appartengono formalmente, ma rispetto alla funzione che effettivamente svolgono. In altre parole, sulla base della categoria, la Guardia Costiera giustifica il Psc, che è un controllo limitato alle navi commerciali, ma poi con l’ispezione verifica la sussistenza di requisiti di natura completamente diversa. E poi ci aggiunge il carico: i migranti non sono più considerati naufraghi, sulla base dei trattati internazionali, con lo scopo di tutelare la vita umana prima di tutto, ma vengono calcolati come passeggeri in virtù del carattere «sistematico» delle operazioni Sar. Manco a dirlo, l’interpretazione dell’Italia a questa novità è più restrittiva e severa di altri Paesi europei.

Non costa nulla versare qualche lacrima di coccodrillo, speculare e spettacolarizzare le immagini di sofferenza e di disperazione di fronte all’ennesima tragedia del mare. E’ molto più difficile provare a normare a livello europeo il flusso migratorio. E le ONG, che sono l’unico vero occhio sulla verità di quelle tragedie, ne fanno le spese: prima le hanno delegittimate, gettando ombre addirittura su possibili accordi con i trafficanti,  ora vengono eliminate dai mari. E’ la strategia del razzismo culturale di fondo dell’Europa.

Torna su