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Il genocidio africano. Novembre 1959 Muyaga Rwanda. La rivoluzione avvia l’epoca del dominio Hutu

Il 1 ° novembre 1959 Dominique Mbonyumutwa, un attivista del partito hutu PARMEHUTU, viene attaccato dopo aver frequentato la messa con sua moglie in una chiesa vicino alla sua casa a Byimana, provincia di Gitarama.  Gli aggressori erano nove membri dell’Alta giovanile del partito tutsi UNAR. L’aggressione è legata al rifiuto del attivista hutu di firmare una lettera di protesta, condannando la rimozione da parte dell’amministrazione coloniale belga di tre capi tutsi.

Mbonyumutwa riesce a sostenere l’aggressione e a ritornare a casa illeso con sua moglie. Una volta al sicuro diffonde la foce di essere stato ucciso dai militanti tutsi. Ha un obiettivo semplice da raggiungere. Trasformare l’attacco subito da catalizzatore per far scoppiare un violento conflitto tra hutu e tutsi, sfruttando la montagna di incomprensioni, divisioni politiche ed estremismo etnico già esistente.

Il 2 novembre, il giorno dopo l’attacco, una protesta di hutu viene indetta a Ndiza, davanti alla casa di Athanase Gashagaza, un leader tutsi. La protesta si conclude pacificamente, ma il 3 novembre una nuova protesta più ampia sconfina nella violenza con la comparsa di Vigilantes Hutu. Al grido “per Dio, la Chiesa e il Ruanda” uccidono due funzionari e i leader tutsi.

Le proteste non finiscono con l’assassinio del leader e dei 2 funzionari tutsi. Bande di Vigilantes hutu si muovono per tutto il distretto di Gitarama, attaccando le case tutsi. Nei primi giorni delle violenze ci si limita a saccheggiare le proprietà e a bruciare le case, piuttosto che uccidere, tranne nei casi in cui i tutsi opponevano resistenza. Come combustibile veniva usata la paraffina, un prodotto nono costoso e ampiamente disponibile in Ruanda per le lampade. Era iniziata la Muyaga Rwanda (la rivoluzione hutu ruandese).

Molti tutsi senza tetto cercarono rifugio nelle missioni della Chiesa Cattolica e presso le autorità belghe, altri preferirono scappare in Uganda e Congo. Senza saperlo furono i pionieri dell’esodo di massa nei due paesi confinanti che avvenne durante la rivoluzione hutu del 1959. Gli attivisti del PARMEHUTU e Dominique Mbonyumutwa, improvvisamente resuscitato iniziarono a reclutare poveri contadini hutu per ingrossare le fila dei Vigilantes. Veniva promesso loro il diritto di saccheggio alle case tutsi attaccate. Il 9 novembre 1959 i massacri di tutsi escono dal distretto di Gitarama per estendersi nei distretti di Butano e Ruhengeri.

La risposta belga è passiva. Il governo coloniale aveva solo 300 soldati in Ruanda all’inizio di novembre, nonostante la minaccia della guerra civile che si era intensificata attraverso i mesi precedenti. Si sceglie di non intervenire per fermare i massacri nelle campagne, ma di assicurare la calma a Bujumbura. Alcuni Viligantes hutu furono arrestati ma l’amministrazione coloniale chiarì che con le forze a disposizione non poteva contenere la diffusione della rivolta. Vengono chiamate truppe belghe dal vicino Congo che giungono con inatteso ritardo.

Il re tutsi Kigeli V Ndahindurwa (salito al trono il 28 luglio 1959 dopo la morte del re Mutara II Rudahigwa: 25 luglio 1959), chiese il permesso di formare un proprio esercito di autodifesa ma il Governatore belga Andrè Preud’homme rifiuta, spaventato dal fatto che l’intervento dei tutsi avrebbe intensificato la crisi rischiando di portare il Burundi ad una guerra civile.

 

Nonostante questo rifiuto, il re Kigeli organizza un contrattacco contro i Vigilantes hutu mobilitando migliaia di miliziani tutsi leali. Le milizie reali, esperte nella guerra, ottengono iniziali vittorie, uccidendo o arrestando centinaia di Vigilantes e un certo numero di leader hutu, nella speranza di fermare la rivolta. Molti di quelli arrestati furono portati al Palazzo del re a Nyanza, dove furono torturati. da sera.

Tra Il 9 e il 10 novembre, le truppe di Kigeli attaccarono la collina a Save, una delle battaglie più dure della prima fase della rivoluzione. I leader hutu che comandavano la resistenza furono portati in salvo da unità dell’esercito coloniale intervenute per fermare lo spargimento di sangue. L’intervento belga fece capire ai tutsi da che parte stavano i bianchi.

Sebbene le milizie del re Kigeli e del partito tutsi UNAR fossero addestrate e meglio equipaggiate rispetto ai Vigilantes hutu, il reclutamento dei contadini aveva garantito a quest’ultimi la superiorità numerica. Notare che spesso si combatteva all’arma bianca, quindi la differenza numerica era uno dei fattori cruciali per l’esito degli scontri. Seppur mai avvennero scontri diretti tra milizie tutsi e reparti coloniali belgi, la posizione assunta da Bruxelles fece maturare nei tutsi la convinzione che l’obiettivo finale non era quello di fermare la rivolta ma di sconfiggere i Vigilantes, prendere il potere e ottenere l’indipendenza il prima possibile.

Secondo vari storici britannici la rivoluzione del 1959 tra hutu e tutsi poté proseguire a causa della risposta passiva belga dettata dal chiaro intento di sbilanciare gli equilibri per portare gli hutu al potere. Decisivo il ruolo giocato dal Colonello Jean Paul Harroy, amico personale del governatore del Ruanda. Incaricato all’inizio della rivoluzione di valutare le opzioni militari del Belgio, con l’escalation delle violenze e i contrattacchi tutsi giunge dal vicino Congo con un buon numero di soldati coloniali e paracadutisti belgi per ristabilire l’ordine.

Devoto cattolico e socialdemocratico, il Colonello Harroy decide in anticipo di schierarsi a favore degli hutu. Diede anche un’assurda spiegazione al Parlamento belga. Visto che gli hutu erano la maggioranza, le violenze sarebbero continuate fintanto che i tutsi rimanevano al potere, quindi meglio sostenerli e incanalare la rivoluzione su principi democratici. I parlamentari belgi, pur essendo a conoscenza dei massacri di tutsi in atto, approvarono la linea di Harroy. “Alcuni dei miei ufficiali pensavano che mi stessi sbagliando nell’essere così parziale contro i Tutsi e che la rivoluzione democratica a cui aspiravo era distante e incerta. Ho difeso le mie azioni in quanto era necessario esporre la duplicità di un’aristocrazia, tutsi, opprimente e ingiusta” scrisse il Colonello Harroy nel suo diario.

Il 12 novembre, Harroy dichiara lo stato di emergenza pensato per limitare le azioni delle milizie tutsi mentre quelle dei Vigilantes continuavano anche se con meno intensità di prima. Temendo che i tutsi avrebbero riportato la vittoria finale, dichiarando un paese indipendente da loro dominato, il Colonello Harroy spinse affinché la colonia non diventasse una repubblica istaurando un governo hutu amico. Per preparare il terreno Harroy e il Governatore Preud’homme iniziarono a destituire i funzionari e i capi tradizionali tutsi con degli hutu, per la maggior parte provenienti dal partito estremista razziale PARMEHUTU.

 

 

 

 

Le truppe coloniali spesso arrestavano e condannavano miliziani tutsi mentre i loro compatrioti hutu del PAREMHUTU venivano tollerati. A dicembre Harroy sostituisce il governatore e suo amico, per ordini di Bruxelles che esige un rapido ritorno alla calma. Il governo belga comunque non autorizzò la nascita di una Repubblica ma di una monarchia costituzionale con a capo il Re Kigeli con poteri ridotti a favore dell’élite hutu.

Le violenze e la rivoluzione continuarono fin al gennaio 1960 quando furono rinviate a marzo le elezioni comunali. Durante questo periodo il PARMEHUTU si era rafforzato acquisendo popolarità per i suoi pogrom etnici, sfruttando abilmente i sentimenti anti-tutsi diffusi tra la popolazione hutu dalla Chiesa Cattolica e dai belgi.

La riposta di autodifesa dei tutsi e il loro programma di lottare per l’indipendenza venne sfruttato dai leader estremisti del PARMEHUTU per convincere le masse che era necessario per il popolo hutu di emanciparsi e prendere il potere per difendere i propri diritti. I focolai della rivolta durano anche in marzo durante la visita di una delegazione delle Nazioni Unite. La delegazione constatò con i propri occhi l’entità delle violenze contro i tutsi.

Protestarono contro il Belgio, accusandolo di passività e si opposero alle elezioni comunali impraticabili visto il clima di violenza. La proposta belga di rinviarle a giugno fu anch’essa valutata impraticabile. Occorreva, secondo gli esperti ONU, che prima il Belgio fermasse con risoluta forza i vari massacri in corso e convincere i partiti ruandesi a porre fine alla violenza.

Nonostante il suggerimento delle Nazioni Unite di posticipare le elezioni, le autorità belghe le tennero a giugno al fine di permettere al partito estremista PARMEHUTU di ottenere una vittoria schiacciante. Ottennero 160 cariche comunali mentre i tutsi solo 19. Il voto era stato giocato sull’odio etnico e sullo stato emozionale e non sui programmi politici. Le nuove autorità comunali, destituirono i capi tradizionali e avviarono politiche agricole identiche al sistema feudale tutsi ma favorendo gli hutu.

Nel luglio 1960 il Colonello Jean Paul Harroy dichiara che la rivoluzione è finita. Eppure i massacri di tutsi continuarono per tutto il 1960 e il 1961 con il beneplacito del Belgio che con il rinnovo della sua passività intendeva indebolire l’apparto politico e militare dei tutsi al fine di togliere loro qualsiasi possibilità di vittoria. Il Re Kigeli, dopo un arresto domiciliare nel sud del Ruanda, nel luglio del 1960 riuscì a fuggire nel vicino Congo e a raggiungere in seguito gli Stati Uniti. Almeno 600.000 tutsi divennero profughi nei vicini Congo e Uganda. La maggioranza di loro non tornò mai più nel paese natio.

Dopo aver stabilito la nuova realtà di dominio hutu e aver indebolito i tutsi, il Belgio avviò le procedure di indipendenza monitorate dalle Nazioni Unite. Le risoluzioni n. 1579 e 1580 dell’Assemblea Generale ONU sancirono il diritto alla popolazione ruandese di indire un referendum sulla monarchia o repubblica. Una conferenza nazionale di riconciliazione si svolse in Belgio nel gennaio del 1961 chiudendosi con un clamoroso fallimento.

Nel febbraio del 1961 la monarchia ruandese fu dissolta e, dopo una breve amministrazione transitoria guidata dal politico hutu Dominique Mbonyumutwa, Gregoire Kayibanda fu eletto a primo Presidente della Repubblica il 26 ottobre. La sua nomina era stata voluta dalla Chiesa Cattolica, era uno degli intellettuali hutu che avevano firmato nel 1957 il Manifesto Bahutu. Un uomo fidato.

Nel 1962 la Costituzione redatta da Kayibanda era chiaramente etnica ma anti comunista con la promessa di diventare un bastione insuperabile della democrazia occidentale in Africa. Nel 1965 Kayibanda aveva già istaurato la dittatura hutu. Il PARMEHUTU era l’unico partito autorizzato nel paese. L’era Hutu era cominciata. Il prossimo massacro di tutsi si verificò nel 1973.

 

 

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