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Etiopia. La prima a morire è stata la verità. Credit: Ebrahim Hamid/AFP/Getty Images

Etiopia. La prima a morire è stata la verità

A farne le spese è la verità. Tutte le fasi del conflitto che ha inghiottito il Tigray e le zone Ahmara e Afar a confine nella regione sono state oggetto di forti campagne di disinformazione, più o meno organizzate.

Il divieto di accesso al fronte per i giornalisti ha prodotto un buco immenso nel racconto di questa guerra ed ha fatto si che lo spazio lasciato vuoto dalla mancanza di informazione venisse colmato da almeno due narrazioni distinte, molto spesso organizzate, sicuramente interessate.

Etiopia. La prima a morire è stata la verità. Credit: Ebrahim Hamid/AFP/Getty Images
Etiopia. La prima a morire è stata la verità. Credit: Ebrahim Hamid/AFP/Getty Images

Un’atmosfera tossica.

La polarizzazione nella quale è piombato il paese è talmente radicata nella società civile, che difficilmente la ricerca della verità e delle responsabilità ha trovato all’interno anticorpi alla disinformazione.

L’intossicazione mediatica alla quale è stata sottoposta la società civile, le operazioni propagandistiche e la mancanza di notizie sono tre fattori che hanno permesso l’uso distorto di immagini, video e dati e che, un esempio su tutti, hanno fatto si che la presenza dell’esercito eritreo venisse smentita per mesi (seppur confermata), dando campo libero alle nefandezze di cui si è macchiato sul campo.

L’avversione nei confronti dei risultati della Commissione internazionale di esperti in materia di diritti umani in Etiopia (ICHREE), istituita dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHCR), ne è la riprova. La scoperta della verità di alcuni fatti (altri rimarranno in balia dell’oblio) significherebbe poter addurre responsabilità certe nelle violazioni dei diritti umani a cui è stato soggetto il popolo tigrino, quello ahmara ed afar.

Per due anni, i giornalisti, i diplomatici, le organizzazioni per i diritti umani hanno dovuto affidarsi ai racconti dell’una o dell’altra parte per disegnare un quadro il più attinente alla realtà sul campo.

Le sollecitazioni arrivate dai vari gruppi della diaspora, da quelli dei governi regionali, il racconto fatto dal governo federale e dalla leadership del Tplf, il muro del silenzio eritreo hanno sollecitato l’attenzione della comunità internazionale e cercato di controllarne gli esiti.

La propaganda.

La capacità di lobbying e di propaganda sono state molto più profonde tanto più le organizzazioni hanno avuto presa nella comunità internazionale. Non a caso l’attenzione rivolta all’Oromia, alla regione Afar e al Benishangul-Gumuz è stata bassissima, potremmo dire pressoché inesistente.

A ciò ha contribuito anche la presa che alcune narrazioni hanno avuto sulle cancellerie internazionali ad Addis Abeba. La caratura e il peso di alcuni rappresentanti governativi ha fatto presa immediata sulle ambasciate occidentali, facendo si che -almeno nel primo periodo- il canale privilegiato di informazione passasse attraverso i funzionari federali del governo.

Ciò è apparso evidente all’arrivo delle prime voci (date dalle organizzazioni umanitarie presenti nel Tigray del nord) della presenza di truppe eritree nella regione. Tra la fatidica notte tra il 3 e il 4 Novembre 2020 e il Marzo 2021, le ripetute smentite del governo federale in tal senso, hanno cominciato a minare la fiducia degli interlocutori internazionali e la credibilità di alcuni diplomatici etiopi.

Lo stesso iter hanno avuto le notizie sull’accesso dei camion degli aiuti umanitari nella regione, quelle mancanti sul recente abbattimento dell’aereo cargo nei pressi di Gijet da parte delle truppe tigrine e le accuse ai “nemici dell’Etiopia” e agli “attori stranieri”, presumibilmente al servizio delle forze che vorrebbero la disgregazione della federazione etiope.

Questa narrazione -sebbene meglio costruita- ha spesso colliso con il controllo dei fatti.

Un altro elemento chiave nella battaglia delle narrazioni è la differenza tra i messaggi pubblicati in inglese, inviati per essere ricevuti dai diplomatici della più ampia comunità internazionale e i messaggi in lingue locali come l’amarico, l’afaan oromo o il tigrino, inviati per essere letti dalla popolazione locale.

Uno dei casi più lampanti in questo senso è stata la dichiarazione rilasciata ai diplomatici stranieri nel gennaio 2022 dal presidente regionale della regione Amhara, Yilkal Kefale, circa la sua disponibilità a impegnarsi in colloqui di pace e ad aprire corridoi umanitari nel Tigray. Lo stesso giorno, durante una conferenza del partito al governo, dichiarò che i cittadini avrebbero dovuto prepararsi a “distruggere il gruppo terroristico TPLF“, ovviamente in amarico.

Una manipolazione che non è stata prerogativa di una sola parte.

Anche le informazioni provenienti dalle organizzazioni tigrine, Tplf in primis, sono state talvolta manipolate, esagerate o smentite a seconda dell’interesse del momento, seppur maggiormente supportate da prove evidenti (foto, video e dati), o dettagliate come nel caso della confisca del gasolio al World Food Program del 25 Agosto 2022.

Ma il caso delle uccisioni extragiudiziali e dei saccheggi nella zona di Kobo, nel North Wollo a confine tra la regione Ahmara ed il Tigray da parte delle truppe del TDF o il caso della conquista di Dessie, annunciata con grande anticipo dal TDF all’inizio del Novembre 2021, le prime smentite e la seconda mai commentata (probabilmente fu un tentativo di abbattere il morale delle truppe federali), ci confermano come la comunicazione abbia giocato un ruolo centrale anche per la compagine tigrina.

Una comunicazione sicuramente meglio coordinata rispetto a quella governativa, che ha sofferto di una mancanza di coordinazione tra le varie entità federali e della mancanza di condivisione di informazioni dirette dal campo di battaglia, che sembrano appannaggio esclusivo di una ristretta cerchia di persone intorno al Primo Ministro.

Internet ed i social

L’unico modo per accedere a Internet in Etiopia è attraverso il fornitore di proprietà del governo, Ethio Telecom, che ha il controllo unilaterale sull’industria delle telecomunicazioni. Il paese ha un tasso di penetrazione internet a malapena del 17,7%, con 21.147.255 di utilizzatori di internet, un dato molto basso, uno dei paesi più disconnessi al mondo, come è possibile verificare dai dati riportati su internetworldstats.com.

Per essere una delle economie in più rapida ascesa al mondo, un accesso così basso ad internet è piuttosto sorprendente. Le interruzioni del servizio rendono le connessioni inaffidabili e per coloro che riescono ad accedere a internet, ci sono pochi contenuti disponibili in amarico.

Fattori che hanno limitato profondamente la diffusione delle informazioni e permesso il controllo del dissenso interno e la riduzione al minimo dei commenti critici con le politiche governative in nome della sicurezza e dell’integrità nazionale come affermato dall’ex ambasciatore Usa in Etiopia, David Shinn.

L’interruzione di internet e delle telecomunicazioni ha contribuito ad isolare il Tigray, cosa che secondo l’Information Network Security Agency, una delle agenzie di intelligence dell’Etiopia è stato necessario per “preservare la sicurezza nel paese”.

Il peso della diaspora.

La polarizzazione causata dalla guerra si è riflessa – come è ovvio che sia – anche nelle varie organizzazioni della diaspora presenti nel mondo. Gli attivisti dell’una o dell’altra parte, hanno aumentato le loro azioni richiamando l’attenzione di decine di migliaia di attivisti fino ad allora più o meno silenti, attraverso campagne di comunicazione mirate, amplificando alcuni messaggi o cercando di sminuirne altri.

La mancanza di accesso a informazioni e l’impossibilità di contatto e assistenza alle proprie famiglie nel Tigray, ha reso piuttosto attivi alcuni appartenenti alla diaspora tigrina. Attivismo che in un secondo momento ha visto la reazione delle organizzazioni della diaspora etiope: molto attive quelle della diaspora etiope negli Usa.

Esempio di campagne social
Esempio di campagne social

Alcune campagne social, in particolare su Twitter, hanno coinvolto migliaia di utenti, progettate da gruppi della diaspora nel tentativo di influenzare la narrativa sui social media, hanno inquinato profondamente la narrazione dei fatti, a volte alzando una cortina fumogena difficile da diradare, a volte utilizzando espressioni d’intolleranza rivolte alla parte avversa o discorsi d’odio basati sull’appartenenza etnica.

C’è da sottolineare come non tutta l’attività della diaspora sia stata tesa a veicolare informazioni mirate; sarebbe ingiusto oltreché non veritiero. In molti casi gli attivisti, seppur mossi da interesse, hanno manifestato richieste di informazioni o semplicemente richiesto a gran voce la fine del conflitto.

Il coinvolgimento dell’Eritrea nel conflitto.

La presenza delle truppe eritree su suolo etiope ed il loro coinvolgimento nel conflitto è un altro fattore che mette in serio pericolo il raggiungimento della verità.

La verità pretende il riconoscimento delle responsabilità e last buy not least la riconciliazione. Passaggi fondamentali per arrivare alla fine del conflitto attraverso una soluzione pacifica.

Incoraggiate dalla propaganda e praticamente impunite di fronte la popolazione civile hanno potuto agire in barba a qualsiasi regola; in uno scenario post bellico, resta difficile poter stabilire chi e in quale modo potrà perseguirle per le responsabilità (accertate) nei casi di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani.

Gli abusi, i crimini, le violenze sessuali, gli omicidi commessi nel Tigray, genereranno ulteriore violenza ed odio, difficilmente prescrivibili nel nome della riconciliazione. Per arrivarvi il passaggio intermedio da ottemperare è l’individuazione e la condanna dei responsabili. Qualora uno di questi passaggi saltasse, la riconciliazione diverrebbe un passaggio monco all’interno di un processo di per sé assai difficile.

Le prove raccolte dalla Commissione internazionale di esperti in materia di diritti umani in Etiopia saranno fondamentali per mettere fine a questa battaglia tra le narrazioni distorte di questo conflitto, scoprire la verità su ciò che è accaduto nel Tigray, nella regione Ahmara ed Afar negli ultimi due anni e iniziare a organizzare processi di responsabilità significativi e collettivi, che coinvolgano il paese e possibilmente giusti.

Per fare questo però, oltre la spinta interna, fondamentale, sarà imprescindibile il sostegno della comunità internazionale alla ricerca della verità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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