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Etiopia, combattimenti in Oromia, Afar ed Ahmara. Il Tigray sempre più isolato

La tregua dichiarata il 24 Marzo dal governo di Addis Abeba, a cui ha aderito anche il Tplf, non sembra aver prodotto frutti sul campo.

Il Tigray continua a rimanere isolato; gli aiuti umanitari rimangono fermi sulla direttrice Mekelle-Semera-Abala, fino ad oggi, infatti, le precarie condizioni di sicurezza non hanno permesso alle colonne del World Food Programme di proseguire per la capitale tigrina.

Uno studio dell’Università belga di Ghent, pubblicato alla metà di Marzo, ha stimato in circa 500mila i morti a causa della guerra, di questi circa 200mila a causa di siccità e carestia e tra 50mila e 100mila i militari ed i civili morti a causa dei combattimenti.

OCHA (l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari) ha confermato che solo il 10-15% degli aiuti necessari sono arrivati ad oggi nel Tigray, annunciando nel suo ultimo report che all’inizio di Aprile è riuscita a far giungere nella regione 20 camion di aiuti alimentari, dispositivi medici e carburante, mentre altri 11 camion hanno raggiunto Mekelle via aereo partendo da Addis Abeba.

Ben poco per i 5,2 milioni di persone che necessitano di aiuto immediato, a causa della mancanza totale di assistenza sanitaria, cibo e gasolio che ormai si registra da mesi nella regione del nord dell’Etiopia.

© UNOCHA

Il conflitto nel Tigray, oltre ad innescare la più grave crisi umanitaria al mondo, ha minato l’intera architettura del paese. La regione Afar è ormai, da Dicembre 2021, direttamente coinvolta nei combattimenti. Le truppe del TDF hanno lanciato da mesi operazioni nella regione, per scongiurare l’isolamento completo della regione e con l’obiettivo di garantirsi vaste zone di influenza lungo le vie di comunicazione sulle quali transitano gli aiuti.

Proprio in queste ore i tigrini si sono ritirati dalla città di Abala, conquistata all’inizio del 2022, dopo l’operazione su vasta scala lanciata dal TDF il 18 Dicembre 2021. Già nella prima fase del conflitto, durante l’estate del 2021, le milizie Afar presero parte ai combattimenti contro i tigrini, respingendo per venti giorni le truppe da Chifra e Mille, sulla direttrice verso i porti di Djibouti e spingendole verso Abala. Proprio in città, le truppe presenti si ricongiunsero con altre arrivate direttamente da Mekelle, andando a contare oltre 17mila unità in poco tempo.

In poco più di due mesi, le truppe del TDF hanno occupato sei distretti settentrionali della regione; Megale, Abala, Erebti, Berahle, Koneba e Dallol sono ben presto cadute sotto la spinta delle truppe tigrine, meglio armate delle milizie Afar, e in numero nettamente superiore rispetto agli uomini messi a disposizione dai clan Afar, sui quali si regge il sistema di difesa territoriale.

Le operazioni militari sono andate a pesare su una situazione umanitaria oltre la soglia di emergenza ormai da mesi, ingrossando le fila degli sfollati interni, aumentando le esigenze di una popolazione già messa d una prova dai combattimenti. Ad oggi sono oltre 220mila gli sfollati nella regione, che ospita anche i rifugiati eritrei fuggiti dai campi profughi nel nord del Tigray in seguito agli attacchi dell’esercito eritreo prima e delle truppe del TDF poi.

Semera, la capitale della regione, sin dall’inizio della guerra è stata tagliata fuori così come il resto del Tigray, dipendendo storicamente da Mekelle per il servizio elettrico, le comunicazioni, i servizi bancari.

© Twitter. Il comandante delle milizie Fano della regione Ahmara orientale Mihret Wodaj
Ma la regione Afar non è la sola ad essere infiammata dal caos. Per oltre 48 ore infatti, nella regione Ahmara, nelle città di Woldia e Kobo, si sono registrati scontri tra l’ENDF (l’esercito federale etiope) e le milizie ahmara Fano. La battaglia sarebbe stata innescata dal tentativo delle autorità federali di disarmare il comandante delle milizie Fano della regione Ahmara orientale Mihret Wodajo e le sue truppe. Scontri violenti che hanno determinato la chiusura degli uffici pubblici, lo stop al trasporto pubblico e l’accrescimento del caos in una zona pesantemente interessata nel recente passato da scontri con il TDF.
Un focus particolare merita l’Oromia. Il governo di Abiy Ahmed, approfittando della tregua stabilità con il Tplf, ha dato il via ad una vasta offensiva contro l’Oromo Liberation Army, resosi protagonista ad inizio mese (2 e 3 Aprile) di un attacco alle truppe dell’ENDF nella città di Moyale, nel tentativo di assicurarsi le strade di collegamento con il Kenya.

Una attacco respinto dalle truppe federali, coadiuvate dalle milizie ahmara e dalle Forze Speciali Oromo fedeli al governo di Addis Abeba. Negli stessi giorni le forze fedeli al governo federale hanno colpito su più fronti l’organizzazione, a Sololo e Merti, sempre sul confine con il Kenya.

Scontri intensi si sono registrati anche tra Oromo Liberation Army e le forze di sicurezza della Somali Region, nei pressi di Hudet (a confine tra le due regioni) e tra l’OLA e le forze speciali della Sidama Region, la nuova entità regionale creata dal Primo Ministro Abiy Ahmed nel 2020, governata dal Presidente Desta Ledamo che ha sempre negato il coinvolgimento delle proprie truppe, anche se alcune fotografie, circolanti sui social, parrebbero dimostrare il contrario e il portavoce dell’OLA, Odaa Tarbii, avrebbe accusato ufficialmente le truppe di essere intervenute a sostegno dell’ENDF.

Twitter. Un milite dell’Oromo Liberation Army su un’auto apparentemente catturata alle Forze della Somali Region.

Un’operazione annunciata dallo stesso Primo Ministro con un discorso a reti unificate, con la promessa di distruggere l’organizzazione (già messa al bando come terroristica più di un anno fa) in un solo mese, ma che ben presto ha trovato la forte resistenza della controparte, andandosi ad arenare in un ulteriore conflitto interno che potrebbe divenire l’ennesimo fronte aperto a tempo indeterminato.

Seppur preparata con settimane d’anticipo, che hanno visto il generale Berhanu Jula e il Vice Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa Etiopi, Abebaw Tadesse, visitare il Sud Sudan e il Kenya, con in mano la richiesta di chiudere ogni via di fuga e di rifornimento all’OLA, le truppe federali hanno subito il contraccolpo dei miliziani oromo presso Abuna Ginde Beret, nei pressi di Arbu Tokke, dove un intero contingente della Guardia repubblicana è stato neutralizzato dai miliziani oromo, presso Dagam, Sibu Sire, Gulliso, Malka Lammii, nei distretti di Amaya e Wanchi.
© Odaa Tarbii – Twitter

Il conflitto con il Tigray sembra aver scoperchiato il vaso di Pandora nel quale si poggiava l’intera architettura dello stato etiope, oggi alle prese con conflitti regionali dalle ripercussioni però, internazionali.

Mentre la crisi economica scatenata dall’aumento del costo delle materie prime va ad aggiungersi al peso che il paese sta sostenendo a causa della guerra civile ed all’aumento imponderabile dell’inflazione, la siccità e la carestia incombono su molte regioni, in special modo quelle meridionali.

Solo un processo di pace che tenga conto anche delle istanze del Tplf e dell’OLA, la fine delle ostilità e l’apertura di un dialogo vero tra le parti potrà far fronte alle sfide immense che si profilano davanti il paese.

C’è una parte del paese che ha bisogno immediato di essere assistita, economicamente, a livello sanitario e con l’invio di ingenti aiuti umanitari. Ci sono intere regioni che dovranno essere ricostruite, anche nel tessuto sociale, altre che dovranno essere aiutate a subire i contraccolpi della guerra e della congiuntura economica affatto positiva. Dopo 18 mesi i guerra, un passo indietro non sarebbe affatto una sconfitta, ma una grande conquista per il popolo etiope.

 

 

 

 

 

 

 

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