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Non c’è pace per l’Etiopia. Combattimenti feroci in Oromia occidentale

Come se non bastasse la tragedia che coinvolge il Tigray, che da quasi due anni insanguina il nord del paese , in Etiopia sono molte le crisi che registriamo riaccendersi o aggravarsi in questi ultimi mesi.

Il Tigray, la crisi alimentare della regione, la guerra che l’ha insanguinata e che ha coinvolto anche le regioni limitrofe Ahmara ed Afar, le incarcerazioni dei civili, gli sfollati, i bombardamenti dei droni, l’impossibilità di accesso per gli aiuti umanitari vedono tutto il nostro impegno di copertura mediatica.

Ma vi sono altre guerre nel paese che si combattono e fanno ancor meno notizia, che producono però morti, sfollati e tragedie al pari delle altre.

Negli ultimi giorni si sono riaccesi gli scontri tra i militanti dell’OLA (Oromo Liberation Front) considerato come gruppo terroristico da parte del governo dal Maggio 2021e le milizie ahmara supportate dagli uomini dell’esercito federale (ENDF). I combattimenti più cruenti si sono avuti nell’East Wellega, lungo il confine che separa l’Oromia e la regione Ahmara.

Come per la guerra nel Tigray, entrambe le parti in causa si rimpallano le responsabilità. I militanti dell’OLA accusano le milizie ahmara di violenza contro i contadini oromo, a causa della lotta armata che ormai da anni li impegna contro il governo federale, dal quale vorrebbero piena autonomia, reo di aver instaurato nella regione un regime repressivo e violento.

© Ermias Tasfaye

I militanti nazionalisti ahmara invece giustificano il loro intervento affermando che le loro azioni non sarebbero altro che azioni di autodifesa nei confronti delle violenze contro i civili.

Kumsa Dirriba – conosciuto con il suo nome di battaglia “Jaal Maarro” – comandante in capo dell’OLA, ha negato il coinvolgimento del suo esercito negli attacchi ai civili ed ha accusato il governo federale come “unico responsabile” delle uccisioni e delle violenze registratesi in Oromia occidentale.

Jaal Maarro – Facebook

Uno scontro, quello tra gli oromo e il governo federale che prende vita nei primi anni ’90, nelle lotte che il popolo oromo portò avanti contro i coloni ahmara, inviati nella regione dal governo con l’intento di spegnere la fiamma della rivolta.

Nel 2014, le proteste nella regione ebbero anche dei risvolti politici: un’alleanza tra la leadership nazionalista ahamra ed oromo, nel tentativo di mettere all’angolo l’élite tigrina, che attraverso il Tplf era alla guida del paese da venti anni.

L’ascesa al governo di Abiy Ahmed (era il 2018), anch’esso di origine oromo, fece venir meno l’intesa politica tra i due movimenti; le vecchie tensioni, le crepe ideologiche sino ad allora colmate da un obiettivo “più alto”, ben presto si riaccesero, portando allo scoperto la feroce lotta delle élite nazionaliste per il potere.

Un malcontento andatosi a gonfiare con il rinvio delle elezioni, la soppressione del dissenso e la centralizzazione del potere in una formazione unitaria, il Prosperity Party, che ha fagocitato ogni istanza politica di radice etnico-nazionalistica dei movimenti sopraccitati.

Il PM  etiope Abiy Ahmed Ali ©Wikipedia

Una centralizzazione che ha portato l’OLA a staccarsi definitivamente da quella che era la sua ala politica, ovvero l’OLF (l’Oromo Liberation Front) proprio a causa dell’accordo di pace che quest’ultimo aveva siglato con il governo di Addis Abeba.

E’ l’assassinio di Hachalu Hundessa, che segna in un certo qual modo uno spartiacque con la situazione odierna. L’uccisione dell’artista, personalità molto influente e famosa nel paese, ha provocato proteste di massa in tutta la regione, provocando la risposta feroce delle forze di sicurezza, gli arresti della leadership politica oromo e la detenzione di oltre 9000 persone.

Negli ultimi mesi, lo scontro tra le forze di sicurezza federali e i militanti dell’OLA è andato man mano ad intensificarsi, specialmente nel Wollega orientale. La città di Haro, nel woreda di Kiremu è stata completamente rasa al suolo. Decine i morti civili lasciati sul campo, le abitazioni date alle fiamme e oltre 1000 gli sfollati interni provocati dalle violenze contro la popolazione civile. Stessa sorte è toccata pochi giorni dopo alle città di Ulmaya e Boka.

“Incidenti” per i quali è stata chiesta un’indagine indipendente da entrambe la parti in conflitto, visto che tutte e due proseguono a smentire ogni tipo di responsabilità per le atrocità commesse nella zona.

I continui attacchi, la paura di ulteriori violenze ha portato oltre 43000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni per andare a cercare riparo altrove. Ne hanno risentito anche i servizi di base, come quelli sanitari, poiché l’insicurezza ha determinato la chiusura di alcune arterie nella zona.

Sia il National Movement of Amhara (NaMA) che l’Amhara Association of America (AAA) due organizzazioni nazionaliste molto influenti a livello internazionale, hanno più volte accusato l’OLA di uccisioni di civili sulla base di profanazione etnica. Ovviamente le accuse sono state rispedite al mittente e la narrativa completamente ribaltata, con le milizie Fano (le milizie ahmara) ed i militari dell’ENDF ritenuti i veri responsabili delle violenze.

Sia la Lega per i diritti umani del Corno d’Africa (HRLHA) che Ija Oromia, un’organizzazione no-profit per i diritti umani in Oromia, hanno registrato una crescente concentrazione di forze speciali e di milizie Fano a confine tra le due regioni, e pubblicato un rapporto, con resoconti di testimoni oculari, della mattanza avvenuta nella città di Haro, che indicherebbero le milizie Fano come responsabili di almeno 69 omicidi.

Secondo il portavoce dell’OLA, Odaa Tarbii“c’è una campagna di propaganda mirata a cancellare non solo l’OLA ma il popolo Oromo nel suo insieme. La milizia Amhara ha commesso omicidi efferati e ha tentato di fomentare conflitti etnici”.

Secondo le ricostruzioni, riportate anche da Ethiopia Insight, l’obiettivo erano effettivamente le comunità oromo. In una zona dove la sovrapposizione etnica è molto forte, ad andarci di mezzo, esulando dalle percentuali, sono stati i civili. Ahmara ed Oromo hanno dovuto subire, a partire dall’Agosto del 2021 sino ad oggi, una serie di violenze inenarrabili: uccisioni indiscriminate, il furto dei beni, le case date alle fiamme.

Come è tristemente noto, anche il male ha bisogno di un terreno adatto per colpire. Le violenze, come abbiamo visto, traggono origine ideologica da molto lontano. Nei tre mesi precedenti i primi attacchi nel Wellega, come riportano molti testimoni,  i giovani delle comunità ahmara sono stati addestrati e riforniti di armi. Da qui l’accusa, da parte dei civili oromo nei confronti del governo centrale, accusato di aver deliberatamente preparato le azioni nella regione.

Sebbene la comunità ahmara contesti tali accuse, avrebbe presumibilmente avanzato rivendicazioni territoriali, come riportato anche dalla BBC; considerano infatti il confine naturale della propria regione il fiume Hangar e reclamano il diritto a riappropriarsi di “terre ancestrali”, diritto per il quale più volte hanno “chiamato” i cittadini alla mobilitazione.

Nello specifico i militanti nazionalisti ahmara avrebbero violato gli accordi territoriali locali, cambiato i nomi dei luoghi in nomi amarici e sarebbero accusati di uso improprio delle risorse forestali, trasporto illegale di armi da fuoco e furto di bestiame.

Il vice PM Etiope Demeke Mekonnen, ©Wikipedia

Dopo gli scontri avvenuti a Metekel, nella zona di Benishangul-Gumuz, il vice primo ministro Demeke Mekonnen osservava come “per i residenti locali, organizzarsi e armarsi con le armi necessarie e sviluppare una propria capacità di difendersi fosse l’unica opzione”.

Una frase che ha suonato come una chiamata alle armi per la rivendicazione di territori considerati di proprietà. Da li, il moltiplicarsi di scontri nei distretti di Guto Gita, di Gida Ayana, ad Andar Dalle, Lugo, nel distretto di Gudeya Bila e di Nonno.

Secondo Alemayehu Tesfa, amministratore della zona dell’East Wellega, ad oggi sono 197000 i cittadini sfollati dalle proprie abitazioni o fuggiti per paura di scontri armati.  Ahmara, oromo, gumuz o shinashas, l’appartenenza etnica non sembra arrestare il flusso sempre più consistente di atrocità che sconvolge la regione.

Miliziani dell’OLA con un discreto numero di armi catturate alle milizie Fano dopo un attacco ©Twitter

Nonostante le parti in causa si rimpallassero le responsabilità, in un primo tempo l’obiettivo principale del governo di Addis Abeba è stato l’OLA. LA sua presenza ha determinato una risposta energica, lasciando spazio di azione alle milizie Fano. Con la dichiarazione della tregua nel Tigray dello scorso Marzo, la stessa sorte sembrerebbe toccare alle milizie Fano, che come abbiamo riportato sono oggi nell’occhio del ciclone.

Il mese di Marzo ha visto che la firma di un accordo tra i governi delle due regioni, con l’obiettivo di sgominare l’OLA ed il TPLF e riportare la pace nella zone contese di confine. Un tentativo di sgombrare il campo dalle forze più estremiste e dalle istanze di origine etnica che hanno caratterizzato gli scontri fino ad oggi.

Ma sappiamo che ben 396 villaggi dell’Oromia sono ancor oggi in mano all’OLA, per stessa ammissione di un membro del parlamento alla Camera dei rappresentanti del popolo.

Sebbene il governo eserciti legittimamente il proprio potere nel tentativo di contenere o eliminare le forze più estremistiche di carattere etnico-regionale ed aumenti gli sforzi in tal senso, la persistenza dell’insicurezza, una narrazione delle parti a fini propagandistici e la presenza massiccia di armi non creeranno il terreno adatto alla distensione ed alla pacificazione, ma saranno la cartina di tornasole di una violenza in rapido crescendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

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