Il vice primo ministro etiope Demeke Mekonnen ha dichiarato che devono essere fatti controlli più severi sul già poco materiale umanitario destinato ai più di 6 milioni di etiopi in Tigray.
Il 24 marzo 2022 ha dichiarato “una tregua umanitaria a tempo indeterminato con effetto immediato”, ma purtroppo non è stato raggiunto il target del 90% dei 6 milioni di tigrini bisognosi ed in attesa di supporto alimentare e sanitario. Stime delle agenzie internazionali parlano del solo 8% raggiunti una tantum. Prima di marzo 2022 il Tigray non ha ricevuto materiale salvavita, una situazione che le Nazioni Unite hanno definito un blocco all’accesso umanitario “de facto”. I 100 camion al giorno stimati dall’UNOCHA per trasportare il materiale non è stato rispettato ed in 2 mesi di “tregua umanitaria” hanno avuto accesso meno di un migliaio di camion. Una goccia nel mare.
In tutto questo e fin dall’inizio della guerra avvenuta il 3 novembre 2020, c’è stato il rimpallo di responsabilità tra gli attori in gioco, il governo centrale etiope e il TPLF denunciato dallo stesso governo come gruppo terroristico. Da perseguire come tutti i suoi sostenitori. Mentre i milioni di civili sono stati presi in mezzo vivendo nel limbo tra vita e morte, in un Tigray occupato e sotto assedio medievale, isolato dal mondo. Le zone rurali, quasi la totalità del territorio del Tigray, se già erano difficoltose da raggiungere prima, dopo il conflitto sono state rese inaccessibili: a livello di viabilità le strade ed aree bloccate dai vari ceckpoint militari presieduti dall’esercito federale etiope ma anche dagli alleati eritrei, a livello di percorrenza dalle agenzie umanitarie e sanitarie in loco per mancanza anche di carburante per muoversi con i mezzi di soccorso.
Il vice ministro Demeke ha chiesto controlli sul materiale poiché ha accusato le agenzie umanitarie di fornire attrezzature vietate che potrebbero essere utilizzate dai ribelli, dai partigiani del TDF Tigray Liberation Front. Ha anche dichiarato che le agenzie abbiano offerto più carburante di quanto consentito attualmente.
Il vice ministro Mekonnen ha dichiarato:
“Ho notato che ci sono sforzi per trasportare più carburante di quanto consentito e alcune attrezzature vietate che possono essere utilizzate per realizzare gli obiettivi del gruppo terroristico.”
Per quanto riguarda il carburante una smentita proviene dalle prese di posizione di diverse fonti autorevoli in loco, come la recente chiusura dell’ Ospedale Ayder a Mekelle e un altro ad Adigrat: due delle strutture più attive che fornivano supporto a decine di migliaia di persone, per l’Ayder anche dalle regioni vicine Amhara e Afar. Tra le cause della loro chiusura la mancanza di ossigeno, medicinali da banco o prodotti medicali (mesi fa su Focus On Africa avevamo documentato che stavano anche riciclando i guanti chirurgici, lavandoli e mettendoli ad asciugare: questo per far capire con un esempio diretto la gravità della catastrofe umanitaria in atto) Si aggiunge anche la mancanza di carburante per mantenere quelli che sono i gruppi elettrogeni che servono per la fornitura di corrente elettrica.
Demeke, che stava parlando durante una visita nella regione nord-occidentale di Afar, dove i convogli di aiuti partono per il vicino Tigray, non ha specificato che tipo di equipaggiamento fosse coinvolto come vietato, ma ha sottolineato:
“Gli sforzi della commissione doganale e di altre entità per garantire il controllo e la sorveglianza delle apparecchiature vietate dovrebbero essere potenziati.”
L’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite OCHA ha dichiarato la scorsa settimana che mentre il carburante per le operazioni umanitarie è stato consentito nel Tigray negli ultimi due mesi, ma il volume era insufficiente e le riserve erano a livelli bassi.
“I partner per il supporto alimentare, ad esempio, hanno bisogno di circa 24.000 litri di carburante per inviare le forniture nutrizionali disponibili, compreso il latte terapeutico salvavita e cibi terapeutici e supplementari pronti per l’uso, a circa 240 strutture sanitarie in tutta la regione”, ha affermato nel suo ultimo aggiornamento pubblicato su venerdì 3 giugno.
Per la catastrofe umanitaria in atto, come definita recentemente da Samantha Power, direttrice dell’ USAID, arriva lo smacco delle dichiarazioni del vice ministro etiope. Oltre alle parole che instillano il sospetto sull’operato e la missione di supporto alla vita delle agenzie umanitarie per milioni di persone del nord Etiopia, le stesse dichiarazioni rischiano di rallentare, se non bloccare nuovamente e totalmente, l’accesso dei convogli con cibo, medicinali e carburante in Tigray. Regione in cui, oltre ad essere assediata e confinata a se stessa, non sono attive per i cittadini le linee telefoniche e nemmeno i conti correnti ancora bloccati da ormai 19 mesi. Durante questo periodo sono state saccheggiate, distrutte e rese non operative l’80% delle strutture sanitarie ed ospedali del Tigray: attività distruttive giudicabili come crimini di guerra. Oggi gli strascichi di quella guerra ha portato alla mancanza di materiale e di accesso, rincarato dall’ostruzionismo di una politica che, almeno nelle sue parole, dimostra la tendenza a rallentare le attività umanitarie.