Il 7 settembre 2014, sette anni fa, tre suore italiane furono assassinate a Bujumbura, in Burundi. Si chiamavano Lucia Pulici, Olga Raschietti e Bernardetta Boggian; si trovavano tutte nel Paese africano da anni, lavorando in una delle zone più povere e difficili di quell’area, nella casa parrocchiale di San Guido Maria Conforti, accanto al Centre Jeunes Kamenge, un luogo animato da missionari saveriani in cui si prova a costruire convivenza nella turbolenta periferia nord della principale città burundese.
Suor Lucia Pulici (75 anni) era originaria di Desio, nel milanese, e aveva festeggiato nel luglio precedente i 50 anni di vita nella congregazione religiosa; era partita a 21 anni per il Brasile, poi per l’Amazzonia e successivamente si era spostata nello Zaire (oggi RDCongo), fino ad arrivare nel 2007 in Burundi, operando sempre come ostetrica e infermiera. Suor Olga Raschietti (83 anni) era di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, ed era entrata nell’ordine a 22 anni. Infine, suor Bernadetta Boggian (79 anni)proveniva da Ospedaletto Euganeo (Padova) e nell’agosto del 2013, rientrando in Burundi, scrisse: “A questo punto del mio cammino, continuo il mio servizio ai fratelli africani, cercando di vivere con amore, semplicità e gioia”.
Le tre Saveriane di Maria avevano sede stabile a Parma, dove di tanto in tanto tornavano per curarsi e per portare la loro esperienza e testimonianza, raccontando la loro vita in Africa al fianco dei bisognosi. In una delle sue ultime dichiarazioni pubbliche, il 1° ottobre 2013 mentre era in partenza da Parma per Bujumbura, suor Lucia disse: “Sto tornando in Burundi, alla mia età e con un fisico debole e limitato, che non mi permette più di correre giorno e notte come prima. Interiormente però credo di poter dire che lo slancio e il desiderio di essere fedele all’amore di Gesù per me concretizzandolo nella missione è sempre vivo”.
All’indomani dell’eccidio delle tre religiose, era stato arrestato Christian Butoyi, un uomo del quartiere con problemi mentali, “reo confesso”, perché riteneva che le suore avessero occupato la sua proprietà, ma nella cui colpevolezza in pochi avevano creduto, considerato come un capro espiatorio per mettere a tacere i clamori. Dubbi erano stati sollevati anche sulla ricostruzione dei fatti, secondo cui degli uomini armati vestiti da poliziotti erano penetrati nell’abitazione delle religiose, uccidendo nel primo pomeriggio Lucia e Olga, e in nottata Bernardetta, la superiora.Dopo sei mesi dalla strage, un testimone anonimo rivelò a “Radio Publique Africaine” che tra i mandanti dell’omicidio ci sarebbe stato Adolphe Nshimirimana, all’epoca capo dei servizi segreti, ma dopo pochi giorni, il 20 gennaio 2015, il direttore dell’emittente, Bob Rugurika, fu arrestato con l’accusa di proteggere un assassino, poiché il giornalista rifiutò di rivelare la fonte, per cui le indagini si arenarono. Secondo quella fonte, le vittime sarebbero state pronte a denunciare l’importazione illegale di farmaci e minerali preziosi (oro e diamanti provenienti in Burundi dalla confinante RDC, in particolare dalla provincia del Sud Kivu), nonché l’esistenza di truppe paramilitari del partito al potere, gli Imbonerakure.
Le accuse che riguardavano Nshimirimana, proprietario di un ospedale nel quartiere, si basavano soprattutto sull’importazione di farmaci, dei quali l’allora capo dei servizi avrebbe omesso il pagamento delle tasse doganali, facendo passare i suoi carichi come destinati al dispensario parrocchiale di cui facevano parte le tre missionarie. Secondo la fonte, quegli abusi sarebbero stati tollerati male dalle tre religiose, pronte a denunciare i fatti, dacché la loro condanna a morte.
Da allora, nessuno è stato indagato, processato e condannato: suor Lucia, suor Olga e suor Bernardetta non hanno mai avuto giustizia e il governo del Burundi non ha mai effettuato, né voluto un’indagine imparziale che cercasse la verità e la giustizia per le tre vittime.