Skip to content

Sudan, UNHCR accusata di pessima gestione umanitaria. A rischio profughi dal Tigray

Mercoledì 7 luglio Philip Kleinfeld ha pubblicato su The New Humanitarian un’inchiesta sull’assistenza dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Profughi (UNHCR) rivolta ai profughi dal Tigray raccolti nei campi allestiti in Sudan. L’inchiesta rivela enormi deficienze e sprechi che impediscono un’assistenza umanitaria di qualità e dignitosa. Molti profughi hanno preferito ritornare in Tigray nonostante il conflitto in corso che vivere in situazioni disumane nei campi profughi allestiti da UNHCR.
La fonte della notizia è autorevole. The New Humanitarian è una piattaforma di giornalisti professionali che si occupa di tematiche umanitarie che analizza le cause dei conflitti e disastri naturali e la risposta umanitaria, monitorando l’operato delle Agenzie ONU e ONG internazionali. Un servizio informativo indirizzato ai governi e alle ONG critico e costruttivo ben lontano da piattaforme simili che di fatto sono semplicemente una gran cassa autocelebrativa per la propaganda del business umanitario come possono essere la piattaforma francese “Coordination Sud Sud” o quella italiana “InfoCooperazione”.
L’inchiesta è stata ignorata dalla stampa italiana in quanto tocca punti dolenti del mondo umanitario che di solito i nostri media tendono ad ignorare offrendo volontariamente o meno una coltre di omertà al settore che impedisce l’informazione corretta tesa a risolvere problemi e le “devianze” all’interno delle ONG e delle agenzie umanitarie.
L’inchiesta scatta dopo che The New Humanitarian è venuto a conoscenza di una lettera ufficiale dei principali donatori di UNHCR sulla sua gestione dei campi profughi in Sudan per gli etiopi in fuga dal Tigray. Indirizzata all’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’UNHCR, la lettera di tre pagine datata 17 giugno accusa l’organizzazione di mancanza di leadership e di non aver reagito agli avvertimenti dei donatori in merito a lacune e ritardi nella fornitura di aiuti nei campi. I firmatari hanno chiesto all’UNHCR di apportare miglioramenti immediati in vista dell’imminente stagione delle piogge
La lettera accusa che a quasi otto mesi dall’inizio della risposta, i rifugiati non dispongono di strutture sanitarie sicure e dignitose; non hanno accesso sufficiente ai servizi sanitari; e sono a corto di combustibile per cucinare e mulini per la macinazione necessaria per elaborare le provviste di cibo.
La mancanza di servizi ha esposto i residenti del campo al rischio di tratta, reclutamento armato e violenza sessuale, secondo la lettera, che descrive la situazione come in una fase in cui “la sicurezza, e la dignità dei rifugiati sono a grave rischio e si rischia di perdere delle vite”.
La lettera è firmata dai donatori di Canada, Stati Uniti, Germania, Norvegia, Regno Unito e Unione Europea. Grande assente l’Italia, nonostante che nel 2020 il nostro Paese è stato il 19simo donatore di UNHCR con 37,5 milioni di euro. Un’assenza forse dovuta dalla necessità di mettersi al riparto da ulteriori scandali riguardanti la cooperazione internazionale. Nel 2019 l’Italia è stata al centro di una inchiesta sulla gestione multilaterale (Governo – Agenzie ONU) del “Fondo per l’Africa” istituito con la legge di bilancio 2017.
Con una dotazione finanziaria di 200 milioni di euro, aggiuntivi a quelli previsti per le attività ordinarie di cooperazione allo sviluppo, il Fondo per l’Africa ha come obiettivo “avviare interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani di importanza prioritaria per le rotte migratorie”. L’inchiesta, a cura di Angela Gennaro fu pubblicata nel novembre 2019 su Open.online (piattaforma informativa promossa dal giornalista Mentana) e riguardava la gestione “opaca” a favore di Libia e Ruanda. Un’inchiesta ignorata dai grandi media nazionali come scelta consona al clima di autocensura imperante all’interno del servizio informativo italiano.
Gli operatori umanitari contattati al The New Humanitarian, hanno affermato che l’insolita lettera è la prova di mesi di frustrazione e che sembra aver suscitato una nuova urgenza nell’operazione delle Nazioni Unite nei campi.
Tre alti funzionari degli aiuti che lavorano nei campi che hanno parlato con The New Humanitarian nelle ultime due settimane hanno descritto la risposta come la peggiore che avessero visto nella loro carriera. Entrambi i funzionari hanno affermato di essere a conoscenza della lettera del donatore, sebbene nessuno fosse disposto a essere nominato per preservare i rapporti di lavoro con l’UNHCR e i donatori.
Assadullah Nasrullah, portavoce dell’UNHCR in Sudan, ha affermato che l’agenzia ha risposto alle lamentele dei donatori, riconoscendo le sfide, spiegando i progressi che afferma di aver compiuto e fornendo informazioni sui piani per rafforzare la risposta. “Prendiamo molto sul serio tutti i feedback e le critiche al nostro lavoro e non stiamo risparmiando sforzi per aiutare e proteggere i rifugiati, anche in circostanze difficili”, ha assicurato Nasrullah, descrivendo l’afflusso di rifugiati da novembre come “massiccio e inaspettato”.
Secondo l’UNHCR, circa 4.000 dei 50.000 rifugi in due campi ufficiali in cui vivono i rifugiati sono stati danneggiati nelle ultime settimane a causa di forti tempeste. I donatori considerano le cifre date da UNHCR come delle volute e premeditate sottostime. Per giustificarsi del fatto che vari campi profughi ospitanti rifugiati dal Tigray sono stati inondati dalle recenti forti piogge, UNHCR ha tentato di addossare la colpa al governo sudanese. “Il governo sudanese è responsabile della scelta dei luoghi ove erigere i campi profughi. In questo caso il governo non ha ascoltato i rischi meteorologici e ambientati segnalati da UNHCR” afferma Nasrullah.
Alcuni funzionari UNHCR a titolo di anonimato hanno riferito una versione diversa, affermando che i responsabili UNHCR in Sudan dovevano fare di più per convincere il governo a selezionare campi alternativi. Hanno inoltre informato che gli studi relativi alla ubicazione dei campi non sono mai stati portati a termine da UNHCR, privando così il governo sudanese di documentazione scientifica per la ricollocazione dei campi in aree non soggette a calamità naturali. “C’era fretta di trovare i posti per costruire i campi. UNHCR ha accettato molto rapidamente le proposte iniziali del governo sudanese senza analizzarle”, ha detto uno dei tre funzionari umanitari che ha parlato con The New Humanitarian.
Circa 50.000 rifugiati vivono nei due campi, precedentemente utilizzati dagli etiopi in fuga dalla carestia negli anni ’80. Altri 8.500 si sono rifugiati nei centri di transito vicino al confine con l’Etiopia. Il governo sudanese ha concesso asilo a coloro che hanno attraversato il confine, mentre l’UNHCR ha svolto un ruolo di primo piano nell’allestimento dei campi, fornendo cibo, assistenza sanitaria, acqua pulita e servizi igienico-sanitari insieme a circa 40 altri enti governativi locali, ONG e Nazioni Unite agenzie.
Secondo l’inchiesta del The New Humanitarian l’assistenza ai rifugiati dal Tigray era ben finanziata nonostante che fosse considerata un’operazione su scala relativamente piccola e temporaneamente limitata. All’epoca i paesi donatori erano convinti che il conflitto in Tigray dovesse durare pochi mesi come promesso dal Premier etiope.
I paesi donatori, non si sono tirati indietro quando il conflitto è durato oltre alle iniziali rosee previsioni. Dal novembre 2020 al giugno 2021 i donors hanno garantito a UNHCR 91 milioni di dollari e si apprestano a mettere a disposizione il resto del finanziamento richiesto da UNHCR pari ad un totale complessivo di 182 milioni di dollari.
La copertura finanziaria è stata considerata da esperti amministrativi del settore più che sufficiente per permettere a UNHCR di offrire un’assistenza umanitaria eccellente. I donatori si sono progressivamente concentrati sull’assistenza ai profughi in Sudan a causa degli ostacoli e boicottaggi del governo etiope nel fornire assistenza all’interno del Tigray. Un boicottaggio che dura tuttora nonostante che centinaia di migliaia di persone attualmente affrontano la carestia nel Tigray e quasi due milioni sono state sfollate dalle loro case.
Gli esperti del settore fanno anche notare che il flusso di rifugiati dal Tigray non è stato improvviso. Non si è assistito ad una massa di disperati improvvisamente riversatasi in Sudan ma ad un flusso regolare e giornaliero che permetteva a UNHCR una risposta graduale e di aver tutto il tempo per scegliere una ubicazione dei campi al riparo dei rischi atmosferici. Gli esperti non riescono a comprendere la natura delle “gravi difficoltà logistiche” menzionate dal portavoce UNHCR in Sudan a titolo di scusa per poter ribattere alle accuse rivolte.
Mentre i donatori incolpano esclusivamente UNHCR accusandola di non essere riuscita a garantire una assistenza e un personale espatriato di alto livello, i tre funzionari contattati dal The New Humanitarian affermano che l’UNHCR non è l’unica organizzazione che dovrebbe essere incolpata per i problemi che sono sorti. La responsabilità dovrebbe essere condivisa con le ONG internazionali e le Agenzie Statali di Cooperazione (tra cui AICS anche se non esplicitamente nominata) che collaborano con UNHCR.
I donatori insistono molto sulla bassa qualità degli esperti UNHCR nonostante i loro stratosferici stipendi. Questa bassa qualità del personale UNHCR ha portato a ritardi nella costruzione del campo e nell’implementazione dei servizi di base. Secondo le indagini dei donatori il personale UNHCR predisposto a supervisionare i lavori di costruzione affidati agli appaltatori spesso non erano sul posto e non prendevano decisioni gestionali dinnanzi ad eventuali problemi.
Ma la pessima assistenza ai rifugiati dal Tigray non si limita ad una scelta geografica sbagliata dei campi e alle loro povere ed insufficienti infrastrutture. UNHCR ha assistito senza muovere un dito alla nascita di un traffico di esseri umani organizzato da mafie locali sudanesi e libiche che convincevano i profughi tigrini a tentare la via libica per raggiungere l’Europa facendoli passare come profughi politici dall’Eritrea.
Sebbene l’UNHCR disponga di squadre di protezione sul campo, il primo funzionario anonimo che ha parlato con The New Humanitarian ha affermato che queste squadre hanno concentrato i loro sforzi sull’identificazione di gruppi vulnerabili che necessitano di servizi speciali, trascurando questioni di sicurezza più ampie come il traffico di esseri umani. In più di un’occasione, ha detto il funzionario, sono comparsi camion a metà giornata per portare via le persone dai campi verso quella che si presume sia la Libia. Nonostante il funzionario abbia lanciato l’allarme, non c’è stata “nessuna risposta in termini di riduzione di questi rischi e minacce”.
Un’accusa rigettata da UNHCR. Il portavoce Nasrullah ha affermato che nei campi e in altre parti del Sudan orientale sono in corso campagne di informazione per evidenziare i rischi del contrabbando e della tratta di esseri umani ma non è stato in grado di confermare se qualche profugo avesse tentato il viaggio verso l’Europa attraverso la Libia.
I donors lanciano anche l’accusa di non aver impedito violenze sessuali e prostituzione. Accusa confermata dagli esperti UNHCR contattati dal The New Humanitarian che hanno definito gli sforzi per evitare le violenze sessuali “minimi e inadeguati”.
“La situazione è peggiorata dopo le recenti tempeste che hanno distrutto parte delle infrastrutture dei campi profughi. Le donne, in particolare le madri single, sono state costrette a ricorrere alla prostituzione per ottenere un nuovo riparo o del denaro. I beneficiari della prostituzione erano anche gli agenti umanitari e il servizio di sicurezza sudanese operanti nei campi profughi. Non abbiamo mai visto una risposta umanitaria con così poco rispetto per la dignità umana” affermano gli esperti UNHCR contattati.
Anche le informazioni rivolte ai rifugiati sarebbero state scarse sin dall’inizio. Ci sono anche troppo pochi helpdesk e punti di informazione nei campi e nei centri di transito che aiuterebbero i rifugiati a sapere cosa fare se hanno bisogno di un determinato servizio o hanno un problema o un reclamo, hanno spiegato gli esperti interpellati. Altra accusa respinta da UNHCR.
UNHCR avrebbe anche scoraggiato se non impedito una risposta umanitaria adeguata presso i siti di transito vicino al confine in quanto esigeva il trasferimento di rifugiati bisognosi di cure e di contenimento psicologico dei traumi causati dal conflitto, entro 72 ore dal loro arrivo. La risposta umanitaria presso i siti di transito è rimasta inadeguata anche quando UNHCR ha fallito il trasferimento in tempi brevi dei profughi in campi più attrezzati. Migliaia di etiopi sono attualmente intrappolati in questi campi provvisori senza ricevere una assistenza adeguata.
La lettera indirizzata a UNHCR dai principali donatori (Italia auto esclusasi) non era la prima. Lo scorso gennaio, a distanza di meno di tre mesi dalla crisi umanitaria i donatori avevano già indirizzato critiche a UNHCR richiedendo un’assistenza migliore e una pianificazione adeguata per la mitigazione delle inondazioni nei campi profughi.
L’UNHCR aveva risposto due mesi dopo (in una lettera del 22 marzo), descrivendo in dettaglio i suoi sforzi per aumentare i servizi idrici, igienico-sanitari e igienico-sanitari, lanciare piani di preparazione alle inondazioni e mobilitare esperti di protezione dal suo ufficio regionale e dalla sua sede. Sforzi evidentemente inadeguati visto che tutti i campi profughi in Sudan per gli etiopi ora sono alla mercé delle inondazioni causate dalle ultime forti piogge.
Con la vittoria riportata dal TDF in Tigray, molti profughi hanno espresso il desiderio di ritornare in Etiopia anche per via delle disumane condizioni che sono costretti a vivere in Sudan. UNHCR, secondo nostre fonti, cerca di scoraggiarli a ritornare. Abbiamo contattato un esperto italiano di emergenza e cooperazione per sentire il suo parere.
“UNHCR si trova in una seria problematica a causa della vittoria riportata dal TPLF in Tigray. Si rischia che i profughi etiopi svuotino i campi per ritornare alle loro case. Questo significherebbe la perdita della seconda tranche di 91 milioni di dollari. Per questa ragione l’agenzia ONU tenta di convincere i profughi etiopi a rimanere” ci spiega l’esperto contattato che ci fornisce una spiegazione sul fatto che le ONG che collaborano con UNHCR in Sudan abbiano assunto un atteggiamento di omertà.
“I rapporti tra ONG e UNHCR sono regolati dai finanziamenti dei governi. Ogni paese finanziatore obbliga UNHCR a coinvolgere le proprie ONG nella realizzazione dei progetti di assistenza umanitaria. UNHCR ha trasformato questa collaborazione in un subappalto dove le ONG fanno il lavoro di gestione campi mentre UNHCR gestisce i fondi ricevuti spendendone oltre il 60% in costi di personale e costi logistici – amministrativi inerenti alle sole strutture UNHCR, non i campi.
Le ONG internazionali, pur lamentandosi in camera caritatis accettano questa situazione in quanto non desiderano veder sfumare queste possibilità di entrate dei finanziamenti di subappalto di UNHCR o altre Agenzie ONU. A titolo di esempio vi è una nota ONG Italiana che ha visto diminuire considerevolmente i fondi della AICS e della Unione Europea a causa di interventi opachi. Ora la maggioranza delle sue entrate proviene da subappalti garantiti da Agenzie ONU. Di certo non la migliore condizione per avanzare critiche al finanziatore.
Vi è inoltre da considerare l’opportunismo personale di molti giovani operatori umanitari ingaggiati dalle ONG. Questi operatori sognano una carriera brillante all’interno delle Nazioni Unite e non si azzardano a sollevare critiche a UNHCR, UNICEF e altre Agenzie. Il loro obiettivo è quello di entrare nelle simpatie dei dirigenti ONU nella speranza di essere un giorno notati e reclutati. Il dovere morale di assistere a immigrati e profughi diventa in questo contesto un fattore secondario”.

Torna su