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PHOTO/REUTERS - File photo. Members of the Wagner Group in 2014

Sudan: la Wagner, l’estrazione dell’oro e il ruolo delle RSF

Sin dalle prime ore degli scontri tra le forze dell’esercito sudanese (SAF) comandate dal generale Abdel Fattah Al Burhan e le RSF (forze di pronto intervento) sotto il comando del generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemeti, le voci sul diretto coinvolgimento sul campo dei mercenari della Wagner si sono fatte sempre più insistenti.

PHOTO/REUTERS - File photo. Members of the Wagner Group in 2014
PHOTO/REUTERS – File photo. Members of the Wagner Group in 2014

La presenza di uomini della Wagner PMC, la compagnia russa, un vero e proprio secondo esercito a disposizione del Cremlino, è piuttosto nota nel paese. Stando però a quanto di nostra conoscenza, non avrebbe svolto il ruolo di regista occulto del colpo di stato pur contribuendo in maniera strutturale alla destabilizzazione del paese attraverso lo sfruttamento delle risorse del paese, legami strategici con gli attori che oggi combattono sul campo.

Per non cadere in errore, osservando e raccontando ciò che accade in Sudan attraverso una visione polarizzata e distorta come quella occidentale (complice anche la guerra in Ucraina), dobbiamo ricostruire alcune vicende, cercando di rimanere ai fatti (che danno la Wagner presente nel paese, coinvolta in numerosi interessi finanziari, collusa con una parte del potere) evitando di riproporre una narrazione superficiale e piuttosto comune che darebbe la Wagner come Deus ex machina dietro al conflitto.

La Wagner PMC infatti, controlla da tempo alcuni siti minerari per l’estrazione dell’oro, soprattutto nel Darfur, attraverso una serie di società di loro diretta dipendenza attraverso le quali rivenderebbero il metallo prezioso all’estero, in gran parte alla Russia. Alla sicurezza di questi siti ha provveduto fino ad oggi lo stesso Mohamed Hamdan Dagalo, che sappiamo aver accumulato enormi ricchezze divenendo uno degli uomini più ricchi del paese.

Il petrolio, la costa sudanese e la base militare

Port Sudan
Port Sudan
Ph. Credit: Port Technology International.

E’ il 2012 e il paese è in piena crisi economica. La frattura con il Sud Sudan avvenuta l’anno prima, ha portato via il 75% circa della produzione di petrolio fino ad allora ascrivibile al Sudan. Vedremo come anche questa vicenda, che all’inizio ha consistito in un infausto svantaggio, si è trasformato in una grande opportunità per la Russia; il vicino Sud Sudan infatti non possiede oleodotti e infrastrutture petrolifere per commercializzare il prodotto del suo ricchissimo suolo. Da qui la richiesta russa di poter costruire due raffinerie nel paese e di poter sfruttare la costa sudanese.

Nel contempo e a più riprese, tra i due paesi si sono tenuti colloqui sulla costruzione di una base navale militare russa sulla costa. Sia il Ministro degli esteri Lavrov, sia Al Bhuran prima e Hemeti dopo hanno confermato di aver avviato un negoziato per la costruzione di un hub logistico per la marina russa a Port Sudan.

I russi hanno atteso invano che l’accordo informale si concretizzasse in un contratto, ma le tempistiche hanno giocato sporco per il Cremlino.

In prima battuta infatti Al Buhran chiese del tempo affinché si instaurasse nel paese un governo civile in grado di portare il negoziato in parlamento. Al netto delle rassicurazioni espresse da Hemeti ai russi, oggi, alla luce di ciò che accade nel paese, il percorso appare piuttosto incerto (non solo nelle tempistiche).

L’hub militare avrebbe per Mosca una serie di risvolti davvero importanti, sia di carattere strategico militare che di carattere logistico e commerciale. L’Africa è la grande opera teatrale nella quale i vari attori si cimentano e si scontrano, nella quale mettono in mostra tutti i loro numeri e la Russia non vuol essere da meno, specialmente in un momento nel quale, complice l’invasione dell’Ucraina, è messa all’angolo dalle sanzioni e da una congiuntura internazionale non proprio favorevole.

Mosca sa perfettamente che una presenza stabile nel Corno d’Africa significherebbe dire al resto degli attori internazionali di esserci, di essere ancora una potenza politica e militare.

Controllerebbe un tratto di mare attraverso il quale transita il 12% del commercio mondiale, l’8% del gas naturale liquefatto e circa un milione di barili di petrolio al giorno. Potrebbe continuare inoltre a curare i molteplici interessi che ha nel continente.

Sa, inoltre, quanto avere una base di appoggio a metà strada tra Mediterraneo e Oceano indiano, tra Occidente, Africa, Medio Oriente ed Asia potrebbe far comodo alla sua flotta, alle prese

L’estrazione dell’oro e la politica interna.

A Jabal Amir nel Darfur settentrionale vengono scoperti enormi giacimenti di oro che hanno cambiato la vita di alcuni (compresa quella dell’odierno generale) e rovinato tristemente quelle di migliaia di giovani, riversatisi in questo angolo remoto alla ricerca di fortuna, morti a migliaia a causa dei cedimenti delle miniere (molto frequenti), per le durissime condizioni di lavoro e per l’arsenico utilizzato nella fase di lavaggio dell’oro.

Il presidente russo Vladimir Putin e il presidente sudanese Omar al-Bashir.Credit: Sergey Mamontov per Sputnik via AP Images.

La prima volta che ufficialmente Wagner mette i piedi in Sudan è nel 2017. Al Bashir si reca in Russia, alla ricerca di appoggio politico e supporto economico e militare; in cambio delle richieste promette importanti opportunità economiche al Cremlino. A Sochi nel 2017, Al Bashir e Putin siglano un patto di ferro.

Dopo pochi mesi da quel viaggio la Meroe Gold, una società mineraria appena costituita di proprietà della società russa M Invest mette i piedi nel paese, che ricordiamo essere il terzo produttore africano di oro.

Lo fa nella maniera più usuale, attraverso l’invio di un numero sempre crescente di esperti.

Nel 2020 gli Usa accusano pubblicamente la M Invest di essere una società di copertura della Wagner PMC, che la utilizzerebbe appunto per l’estrazione dell’oro nel Darfur. Gli Usa emettono sanzioni contro la Meroe Gold, la sua controllata M Invest e contro i suoi capi, Andrei Mandel e Mikhaul Potekpin. Secondo il Dipartimento del Tesoro americano le aziende avrebbero aiutato Prigozhin a effettuare transazioni in dollari superiori a 7,5 milioni.

Sudanese demonstrators in the capital Khartoum.
Credit: Getty Images

Secondo alcuni analisti, vi sarebbe stato un momento in cui la Wagner avrebbe fatto il salto di qualità, ponendosi da attore a tutela dei propri interessi commerciale a protagonista a fianco del potere e ciò sarebbe avvenuto durante le sollevazioni popolari del 2019 contro Al Bashir, a fianco di quest’ultimo per reprimere le proteste in atto in tutto il paese.

Sappiamo che uomini della Wagner avrebbero non solo affiancato gli uomini dei servizi ma anche addestrato le stesse forze per alcuni mesi. Non sappiamo il numero certo delle forze presenti nel paese, ma si stima una forza di circa 200 uomini.

Secondo Samuel Ramani, autore del libro “Russia in Africa: Resurgent Great Power or Bellicose Pretender?” subito dopo la caduta di Al Bashir, il capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin, avrebbe tentato di accreditarsi presso il nuovo Consiglio sovrano, dicendosi pronto a sostenere il nuovo Sudan al cui comando era asceso Abdel Fattah Al Burhan.

Ma è il 2019 ed i servizi di sicurezza nazionale sopprimono nel sangue le proteste popolari, incarcerano vari esponenti dei Comitati locali di resistenza e delle Forze per la libertà e il cambiamento. Il Consiglio sovrano vuole che si faccia un passo indietro e si torni ad una fase di transizione pacifica. La Wagner quindi viene riportata ad essere una mera garante dei propri interessi commerciali e guardiana dei siti minerari di propria gestione.

E’ questo il momento che avviene l’avvicinamento alle RSF? Secondo Samuel Ramani è il momento della svolta. Alle RSF viene affidata la sicurezza dei siti di estrazione e alle RSF verrebbero affidate le rotte per il commercio di oro che in una sorta di triangolazione, lo farebbero volare dal Sudan a Dubai e da qui in Russia.

Da queste operazioni per anni, fino a oggi, viene ricavate un enorme quantità di denaro che avrebbe contribuito a consolidare e finanziare la Wagner, in tutte le sue attività.

Arrivando a noi, tutto ciò vuol dire che la Wagner abbia uomini direttamente coinvolti nel conflitto (come accade in Ucraina per intenderci) a fianco delle RSF?

Fino a prova contraria no, al netto dei riscontri avuti fino ad ora, risulta insostenibile come tesi.

Sappiamo che nelle ultime ore la Wagner si è resa disponibile all’invio di un carico di sistemi missilistici antiaereo verso un aeroporto controllato dalle forze di reazione rapida, come rivela il Wall Street Journal e come riportato dal collega Omer Abdullah sulle pagine di questo giornale.

Sudan, dalla Wagner pronti sistemi missilistici anti-aerei per le RSF

Nelle ultime ore inoltre, la notizia della presa in ostaggio di alcuni mercenari russi a confine con la Repubblica Centroafricana, ha fatto sobbalzare dalla sedia tutti gli osservatori, salvo poi comprendere che i mercenari sono stati presi in ostaggio in prossimità di un sito di estrazione, avvalorando per ora ciò che abbiamo ricostruito.

Ufficialmente la Russia, attraverso il Ministero degli esteri, ha espresso grande preoccupazione per gli sviluppi della crisi e chiesto, insieme a Usa e Nazioni Unite, un cessate il fuoco immediato.

Certamente le notizie che giungono dal paese non fanno dormire sonni tranquilli né a Putin né a Prigozhin che attraverso un comunicato si è detto disponibile a mediare tra le due fazioni.

Il capo di #Wagner #EvgenijPrigožin via Telegram ieri sera si è offerto di mediare nella guerra in #Sudan. In quanto destinatario dei premi “Ordine della Repubblica” e “Ordine dei Due Nili”, è sempre pronto ad aiutare il paese.

 

 

 

 

 

 

 

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