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Sudan, tregua rotta. Nel quinto giorno di scontri salgono a 300 le vittime

La tregua in Sudan non ha superato la notte. Ormai si combatte una guerra civile e in migliaia stanno fuggendo dalla capitale #Khartoum per scampare ai combattimenti tra esercito e paramilitari, che hanno ucciso già 300 persone, con più di 2800 feriti: 30 le vittime solo nelle prime ore del quinto giorno di scontri.
Per capire fino in fondo cosa stia accadendo e la gravità del conflitto abbiamo stilato una serie di domande e risposte che ci auguriamo aiutino a fare chiarezza.

Cosa sta accadendo in Sudan?

Sabato 15 luglio le forze armate sudanesi rispondono a un tentativo di golpe nella capitale del Sudan, Khartoum, dove le milizie paramilitari hanno fatto arrivare propri mezzi e uomini in tenuta da guerra. Inizia uno scontro armato senza esclusioni di colpi sia su terra che via aerea con i bombardamenti dell’aviazione militare.

Cosa c’è dietro i combattimenti?

Gli scontri sono l’apice d un conflitto politico decisionale che vede protagonisti i due uomini forti al potere nel paese, il generale Abdel Fattah Al Burhan, comandante delle Forze armate sudanesi e capo del Consiglio Sovrano, attuale organo di governo in Sudan e il suo vice presidente, nonché leader delle Forze di supporto rapido, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemeti.

Quadro sono le origini del conflitto?

La lotta per il potere tra le due fazioni in conflitto, dopo l’iniziale accordo che nel 2019 ha portato con un colpo di stato alla caduta del presidente dittatore Omar al-Bashir, inizia quando viene disattesa la proposta di riforma delle forze di sicurezza.

Ma già nell’ottobre del 2021, quando con un nuovo golpe viene costretto alle dimissioni il primo ministro ed economista Abdalla Hamdok e di fatto fermato lo sforzo di transizione verso un governo democratico guidato da civili, iniziano i primi disaccordi e scambio di accuse. La  resa dei conti era dunque inevitabile con l’accrescere delle tensioni.

Quali sono gli elementi di maggior contrasto?

Ufficialmente l’elemento di deflagrazione del conflitto è stato il mancato assorbimento nelle Forze armate regolari sudanesi delle RSF, braccio armato del regime creato da Bashir per contrastare la ribellione nella regione del Darfur, iniziata nel 2003.

A pesare sull’immagine delle milizie, oltre i crimini perpetrati nella regione occidentale sudanese, è il massacro dei civili del sit-in pacifico che si stava svolgendo davanti al quartier generale della Difesa di Khartoum: furono uccise centinaia di persone.

Ma con il pesare dei mesi di transizione l’accordo di condivisione del potere con i civili, che avrebbe dovuto portare alle prime elezioni libere nel 2024, sono aumentate le divergenze di vedute tra i due leader della giunta militare che ha dovuto affrontare proteste settimanali e un rinnovato isolamento internazionale che ha aggravato i problemi economici del Paese. Hemeti ha definito il golpe contro Hamdok “un errore” e ha accusato Burhan di voler ripristinare il governo degli islamisti di Bashir.

Qual è la forza e le capacità di azione delle Rsf?

Le Forze di supporto rapido possono contare sulla solidità economica garantita da Hemeti, un’enorme ricchezza derivante dall’esportazione di oro dalle miniere illegali nel Darfur.

I ranghi dei suoi battaglioni

contano decine di migliaia di miliziani.

Qual è la situazione politica e la posizione della società civile?

La società civile non parteggia per nessuna delle parti in conflitto e porta avanti da mesi la richiesta di lasciare spazio a un governo di transizione senza presenza militare.

Questo, oltre a determinare la supervisione sul processo di integrazione delle Raf nelle forze armate regolari, comporterebbe il controllo delle consistenti  partecipazioni militari nell’agricoltura, nel commercio e in altre industrie, una fonte cruciale di potere per un esercito che ha spesso esternalizzato l’azione militare alle milizie regionali.

Un altro punto di contesa è la richiesta di giustizia per le accuse di crimini di guerra da parte dei militari e dei suoi alleati nel conflitto in Darfur dal 2003. Il tribunale penale internazionale ha avviato un processo e cha chiesto l’estradizione di Bashir che a oggi non è mai stata autorizzata nonostante la presente richiesta in tal senso della componente civile del Consiglio Sovrano.

Cosa c’è in gioco nella regione?

Il Sudan si trova in una regione volatile al confine con il Mar Rosso, la regione del Sahel e il Corno d’Africa. La sua posizione strategica e la ricchezza agricola hanno attirato interessi di altri attori regionali, complicando le possibilità di una transizione verso il governo civile.

Molti dei vicini del Sudan – tra cui Etiopia, Ciad e Sud Sudan – sono stati colpiti da sconvolgimenti politici e conflitti, e le relazioni del Sudan con l’Etiopia, in particolare, si sono inasprite a causa della contesa di alcuni terreni agricoli lungo il confine.

C’è inoltre la questione della Grande diga della Rinascita, che porterà a una deviazione delle acque del Nicole che penalizzerà fortemente sia il Sudan che l’Egitto.

Quali sono gli altri attori regionali?

A margine degli scontri in atto in Sudan sono in gioco anche importanti interessi geopolitici, con Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e altre potenze che si contendono l’influenza sul Sudan.

Da un lato Egitto e Arabia saudita che hanno supportato dal primo momento la transizione dopo la caduta di Bashir.

Loro, insieme agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, formano il “Quad”, che ha sponsorizzato la mediazione in Sudan insieme alle Nazioni Unite e all’Unione Africana. Russia e Cina hanno invece stretto legami con il numero 2 del Consiglio Sovrano, in particolare i russi sono presenti sul terreno del conflitto con i mercenari della Wagner, la società di contractor impegnata anche nella guerra in Ucraina che con le Rsf condivide la gestione dell’estrazione dell’oro dalle miniere del Darfur.

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