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RDCongo: intervista al direttore del Museo di Gungu, dalla cenere dell’incendio alla rinascita del futuro

Oltre un anno e mezzo fa, nella notte tra il 4 e il 5 novembre 2021, qualcuno appiccò il fuoco al Museo di Gungu “Art Secret Pende”, il più grande e importante museo privato della Repubblica Democratica del Congo, situato nella provincia di Kwilu, nell’ovest del Paese. La straordinaria collezione messa insieme in una vita di lavoro da Aristote Lwange Kibala consisteva in ben 25.000 opere, tra cui le famose maschere della tribù dei Pende, valutate complessivamente 15 milioni di dollari. Fu aperta un’inchiesta che escluse cause accidentali e che, pertanto, si concentrò sulla pista criminale, dal momento che la procura congolese rilevò che il sito era stato interamente ricoperto di benzina, prima di essere avvolto dalle fiamme. Ad oggi, però, non si è ancora giunti ad attribuire le responsabilità di quello che è definibile come un vero e proprio disastro culturale.

Dopo sei mesi dal rogo del Museo di Gungu, nel marzo 2022, il direttore Aristote Lwange Kibala fece sapere che erano stati recuperati o ricostituiti ben 7000 pezzi, ma allo stesso tempo denunciò l’abbandono che aveva subito da parte di istituzioni e enti nazionali e internazionali; era completamente solo, senza alcun sostegno da parte del governo congolese, né economico, né giudiziario.

Lo stesso può essere detto dell’informazione, che nell’immediato coprì la notizia, nell’ambito della cronaca violenta, ma poi rapidamente se ne disinteressò, lasciando cadere nell’oblio una vicenda drammatica non solo per chi ne era direttamente coinvolto sul piano personale e locale, ma soprattutto per chiunque abbia a cuore il valore della cultura e della storia come motori della convivenza sociale e della costruzione del futuro. Per queste ragioni, “Focus on Africa” ha voluto capire quale sia la situazione odierna, a metà 2023, di quel prezioso museo congolese, cosa resti di quell’immenso patrimonio culturale e cosa, eventualmente, sia stato possibile recuperare. Dopo una serie di ricerche e l’intermediazione del signor Giheta Kibala, figlio del direttore, che amministra un gruppo WhatsApp di amici legati al Museo di Gungu, il nostro magazine è riuscito a dialogare direttamente con Aristote Lwange Kibala, il quale ha gentilmente concesso una lunga e sentita intervista.

Il signor Aristote Lwange Kibala, Fondatore e Direttore del Museo di Gungu, durante una performance culturale.

L’incendio del novembre 2021 è stato drammatico, ma non ha cancellato completamente la vasta collezione del Museo di Gungu. Quante opere sono state recuperate finora?
Si è trattato di un incendio criminale appiccato da degli incivili, di notte: un evento estremamente doloroso e deprimente della storia culturale della RDCongo, in particolare, e del mondo, in generale. Per fortuna e con dedizione, abbiamo recuperato circa 10.000 pezzi metallici, mentre quelli in legno sono andati perduti, purtroppo.

Come sono state recuperate? Siete riusciti a restaurarle? O avete ricevuto donazioni da altri collezionisti d’arte?
Abbiamo scavato nelle ceneri e tutto quel che ne è emerso lo abbiamo restaurato: tutti i pezzi che siamo riusciti a recuperare sono stati puliti e curati al meglio possibile, ma nessun’altra opera è stata aggiunta: nessuno ci ha donato alcunché. Anzi, ad oggi abbiamo speso ben 22mila dollari americani per salvare e restaurare le opere recuperate dall’incendio.

Questo vi ha permesso di riaprire il museo?
Si, assolutamente, il Museo di Gungu è attualmente operativo, ma si trova in condizioni difficilissime, perché abbiamo dovuto riallestirlo all’interno della nostra abitazione familiare. Nonostante tutto, questo ci ha permesso di lanciare il nuovo progetto di riallestimento del Museo di Gungu, che oggi consta di 8000 opere, di cui il 90% è costituito da arte antica e il 10% da arte moderna.

Il museo di Gungu era il più importante museo privato della RDCongo. Avete ottenuto il sostegno delle istituzioni pubbliche (Stato, Provincia…) per la sua riabilitazione?
No! Io denuncio questa indifferenza da parte delle nostre istituzioni, sia nazionali che provinciali. Ovunque, anche da voi in Italia, ci sono delle aziende private ma di interesse pubblico che, dunque, vengono salvaguardate dallo Stato. Purtroppo, qui in RDCongo, dove noi viviamo, è il contrario. E non abbiamo ricevuto neanche sostegno da parte di altre realtà private, almeno fino ad oggi.

L’incendio ha fatto scalpore a livello internazionale, ma avete poi ricevuto il sostegno di istituzioni pubbliche e private straniere?
No, neanche loro: nessuno! Io sono un sinistrato abbandonato a me stesso. Nessuno ci ha aiutato in qualche modo concreto.

Per anni a Gungu è stato molto importante anche un festival culturale…
Sono stato il fondatore e l’organizzatore del Festival di Gungu, che è sempre stato una parte consistente delle attività del Museo. Oggi quella formula è difficile da riprodurre e, soprattutto, vi erano entrati interessi diversi da quello culturale, per cui, personalmente, continuo a organizzare delle giornate culturali di Gungu altamente partecipate e autentiche che sostituiscono il vecchio festival.

Cosa la ha ispirata, cosa la ha spinto a fondare nel 2008 il Museo di Gungu?
Ho fondato il Museo nel 1986, non nel 2008! Ad oggi, è un museo con 37 anni di vita! Si tratta di un’istituzione con enorme esperienza di livello nazionale e internazionale. Ad ispirarmi è stato l’Esprit de Brousse, lo Spirito della Boscaglia, perché conservassi il nostro patrimonio culturale, che minaccia di scomparire quasi totalmente.

I musei hanno sempre una duplice funzione: proteggere il patrimonio culturale e diffondere questa conoscenza, spesso nelle scuole. Il museo di Gungu ha lavorato con le scuole della RDCongo?
Si, certo! Il Museo diffonde il sapere alla gioventù e lo fa anche con materiale didattico pensato per le scuole e i ricercatori scientifici. Dinanzi alle opere, i bambini hanno capito l’importanza del museo, per cui hanno approfondito delle materie come la storia, l’archeologia, l’antropologia… I bambini non avevano molte competenze con la scienza, che è cominciata con la presenza degli esseri umani sulla Terra, ben conosciuta dall’età della pietra, poi con l’arte del vestiario e, via così, fino ai nostri giorni. Tra l’altro, le dico che 21 libri scritti da varie personalità del mondo citano il mio nome, Aristote Kibala, e quello del museo, ma sono stati bruciati nel rogo del novembre 2021, così come 17 trofei e 7 diplomi d’eccellenza e merito. Nonostante questo, noi non ci fermiamo e continuiamo a organizzare ancora degli incontri culturali di ogni tipo.

Infine, a che punto sono le indagini sui responsabili dell’incendio?
La vicenda è nelle mani della giustizia e noi continuiamo ad attendere delle risposte. Alcune persone sono state sospettate, ma per il momento non c’è ancora una sentenza definitiva. Naturalmente, io so perché hanno compiuto questo gesto terribile: perché volevano cancellare le tracce culturali rare e autentiche che risuonavano e parlavano al mondo intero. Hanno distrutto il museo perché la cultura è il solco dello sviluppo; la cultura fa così paura perché è là che si trovano gli spiriti della boscaglia.

L’immagine dello “spirito della boscaglia” (génie de brousse o esprit de brousse), evocata un paio di volte dal signor Aristote Lwange Kibala, fa riferimento a un’entità soprannaturale che frequentemente rappresenta la personificazione delle forze della natura, per cui può essere anche un protettore degli animali quando, ad esempio, li nasconde dai cacciatori. All’esprit de brousse hanno fatto riferimento vari intellettuali africani, come Aimé Césaire, che nel 1935 ne parlava a proposito dell’abbandono delle antiche tradizioni da parte degli africani suoi contemporanei, i quali, rinnegando lo spirito della boscaglia, andavano assimilando sempre più l’estetica e la mentalità degli occidentali.

Dall’Italia e dall’Europa, attraverso queste colonne di “Focus on Africa”, non possiamo che augurarci anche noi che la “génie de brousse” aiuti il direttore del Museo di Gungu e tutti i suoi collaboratori a rialzarsi e a continuare un’operazione che non ha solo un valore culturale, già di per sé enorme, ma che ci sembra addirittura paradigmatica di un nuovo modo di concepire il presente e il futuro.

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